Macellaio detiene per la vendita salsiccia fresca piccante rossa contenente additivi (coloranti) del tipo ROSSO SUDAN 1, non regolamentari e quindi nocivi per la salute. Condannato (Corte di Cassazione penale, sez. III, sentenza 6 maggio 2013, n. 19433).

1.1 Con sentenza del 30 maggio 2007 il Tribunale di Vasto dichiarava M.B., imputato del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. g), “perchè deteneva, per il commercio, e/o commercializzava presso la macelleria “……. ” di (OMISSIS) – “salsiccia fresca piccante rossa” contenete additivi (coloranti) del tipo “ROSSO SUDAN 1″, non regolamentari e quindi nocivi per la salute” reato commesso il 18 marzo 2004, condannandolo alla pena di Euro 15.000,00 di ammenda, condonata nella misura di Euro 10.000,00.

1.2 Il Tribunale, dopo aver riassunto il quadro normativo di riferimento, affermava, sotto il profilo procedi menta le relativo al prelievo delle analisi, la regolarità della procedura seguita, ritenuta conforme al dettato normativo anche per quel che riguardava le notifiche al soggetto.

Nel merito il Tribunale accertava la sussistenza del reato sia sotto l’aspetto materiale (presenza – documentata dalle analisi di laboratorio – di additivi chimici nocivi alla salute umana), sia sotto l’aspetto soggettivo e, quanto al trattamento sanzionatorio, lo determinava seguendo i parametri di cui all’art. 133 cod. pen..

1.3 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo, con un primo motivo, l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato anche sotto il profilo della semplice inavvedutezza, in quanto l’imputato aveva acquistato il prodotto vietato sulla base di regolare fattura emessa da tale C. N. che gli aveva consegnato il prodotto, ingenerando così nell’imputato il convincimento che si trattasse di una sostanza consentita e regolare; sottolinea, in ultimo che nessuna addebito poteva muoversi al M., per non essersi lo stesso accorto delle caratteristiche vietate dell’additivo, scoperte soltanto in seguito ad approfondite analisi di laboratorio.

Con un secondo motivo il difensore rileva l’irregolarità della procedura seguita in tema di notifiche relativamente al prelievo delle analisi, sottolineando il difetto di motivazione sul punto.

Con il terzo motivo la difesa si duole della eccessività della pena inflitta oltre che della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena, senza alcuna motivazione al riguardo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile:

premesso che il M. avverso la sentenza impugnata ha proposto appello, anzichè ricorso, essendo stata irrogata dal Tribunale la sola pena dell’ammenda, rientrano nel novero delle censure in fatto quelle relative all’asserito difetto dell’elemento soggettivo del reato. In sintesi il difensore sostiene che sarebbe stato tale C.N., fornitore dell’additivo tramite regolare fattura, ad ingenerare nel M. il convincimento che il prodotto vendutogli fosse assolutamente regolare e consentito.

Si tratta di una censura che – oltre a costituire un sostanziale invito rivolto a questa Corte ad una, diversa ricostruzione degli avvenimenti, inibito in sede legittimità – in ogni caso non sposta nulla sul piano delle responsabilità, essendo preciso obbligo del produttore di sostanze alimentari accertarsi della qualità delle sostanze impiegate nella preparazione dei cibi.

La sentenza impugnata appare, quindi, assolutamente convincente sotto l’aspetto delle responsabilità.

1.1 Quanto al secondo motivo, esso costituisce riproposizione integrale di quanto dedotto nel corso del giudizio di primo grado, adeguatamente vagliato in quella sede dal Tribunale e disatteso con motivazione articolata che si sottrae a qualsivoglia vizio di natura logica ed appare anche aderente alle risultanze istruttorie.

In questo senso il motivo del ricorso, proprio perchè speculare e sovrapponile rispetto agli argomenti passati in rassegna dal giudice di merito, va ritenuto inammissibile.

1.2 Infatti, come più volte precisato dalla giurisprudenza di questa Corte con orientamento uniforme, “è inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità” (in termini Cass. Sez. 4, sent. del 29.3.2000 n. 5191; Cass. Sez. 1 n. del 30.9.2004 n. 39598; Cass. Sez. 2 15.5.2008 n. 19951; Cass. Sez. 6 23.6.2011 n. 27068).

2. Palesemente infondato anche il motivo riguardante il trattamento sanzionatorio, avendo il Tribunale – seppure con motivazione sintetica – rispettato i criteri, da esso ricordati, enunciati dall’art. 133 cod. pen..

Per quanto riguarda la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena, è indubitalmente vero che rientra nei poteri del giudice di appello quello di applicare, anche d’ufficio, le circostanze attenuanti generiche e/o i benefici di legge ex artt. 163 e 165 cod. pen. tenuto conto di quanto eccezionalmente disposto, per l’appello, dall’art. 597 c.p.p., comma 5 che attribuisce a quel giudice il potere concessivo anche in assenza di una mancata concessione da parte del giudice di primo grado (per tutti Cass. Sez. 3 18.3.2003 n. 21273, Gueli, Rv. 224850); trattasi di un potere eccezionale rispetto al principio generale, dettato dallo stesso art. 597, comma 1 secondo il quale l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.

2.1 Ma va anche sottolineato che la mancata concessione ex officio da parte del giudice di primo grado di attenuanti o benefici non integra l’ipotesi della violazione di legge sotto il profilo della assenza di motivazione, laddove siffatte circostanze o benefici non siano stati richiesti, proprio perchè rientranti nell’esercizio del potere discrezionale del giudice.

3. Tanto premesso, nel caso in esame risulta dal verbale di udienza del 30 maggio 2007 si rileva che da parte della difesa, nelle proprie richieste conclusive in sede di discussione, nessun cenno è stato fatto sia alle attenuanti generiche, sia al beneficio della sospensione condizionale della pena, di guisa che nessun obbligo specifico di motivazione gravava sul Tribunale.

3.1 Peraltro, proprio perchè dedotti attraverso un atto di appello, tali richieste avrebbero potuto essere prese in considerazione dal giudice di appello, ma non certo dal Giudice di legittimità cui è inibito un potere analogo a quello previsto dall’art. 597 cod. proc. pen., comma 5.

4. Segue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento – trovandosi egli in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – della somma di Euro 1.000,00 (che si ritiene congrua) in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2013.