L’ordine di borsa impartito telefonicamente dal cliente all’operatore bancario e non registrato è valido anche in assenza di attestazione scritta e può essere provato in giudizio attraverso presunzioni non sindacabili in sede di legittimità.

(Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 gennaio 2016, n. 612)

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 26 aprile 2008, la Corte d’appello di Genova rigettava l’appello proposto da D.E.M. , F.I. , D.C.A. e D.G. , già titolari dal 1996 di un conto deposito titoli in custodia e amministrazione (dal quale erano receduti) presso la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. con la quale avevano sottoscritto il c.d. contratto quadro per la negoziazione, sottoscrizione, collocamento e raccolta ordini aventi ad oggetto valori mobiliari, avverso la sentenza del Tribunale di Genova che aveva rigettato la domanda da essi proposta nel dicembre 2003 nei confronti della banca stessa al fine di sentirne accertare la responsabilità per le perdite subite dal portafoglio titoli in questione per inadempimento agli obblighi di informazione e per esecuzione di numerosissimi ordini di acquisto e vendita in realtà mai conferiti.

La Corte distrettuale, disattese le eccezioni della banca appellata relative alla tardività e improcedibilità (perché iscritto a ruolo con deposito della sola velina dell’atto, poi notificato) dell’appello, osservava nel merito: a)che, quanto alla prova del conferimento degli ordini da parte del D. (in nome e per conto di tutti i titolari), che la banca aveva allegato essere avvenuto per telefono, l’inosservanza della modalità di documentazione (registrazione su supporto magnetico o di altro tipo) di cui al Regolamento CONSOB n.11522 del luglio 1998 (nel cui ambito di applicazione ricadeva, in parte, lo svolgimento del rapporto inter partes) non impediva il ricorso ad altri mezzi probatori – quali la testimonianza e le presunzioni -, anche in difetto delle condizioni previste dall’art. 2725 cod.civ. non potendo ritenersi che la citata disciplina regolamentare abbia introdotto uno specifico requisito ad probationem del mandato in questione; b) che, in tal senso, indipendentemente dalla testimonianza (erroneamente ammessa dal primo giudice stante in effetti la incapacità del teste) del funzionario della banca che era stato l’interlocutore principale del D. nella gestione del contratto, non era ragionevolmente credibile che da quest’ultimo fossero stati impartiti solo gli ordini relativi a due o tre delle numerosissime operazioni documentate negli estratti conto regolarmente trasmessi, dal cui esame doveva immediatamente emergere il preteso straripamento di poteri commesso dalla banca in relazione a un così rilevante numero di operazioni, tanto più che il D. era un soggetto tecnicamente qualificato che, esercitando professionalmente l’attività di assicuratore, metteva pubblicamente (anche per mezzo di un sito internet) a disposizione della sua clientela un servizio di consulenza nel settore previdenza/investimenti del quale veniva espressamente consigliata l’utilizzazione agli investitori più evoluti, ed infatti – secondo le dichiarazioni rese da altro teste – si teneva costantemente in contatto con la banca per scambiare informazioni sull’andamento del mercato finanziario; c) che nessuna violazione di obblighi legali o convenzionali poteva addebitarsi alla BNL giacché questa aveva sottoposto all’esame e alla sottoscrizione dei clienti il c.d. contratto-quadro (nel quale peraltro essi riconoscevano di aver preso visione del documento informativo loro consegnato e di non aver ritenuto opportuno fornire le informazioni richieste nel loro stesso interesse sulla loro situazione finanziaria e sugli obiettivi di investimento), ed aveva poi eseguito gli ordini ricevuti, dandone periodicamente notizia con l’invio ai clienti degli estratti conto.

Avverso tale sentenza D.E.M. , F.I. , D.C.A. e D.G. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui resiste la B.N.L. s.p.a. con controricorso e ricorso incidentale condizionato per due motivi, illustrati anche da memoria depositata a norma dell’art. 378 cod.proc.civ..

Motivi della decisione

1. I primi tre motivi del ricorso principale investono la questione relativa alla prova degli ordini di negoziazione. I ricorrenti denunziano la violazione di norme di diritto, formulando i seguenti quesiti: a) premesso che gli articoli 20 e 54 della delibera CONSOB n. 5387/91 pongono l’obbligo di rilasciare una annotazione scritta di ogni ordine ricevuto anche telefonicamente; che gli articoli 28 regolamento CONSOB n. 10943/97 e 60 regolamento CONSOB n. 11522/98 prescrivono di rilasciare una attestazione cartacea all’atto del ricevimento degli ordini e di registrare su nastro magnetico o su altro supporto equivalente gli ordini impartiti telefonicamente, gli ordini impartiti tramite telefono possono essere provati attraverso mezzi probatori diversi dalla forma scritta e dalla registrazione?; b) posta la stessa premessa, gli ordini impartiti soggiacciono alle previsioni di cui agli articoli 2725 e 2729 comma 2 cod.civ., nel senso che la prova di detti ordini non può essere data per mezzo di testimonianze e presunzioni?; c) viola l’art.2729 comma 1 cod.civ. una sentenza che sia fondata su una presunzione (del conferimento degli ordini telefonici) che non abbia i caratteri di gravità, precisione e concordanza?

1.1. I successivi tre motivi del ricorso principale investono la questione relativa all’adempimento da parte della BNL degli obblighi informativi gravanti sugli intermediari finanziari. In particolare, con il quarto motivo i ricorrenti censurano – sotto il profilo della violazione degli articoli 6 lett. d) legge n. 1/1991, 17 lett. b) D.Lgs. n. 415/96, 21 lett. b) D.Lgs. n. 58/98, 28 e 29 delibera Consob n. 11522/98, e sotto quello del vizio di motivazione – l’affermazione della corte d’appello secondo la quale essi avevano, nel c.d. contratto quadro, riconosciuto di aver preso visione del documento informativo loro consegnato e di non aver ritenuto opportuno fornire le informazioni richieste, nel loro stesso interesse, sulla loro situazione finanziaria e sugli obiettivi di investimento: sostengono invece che nella copia da essi prodotta del contratto stesso non risulterebbe – a differenza della copia prodotta dalla banca – la barratura accanto alle relative clausole, e che la banca non ha prodotto in giudizio copia del documento informativo, che afferma di aver consegnato ai clienti, sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.

Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza impugnata avendo la corte distrettuale ritenuto il D. come tecnicamente qualificato – ai sensi dell’articolo 31 del regolamento Consob n. 11522/98 (oltre che dell’art. 26 regolamento Consob n. 16190/07, peraltro inapplicabile perché successivo) – esclusivamente sulla base del fatto che egli svolge attività di agente di assicurazione.

Con il sesto motivo deducono che, in ogni caso, la eventuale dimestichezza del D. con l’uso degli strumenti finanziari non può, senza violare il disposto delle norme di diritto già richiamate nel quarto motivo, incidere sull’obbligo della banca intermediaria finanziaria di informativa su tutti gli elementi indispensabili per una corretta conoscenza da parte del cliente del rischio cui va incontro: la BNL deve quindi rispondere del compimento da parte del cliente di operazioni a rischio inadeguate – dovendo considerarsi bassa la propensione al rischio da parte dell’investitore che rifiuta di fornire le informazioni richiestegli – senza averlo adeguatamente informato, e senza uno specifico ordine scritto o un ordine telefonico registrato.

2. Le doglianze espresse con i primi tre motivi, esaminabili congiuntamente per la stretta connessione, sono prive di fondamento.

2.1. Sul primo ed il secondo quesito va innanzitutto precisato come in nessuna delle disposizioni richiamate si prescriva che l’intermediario debba rilasciare attestazione al cliente anche degli ordini di negoziazione ricevuti telefonicamente: l’attestazione è prevista dal regolamento Consob n. 11522/98 (la normativa anteriore non conteneva neppure tale previsione) solo per l’ipotesi, qui non ricorrente, di ordini rilasciati presso la sede legale della banca o le proprie dipendenze. In linea generale, non merita condivisione la tesi secondo la quale la prescritta modalità di registrazione dell’ordine conferito telefonicamente dovrebbe qualificarsi come requisito di forma, sia pure ad probationem, dell’ordine di acquisto o vendita in tal modo conferito all’intermediario, tale da precludere, in mancanza, ogni altra prova.

Premesso che la normativa primaria contenuta nel T.U.F. (D.Lgs.n.58/1998) non contiene alcuna prescrizione di forma per gli ordini conferiti dal cliente in attuazione del c.d. contratto-quadro relativo ai servizi di negoziazione, bensì solo per quest’ultimo (cfr. Cass. n. 28432/11; n. 384/12; n. 18140/13), e che quindi del tutto incongruo sarebbe il ritenere che una siffatta prescrizione fosse stata introdotta solo con la normativa regolamentare di cui alle disposizioni richiamate in ricorso, deve d’altra parte considerarsi come il significato attribuibile al testo di tali disposizioni (in particolare dell’art. 60 reg. n. 11522/98 che per primo ha introdotto la previsione della registrazione), nella misura in cui si limita ad indicare agli intermediari una condotta da tenere in determinati casi, appare piuttosto da collegare con uno strumento atto a garantire agli intermediari, mediante l’oggettivo ed immediato riscontro della volontà manifestata dal cliente, l’esonero da ogni responsabilità in ordine all’operazione da compiere (in tal senso, cfr. Cass. n. 18140/13 cit.). Deve dunque escludersi che con tali disposizioni regolamentari si sia introdotta un mezzo esclusivo di prova dell’ordine conferito dal cliente, il che esclude anche l’applicabilità della preclusione dettata dall’art. 2725 cod.civ..

2.2. Quanto poi alla denuncia, di cui al terzo quesito, di violazione dell’art. 2729 comma 1 cod.civ., essa si mostra inammissibile tenendo presente l’orientamento più volte espresso dalla giurisprudenza di questa corte di legittimità (cfr. Cass. n. 15737/03; n. 8023/09; n. 101/15), cui il Collegio aderisce, secondo cui la valutazione circa l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, l’individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e la valutazione circa la loro rispondenza ai requisiti di legge spetta al giudice di merito – che peraltro nella specie l’ha fondata su molteplici elementi, non chiaramente enunciati nel motivo – ed è quindi insindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione, la cui denuncia non risulta neppure dalla illustrazione del motivo, in effetti incentrata piuttosto sulla non utile prospettazione di una valutazione diversa da quella esposta nella sentenza impugnata.

3. Anche i motivi concernenti la violazione degli obblighi informativi gravanti sulla banca intermediaria non meritano accoglimento.

3.1. In primo luogo, la denuncia di vizio di motivazione contenuta nella rubrica del quarto motivo non è corredata dal necessario momento di sintesi sul fatto controverso, richiesta a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis cod.proc.civ. applicabile nella specie in ragione del deposito della sentenza impugnata nel periodo di vigenza della norma.

Quanto poi alla denuncia di violazione di norme di diritto espressa nel medesimo motivo, essa muove da un assunto in fatto -circa la mancata consegna agli investitori del documento informativo sui rischi generali e la mancata richiesta agli stessi di informazioni all’atto della sottoscrizione del contratto quadro- che risulta in contrasto con il contenuto, accertato dal giudice di merito, del contratto stesso, la cui pretesa difformità rispetto alla copia prodotta dagli appellanti è questione nuova, che oltretutto avrebbe dovuto, in sede di merito, esser tempestivamente posta mediante disconoscimento della copia prodotta dalla B.N.L., o dalla proposizione di querela di falso, in caso si allegasse un abusivo riempimento absque pactis.

3.2. La denuncia di vizio di motivazione espressa nel quinto motivo muove anch’essa da una “lettura” incongrua della motivazione espressa dalla corte distrettuale sul fatto in questione.

Da un lato, la corte distrettuale non ha evidenziato la competenza del D. (che pacificamente risultava aver gestito il rapporto anche per conto degli altri titolari) in materia di investimenti in valori mobiliari al fine di farne discendere l’esonero nella specie della banca, a norma dell’art. 31 comma 1 regolam.Consob n.11522/98, da ogni obbligo di informazione; esonero che non risulta affermato in sentenza, e che del resto non potrebbe affermarsi de plano per effetto del rifiuto dei clienti in sede di contratto quadro a fornire le informazioni richieste nonché per la competenza professionale del D. (cfr. Cass. n. 18039/12).

Dall’altro, la sentenza ha adeguatamente giustificato la valutazione in ordine alla sussistenza di quella competenza nel D. non limitandosi a far riferimento alla sua professione di agente assicurativo (come si legge nella sintesi inidonea del motivo) bensì evidenziando la offerta da parte sua alla clientela di servizi di consulenza in quel settore, anche per mezzo di un sito internet a ciò destinato, e trovandone riscontri, ritenuti non illogicamente significativi, nel fatto riferito da un teste che egli si teneva costantemente in contatto telefonico con la banca per scambiare informazioni sull’andamento del mercato finanziario.

3.3. Quanto infine al sesto motivo, ed in generale ai tre motivi in esame, va rilevato come la dedotta violazione degli obblighi di informazione gravanti sull’intermediario presupponga, per essere apprezzata, la specifica allegazione di quali, tra le operazioni compiute dagli investitori, fossero inadeguate al profilo di rischio ad essi attribuibile e delle ragioni di tale inadeguatezza.

Allegazioni specifiche che non risultano espresse nella specie, limitandosi il ricorso a definire genericamente le numerose operazioni compiute come “operazioni a rischio” senza altra precisazione. L’inapprezzabilità delle doglianze sul punto ne deriva di necessità.

4. I due motivi di ricorso incidentale condizionato (con i quali la B.N.L. si duole, rispettivamente, del rigetto della sua eccezione di improcedibilità dell’appello avversario e della ritenuta incapacità a testimoniare in capo al funzionario che aveva seguito il rapporto con i ricorrenti) debbono ritenersi assorbiti nel rigetto del ricorso principale, in conformità con la consolidata giurisprudenza di questa corte (cfr. ex multis: S.U. n. 5456/09; Id. n. 7381/13; Sez. 1 n. 4619/15).

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato; condanna i ricorrenti principali al rimborso in favore della controparte delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 8.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali forfetarie e accessori di legge.