Minacce attraverso scritti anonimi. Perizia grafologica: in caso di disaccordo il giudice deve motivare.

(Corte di Cassazione – Sezione V penale – Sentenza 6 settembre 2016, n. 36993)

Sebbene la perizia grafologica debba ritenersi basata su un percorso valutativo più che su leggi scientifiche, occorre tuttavia che il giudice di merito dia conto delle specifiche motivazioni per le quali ritenga di disattendere il percorso metodologico seguito dal perito».

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 6 settembre 2016 n. 36993, censurando la decisione con cui la Corte di appello di Milano aveva disatteso la perizia d’ufficio basandosi «sulla sola prospettazione di un dubbio», senza dunque esplicitare quale sarebbe stata la non condivisibile metodologia seguita dal perito.

La Corte territoriale, infatti, richiamando l’esito opposto di altri procedimenti riguardanti vicende simili e tra le stesse parti, aveva ribaltato la decisione del tribunale ed assolto, per non aver commesso il fatto, una donna condannata in primo grado per l’invio di lettere contenenti minacce di «danni fisici e la morte».

La parte civile ha però proposto ricorso sostenendo che la sentenza non avrebbe tenuto conto degli esiti della perizia d’ufficio e della consulenza di parte.

Per i giudici di legittimità che hanno accolto il ricorso «non si comprende quali sarebbero le discordanti valutazioni di esperti, non potendo certamente porsi a confronto tra loro valutazioni effettuate in ambiti processuali differenti, posto che, evidentemente, esse hanno avuto ad oggetto documenti differenti tra loro». Per cui non si può «attribuire rilievo determinante al provvedimento di archiviazione emesso nell’ambito di altro procedimento penale».

Del resto, prosegue la sentenza, «non si comprende per quale ragione la Corte territoriale – preso atto dei dubbi di competenza tecnica del perito alla luce delle indagini difensive svolte – non abbia ritenuto di disporre un ulteriore accertamento tecnico, affidando l’incarico ad altro esperto».

Infatti, prosegue la Cassazione, «quando sia necessario svolgere indagini od acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze, il giudice può ritenere superflua la perizia quando pensi di poter giungere alle medesime conclusioni di certezza sulla base di altre e diverse prove; non gli è, viceversa, consentito di rinunciare all’apporto del perito per avvalersi direttamente di proprie, personali, specifiche competenze scientifiche, tecniche ed artistiche».

Perché così facendo si impedirebbe di fatto alla parte, da un lato, di «intervenire con i propri consulenti tecnici per incidere sull’iter di acquisizione della prova», dall’altro, di «esaminare e contrastare, prima della decisione, la prova eventualmente a lui sfavorevole».

Nel caso affrontato, invece, la Corte territoriale, operando «una valutazione di dubbia competenza del perito, senza valutare e senza nemmeno dare atto delle conclusioni raggiunte, nell’ambito dello stesso procedimento, dai consulenti di parte, e senza procedere ad una ulteriore perizia ai sensi dell’art. 603, comma 3, c.p.p., ha disatteso le conclusioni del perito di ufficio». Senza però chiarire le motivazioni che l’hanno portata a discostarsi dalle conclusioni del consulente.

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