Maresciallo dei Carabinieri, durante servizio di perlustrazione 22.00 – 04.00, per incontrarsi con una infermiera con la quale intratteneva una relazione sentimentale, usciva fuori dalla sua giurisdizione.

(Corte di Cassazione penale, sez. I, sentenza 29 maggio 2015, n. 23316)

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.R. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 44/2014 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 02/07/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. BONI MONICA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FLAMINI Luigi Maria, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Udito il difensore Avv. (omissis), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto:

1. Con sentenza resa il 2 luglio 2014 la Corte militare di Appello confermava la sentenza del G.U.P. del Tribunale militare di Roma che in data 16 gennaio 2014 all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato aveva condannato l’imputato C.R. alla pena di mesi sei di reclusione, in quanto ritenuto responsabile del delitto di violata consegna aggravata (art. 47 c.p.m.p., comma 2 e art. 120 c.p.m.p.), per avere nella qualità di maresciallo capo dei Carabinieri, in servizio quale Comandante in S.V. della stazione Carabinieri di (omissis), violato le consegne relative al servizio di perlustrazione con turno 22.00/04.00 in data (OMISSIS), uscendo fuori dalla sfera di giurisdizione del proprio Comando per recarsi dalle 00.45 alle 01.15 all’ospedale “San Giovanni Evangelista” di (OMISSIS) ed ivi incontrarsi con un’infermiera del suddetto ospedale, con la quale intratteneva una relazione sentimentale.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del suo difensore per chiederne l’annullamento per i seguenti motivi:

a) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale quanto al giudizio di responsabilità, per avere la Corte di Appello riscontrato l’elemento oggettivo del reato di violata consegna aggravata nella condotta di uscita dalla sfera di giurisdizione del proprio Comando e l’elemento soggettivo nella previsione e volontà di “colloquiare per ragioni private” con una signora.

Sotto il primo profilo si era assegnato rilievo penale soprattutto nella omessa annotazione dell’attività svolta sul foglio di servizio, mentre quanto all’elemento psicologico, lo si era dedotto dall’incontro galante, che però era privo di alcun riscontro probatorio, essendo stato soltanto ipotizzato dal Giudice sulla base di alcune dichiarazioni testimoniali, travisate e relative a circostanze estranee ai fatti contestati.

b) Manifesta illogicità e contraddittorietà processuale della motivazione per avere la Corte Militare di Appello confermato il giudizio del primo giudice, basandolo soltanto sulla mancata annotazione della sosta all’ospedale di Tivoli sul foglio di servizio, mentre non si è ravvisato alcun profilo di illiceità nell’attività di controllo di un’autovettura effettuato a (OMISSIS), quindi in territorio estraneo alla competenza del di lui Comando, soltanto perchè la stessa era stata annotata nel foglio di servizio.

Con lo stesso criterio avrebbe dovuto essere esclusa la responsabilità penale dell’imputato per essersi impegnato nell’acquisizione presso l’ospedale di (OMISSIS) di informazioni in relazione ad un fatto avente rilevanza penale, condotta che al più rivestirebbe rilievo disciplinare, mentre l’opposta soluzione estende in modo eccessivo l’area dell’illecito penale.

Inoltre, nella sentenza impugnata non era stata offerta alcuna spiegazione relativamente al pregiudizio agli interessi del servizio che la condotta contestata all’imputato avrebbe arrecato, non essendo indicato il motivo per cui il servizio di perlustrazione sarebbe stato interrotto dalla sosta presso il nosocomio di (OMISSIS), atteso che il Carabiniere scelto F., rimasto nell’autovettura di Servizio, continuava l’attività di vigilanza della zona circostante l’Ospedale, tra l’altro pronto a fronteggiare ogni eventuale emergenza che poteva essere comunicata via radio dalla Stazione.

Al riguardo viene in considerazione quanto affermato dalla Corte Costituzionale, nella nota sentenza n. 263 del 6 luglio del 2000 in ordine al reato di cui all’art. 120 c.p.m.p., la quale con chiarezza afferma che compito dell’autorità giudiziaria militare sia proprio quello di accertare in concreto i presupposti che identificano la consegna, valutando, in particolare, se l’eventuale inadempimento del militare alle prescrizioni impartitegli sia idoneo a pregiudicare l’integrità del bene protetto ed abbia quindi carattere di offensività in concreto.

Inoltre, la sentenza era incorsa nel travisamento delle risultanze probatorie per avere assegnato valenza decisiva ad indizi, desunti da inattendibili dichiarazioni di altri Carabinieri, rese in sede di istruttoria, le quali principalmente fanno riferimento a condotte e fatti differenti da quello contestato e dunque non pertinenti ed avere ritenuto che l’incontro avvenuto presso l’ospedale di (OMISSIS) fosse stato determinato da interessi sentimentali e non da ragioni di servizio.

La considerazione delle chiamate telefoniche intercorse con la Co. è stata distorta per non avere la Corte d’Appello ritenuto che tali contatti fossero riconducibili al ripensamento dell’informatrice sulla necessità di riferire quanto a sua conoscenza;

c) Mancata assunzione di una prova decisiva in relazione al documento che avrebbe dimostrato come, in orario notturno, le pattuglie in servizio di perlustrazione, appartenenti al territorio di competenza della Compagnia di Tivoli, avessero avuto la facoltà di superare i limiti territoriali di ciascuna per svolgere dei servizi integrati tra di loro, il che rendeva penalmente lecita la condotta contestata;

d) Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per il diniego delle circostanze attenuanti generiche: le dichiarazioni rese a propria discolpa dall’imputato in sede di esame costituiscono manifestazione della lecita attività difensiva e non possono essere intese quale comportamento processuale negativo.

Considerato in diritto;

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.

1. Giova premettere, per il valore dirimente che assume ai fini della presente decisione, che al ricorrente è stato contestato di avere violato la consegna perchè, nonostante fosse stato comandato in servizio di perlustrazione con turno dalle ore 22.00 alle ore 04.00 nella notte tra il 23 ed il 24 novembre 2012, si era recato al di fuori della sfera di giurisdizione del proprio Comando e si era intrattenuto per circa mezz’ora con una persona, svolgente l’attività di infermiera presso l’ospedale di (OMISSIS).

1.1. L’accusa dunque non addebita al C. di avere semplicemente sconfinato dal territorio in cui si esercitava la giurisdizione della stazione di Castel Madama, ma di averlo fatto al fine di intrattenersi con tale Co.Em. per ragioni estranee al servizio e le sentenze di merito hanno al riguardo evidenziato che tale condotta, di indiscussa verificazione, era stata posta in essere per finalità private di natura sentimentale, avendo l’imputato intrattenuto una relazione con la persona incontrata sul luogo di lavoro.

1.2. Tanto premesso, non risponde al vero che la sentenza impugnata abbia confermato il giudizio di responsabilità in ragione del mero comportamento omissivo, consistito nella mancata annotazione nel foglio di servizio della sosta presso l’ospedale di (OMISSIS); ha piuttosto evidenziato il diverso contegno assunto dall’imputato, -il quale, pur avendo riportato in tale documento il controllo delle ore 00.30 del (OMISSIS) di un’autovettura, compiuto in via (OMISSIS), non altrettanto aveva effettuato quando aveva incontrato la Co., al fine di inferirne la prova dell’elemento psicologico del dolo, ossia della coscienza e volontà di trasgredire gli ordini relativi al servizio perlustrativo da espletare senza farne risultare prova documentale.

Ha quindi escluso che l’incontro e la permanenza presso l’ospedale di Tivoli fosse riferibile ad attività d’istituto dell’imputato, sia in ragione di quanto riferito da altri Carabinieri della medesima stazione a conoscenza della relazione che legava il C. alla Co., e riportato nelle premesse della motivazione, sia dei numerosi contatti telefonici intercorsi con l’utenza in uso a costei dalle ore 22.10 sino alle ore 01.33, quindi sia prima, che dopo il loro convegno, circostanze ritenute riconducibili a ragioni esclusivamente private.

1.2.1. Ebbene, a fronte di tali precise risultanze che i giudici di merito hanno ritenuto univocamente significative del consapevole compimento della condotta illecita ascritta al C., non giova sostenerne il travisamento senza specificare quale errore nella percezione delle informazioni acquisite sarebbe stato commesso, nè contestarne la pertinenza ai fatti dei relativi dati conoscitivi.

1.2.2. Sotto il primo profilo, va detto che la deduzione del vizio di travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo, oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia, secondo il costante e condiviso insegnamento di questa Suprema Corte per essere apprezzabile in sede di legittimità presuppone, non il mero contrasto tra gli atti del processo invocati dal ricorrente e le valutazioni del giudice, la sua ricostruzione complessiva del fatto di reato e della responsabilità dell’imputato e nemmeno che da essi sia ricavabile una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.

Occorre piuttosto che gli atti indicati dal ricorrente siano dotati di per sè di una forza esplicativa o dimostrativa tale da essere in grado di smentire l’intero ragionamento svolto nella sentenza contestata e da determinare una radicale ed insanabile incompatibilità, così da compromettere la tenuta logica della motivazione; sul ricorrente grava l’onere di illustrare le ragioni per cui il dato travisato condiziona negativamente la coerenza della motivazione e soprattutto indicare e rappresentare in modo specifico gli atti processuali che intende far valere mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti che intende far valere o la loro produzione, non essendo sufficiente per l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto la citazione di alcuni brani dei medesimi o delle pagine dei relativi verbali (Sez. F, n. 37368 del 13/09/2007, Torino, rv. 237302; sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, rv. 241023; sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, Gagliardo, rv. 241449; sez. 1, n. 06112 del 22/01/2009, Bouyahia, rv. 243225; sez. F, n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, rv. 248141). Tale onere non è stato assolto nel ricorso, che si limita a denunciare in riferimento alle testimonianze raccolte una generica difformità contenutistica, non meglio esplicitata.

1.2.3. Quanto alla non pertinenza o non rilevanza di quanto riferito dagli altri militari escussi nel corso delle indagini, la doglianza è espressa in modo altrettanto generico, che non tiene conto di quanto riportato nelle premesse della motivazione, ove si è evidenziata l’acquisita dimostrazione dell’esistenza di una relazione sentimentale o sessuale tra l’imputato e la persona che aveva incontrato la notte in cui avrebbe dovuto svolgere attività di perlustrazione sul territorio, fatto noto anche ai suoi colleghi.

1.2.4. Da quanto precede deve ritenersi che motivatamente i giudici dei gradi precedenti non abbiano assegnato credibilità alla tesi difensiva, che pretende l’incontro con la Co. in quelle circostanze avvenuto per riceverne confidenze su attività criminosa a sua conoscenza; del resto, alla stregua della stessa prospettazione contenuta in ricorso, non risulta che tali informazioni siano state riportate in un’annotazione di servizio o si siano tradotte comunque in un atto ufficiale, anche privo del riferimento nominativo alla fonte compulsata, nè si comprende perchè avessero dovuto essere riferite con tale impellenza durante il turno di lavoro di entrambi i soggetti coinvolti e dovessero giustificare tutti quei numerosi contatti telefonici anche dopo l’incontro.

1.3 Non trova rispondenza nel percorso argomentativo della sentenza in esame nemmeno la censura che sostiene non essere stato analizzato il profilo circa la mancata verificazione di alcun disservizio per la sosta incriminata: al contrario, la Corte di merito ha rilevato che la presenza dell’altro componente della pattuglia all’interno del veicolo di servizio ed in attesa del ritorno del suo superiore aveva impedito l’effettuazione per l’orario corrispondente del servizio di perlustrazione sul territorio. Tanto è sufficiente per esternare le ragioni della ritenuta offensività della condotta senza sia ravvisabile alcun profilo di carenza o illogicità di motivazione.

2. Si ricorda al riguardo che, secondo il disposto dell’art. 26, comma 1, del regolamento di disciplina militare, approvato con D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, “la consegna è costituita dalle prescrizioni generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali impartite per l’adempimento di un particolare servizio” (Cass. sez. 1^, n. 30693 del 11/07/2007, Demanuele, rv. 237351), sicchè per la configurabilità del reato di violata consegna, sanzionato dall’art. 120 c.p.m.p., è sufficiente la trasgressione alle prescrizioni della consegna, la cui tassatività ne esige la osservanza incondizionata, senza che sia necessario il verificarsi di un ulteriore evento come conseguenza di tale violazione, trattandosi di reato di pericolo presunto (Cass., sez. 1^, nr. 1751 del 29/10/1986, Minacapilli, rv. 175125; sez. 1^, n. 19760 del 01/04/2008, Manunza, rv. 240281; sez. 1^, n. 5030 del 17/12/2008, Cadice, rv. 243371).

2.1. Da tali condivisi principi discende che non hanno fondamento le obiezioni difensive, dirette a dimostrare la sostanziale inoffensivita della condotta contestata al C.: la tutela da assicurare all’ordine pubblico nelle forme e nei modi stabiliti con la consegna esigevano la puntuale osservanza dei doveri connessi, secondo quanto già rilevato anche dall’autorità giudiziaria militare, cui spetta accertare i presupposti che identificano in concreto la consegna e rendono l’inadempimento del militare pregiudizievole per il bene protetto, costituito dall’efficienza ed adeguatezza del servizio.

2.2. Nè indicazioni di segno diverso possono trarsi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 263 del 2000, la quale ha escluso l’incostituzionalità dell’art. 120 c.p.m.p., rilevando che “il termine consegna, che nel linguaggio comune possiede una molteplicità di significati, anche eterogenei, nell’ambito dell’ordinamento militare è da sempre stato inteso in una accezione fortemente tecnica, che lo rende oltremodo preciso e per nulla indeterminato” e che l’incriminazione della violata consegna è diretta a tutelare il servizio e non anche la disciplina militare, tant’è che il reato può essere commesso soltanto da un militare che sia comandato ad un servizio determinato ed al quale siano assicurati i mezzi per l’esecuzione della consegna, che non lascia spazi di discrezionalità al destinatario. Inoltre, si è affermato che la norma penale scrutinata risponde al requisito della offensività in astratto, mentre compete all’autorità giudiziaria verificare, sia i presupposti che connotano la consegna, sia l’effettiva e concreta lesione dei beni giuridici protetti, ossia la funzionalità e l’efficienza di servizi.

2.3. Nel caso in esame tale verifica è stata condotta e la sentenza ne da atto con motivazione che non è illogica, nè giuridicamente scorretta e supera dunque il vaglio conducibile in sede di legittimità.

3. Deve poi escludersi che la sentenza in verifica sia incorsa nel vizio di mancata assunzione di prova decisiva, dal momento che oggetto di addebito non è, come già detto, lo sconfinamento dall’ambito territoriale di competenza del Comando, quanto il mancato assolvimento dell’attività d’istituto integrante la consegna.

4. Anche in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche la sentenza impugnata ha offerto chiara illustrazione delle relative ragioni, indicate nel contegno processuale poco corretto dell’imputato, volto ad accreditare una giustificazione inverosimile e contraddittoria, e nell’assenza di elementi positivi di valutazione, diversi dall’incensuratezza, che a questi specifici fini non assume rilievo.

Per le considerazioni svolte, il ricorso va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2015.