Mutuo di scopo.

(Corte di Cassazione civile, sezione terza, sentenza 30.03.2015, n. 6395)

Il mutuo di scopo costituisce un negozio lecito fintanto che la realizzazione dello scopo da esso prevista è possibile al momento della conclusione del contratto.

Ne consegue che, ove il contratto venga concluso quando la realizzazione dello scopo è impossibile perché collegata ad un fatto che si è già storicamente verificato ben prima della concessione del mutuo, il finanziamento stesso nasce viziato, nel senso che viene concesso per consentire al mutuatario di realizzare non la finalità prevista dalla legge, ma uno scopo diverso, che potrebbe a sua volta essere lecito, ma dovrebbe essere perseguito con un diverso strumento che non abbia questo vincolo finalistico.

…omissis…

Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1325 e 1418 c.c. e del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3.

Evidenzia che il contratto di mutuo della cui validità si discute era un mutuo edilizio, ovvero un mutuo di scopo legale, con individuazione dello scopo da parte della legge, in cui il mutuatario assume, oltre all’obbligo di restituzione delle somme ricevute, anche l’obbligo di conseguire lo scopo legale, legato alla realizzazione di un determinato programma edilizio. Sostiene che ai fini della validità della causa occorresse solo verificare se il fabbricato fosse stato effettivamente realizzato, ed esso era stato effettivamente ultimato (ben due anni prima della concessione del mutuo) a poco importando se esso fosse stato realizzato con il denaro prestato dalla banca o con altri fondi, attesa la fungibilità del denaro e quindi che la causa del contratto fosse esistente e valida.

Sostiene che il mutuo non fu concesso per trasformare un precedente debito chirografario in debito ipotecario, ma per estinguere il residuo finanziamento concesso nel 1982 e a sua volta garantito da iscrizione ipotecaria, grazie al quale era stato realizzato lo scopo di cui al mutuo concesso nel 1986, e che il nuovo mutuo costituì un parziale rinnovo del precedente finanziamento a condizioni molto più favorevoli per il mutuatario, sia quanto agli interessi che quanto ai tempi di restituzione. Inoltre, sostiene che quel tipo di mutuo, restituibile in un più ampio arco di tempo anche mediante accollo parziario da parte degli acquirenti delle porzioni immobiliari, avrebbe meglio consentito di raggiungere anche lo scopo di rendere più facile la circolazione e l’acquisizione da parte dei terzi delle abitazioni non di lusso costruite grazie al finanziamento.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata è esente da vizi laddove ha confermato la valutazione di nullità del mutuo contratto nel 1986, per finanziare la costruzione di un complesso edilizio ultimato da due anni, già affermata dal giudice di primo grado.

Le ragioni della nullità possono ricondursi a questo: il mutuo di scopo è lecito fintante che la realizzazione dello scopo da esso prevista è possibile al momento della conclusione del contratto.

Se, come nel caso di specie, il contratto viene concluso quando la realizzazione dello scopo è impossibile perchè collegata ad un fatto che si è già storicamente verificato ben prima della concessione del mutuo, il finanziamento nasce viziato, nel senso che viene concesso per consentire al mutuatario di realizzare non la finalità prevista dalla legge (ovvero la realizzazione di un programma edilizio), ma uno scopo diverso, che potrebbe essere a sua volta lecito, ma dovrebbe essere perseguito con un diverso strumento che non abbia questo vincolo finalistico.

Nel caso di specie, a ben vedere, la ricorrente ha anche esplicitato lo scopo ulteriore, che era quello di estinguere il precedente finanziamento, ottenuto a condizioni più onerose.

Le considerazioni della ricorrente atte ad evidenziare l’esistenza di una causa possibile e lecita cozzano contro la verità dei fatti: la natura fungibile del denaro è cosa al tempo stesso ovvia e irrilevante laddove ciò che conta è che mediante l’erogazione di una determinata somma di denaro il costruttore possa essere effettivamente messo in condizioni di perseguire lo scopo previsto dal contratto.

Poco importa se quella somma è l’unica che egli abbia a disposizione o se si aggiunge ad altre, quel che conta è che il progetto in relazione al quale viene concesso il finanziamento sia ancora da completare.

Come ha affermato con molta chiarezza già Cass. n. 3752 del 1981, il mutuatario può anche destinare la disponibilità ricevuta a finalità diverse, purchè utilizzi una somma di eguale ammontare per la realizzazione dello scopo del mutuo, cosa nel caso di specie esclusa perchè lo scopo si era già realizzato.

Del pari, irrilevanti sono le considerazioni sulla finalità della legge di favorire gli acquisti immobiliari e la circolazione dei beni anche mediante la frammentazione e l’accollo di parte del mutuo contratto dal costruttore da parte degli acquirenti.

Può rientrare infatti nelle finalità del mutuo di scopo anche quella di consentire una migliore commercializzazione degli immobili realizzati mediante l’accollo parziario del mutuo da parte degli acquirenti, a condizioni migliori di quelle reperibili sul mercato dal singolo, e tuttavia correttamente nel caso di specie la corte d’appello ha escluso che il contratto di mutuo potesse esplicare, fin dalla sua conclusione, anche tale sua eventuale finalità.

Questa finalità è possibile infatti qualora il progetto immobiliare che la società costruttrice ha inteso realizzare, che comporta non solo la costruzione ma poi anche la vendita degli immobili, sia ancora da realizzare, almeno in parte, e qualora questa possibilità sia offerta a tutti gli acquirenti: nel caso di specie, gli immobili non solo erano stati già ultimati, ma erano stati tutti già venduti in precedenza, tranne quello acquistato, pochi giorni dopo l’accensione del nuovo mutuo, dai L.: cosicchè essi, a loro insaputa, si sono trovati ad accollarsi non soltanto una quota di mutuo proporzionale al valore del bene immobile acquistato, ma, in mancanza di altri possibili acquirenti, proprio perchè l’immobile era stato non soltanto già realizzato ma anche già venduto, si sono trovati da soli a dover fronteggiare le pretese esecutive della banca allorchè la società costruttrice non ha restituito le rate di mutuo.

Proprio l’effetto di suddivisione del prestito tra i vari acquirenti per favorirne la circolazione era impossibile da realizzare, avendo la società costruttrice già venduto la quasi totalità delle unità immobiliari prima della richiesta del mutuo.

E’ ben vero che nel contratto non vi era alcun impegno nè della banca mutuante nè del venditore di garantire il frazionamento della seconda ipoteca iscritta sull’immobile oggetto dell’acquisto.

Ed è ben vero che la possibilità di frazionamento del mutuo, ai sensi del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, comma 5, non costituiva un diritto per gli accollanti ma una scelta nella discrezionalità del mutuante, diversamente a quanto avverrà a seguito della entrata in vigore del D.P.R. n. 385 del 1993 (v. Cass. n. 264 del 2006), però, nella specie la stessa possibilità di frazionamento del mutuo era esclusa fin dal momento della conclusione del contratto in mancanza di una possibile pluralità di acquirenti, e di ciò era all’oscuro l’acquirente.

Quello che quindi dovrebbe essere un normale mezzo per finanziare la realizzazione di progetti immobiliari e poi per consentirne ed agevolarne anche la commercializzazione, si è rivelato un meccanismo penalizzante l’unico malcapitato acquirente dell’unica parte di immobile già costruito e non ancora venduto, che si è trovato gravato di una esecuzione relativa all’intero prestito.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce l’esistenza di un vizio di omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella mancata conoscenza della avvenuta alienazione degli altri appartamenti da parte della banca al momento di concessione del mutuo. Sostiene che nel contratto di mutuo era stato indicato, previo riscontro effettuato dal notaio della società costruttrice, che esistevano anche altri appartamenti non venduti, oltre a quello acquistato dai L., e che anche se ciò non si rivelò vero, non si trattava di circostanza che la banca potesse conoscere.

Anche con il terzo motivo di ricorso la società denuncia la contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, laddove la sentenza impugnata ha al tempo stesso affermato che tutti gli appartamenti erano stati venduti in precedenza, per poi riconoscere che l’appartamento alienato ai L. ed il garage di pertinenza erano ancora in proprietà della costruttrice al momento della concessione del mutuo.

Infine, con il quarto motivo di ricorso, la società ricorrente lamenta l’esistenza di un vizio di motivazione laddove la corte d’appello ha escluso che l’accollo del mutuo da parte dei L. potesse configurare una facilitazione nella commerciabilizzazione dell’immobile in quanto tutti gli altri appartamenti erano stati venduti in precedenza.

Anche i tre motivi relativi al vizio di motivazione, che si possono esaminare congiuntamente in quanto connessi, devono essere rigettati.

La sentenza appare esente dai vizi di motivazione denunciati, anche in ordine alla ritenuta consapevolezza in capo alla banca della reale destinazione della somma presa a mutuo.

Nel confermare la sentenza di primo grado sul punto, la corte ha tenuto conto delle circostanze di fatto accertate, considerando l’anomalia di un mutuo concesso nel 1986, finalizzato solo formalmente allo scopo del completamento o della realizzazione di una iniziativa edilizia, che ha tempi concentrati, ed erogato a tre anni di distanza, in un lasso di tempo in cui, conformemente ad un principio di sia pur minima diligenza, la banca avrebbe potuto e dovuto verificare se la situazione era medio tempore variata o anche diversa rispetto alle relazioni notarili e a quella enunciata al momento della sottoscrizione del contratto di mutuo.

Con il primo motivo di ricorso incidentale, i signori L. denunciano la violazione di legge in relazione agli artt. 2697, 2043, 2059 e 1229 c.c. , artt. 115 e 116 c.p.c. , nonchè il vizio di motivazione sul punto in cui la sentenza d’appello non ha ritenuto di condannare la banca al risarcimento dei danni in loro favore.

Il motivo è infondato, gli stessi ricorrenti non contestano la chiara affermazione contenuta nella sentenza impugnata, in base alla quale la domanda di risarcimento danni viene rigettata perchè i danni non sono stati provati, nei due gradi di merito a ciò deputati, neppure nella loro esistenza, a prescindere dal loro ammontare e pertanto l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, di rigetto della relativa domanda, è perfettamente conforme alle norme citate, in quanto il danno non patrimoniale non è in re ipsa e la sua quantificazione in via equitativa non può prescindere nè da parametri di riferimento e neppure, e preliminarmente, dalla prova della sua effettiva esistenza che non può essere fornita in questa sede nè tanto meno in eventuali fasi di rinvio.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale, i contro ricorrenti denunciano sempre la violazione di legge in relazione all’art. 96 c.p.c. , comma 2 e il difetto di motivazione per la omessa condanna della banca al risarcimento del danno per lite temeraria, avendo la corte omesso di rilevare adeguatamente, e di sanzionare come dovuto, la totale mancanza di prudenza nella condotta della banca come emerge dall’eseguito pignoramento immobiliare.

Il motivo di ricorso è infondato, esso viene sviluppato essenzialmente in relazione al vizio di motivazione, ma la motivazione della corte d’appello sul punto non può ritenersi omessa nè insufficiente laddove rigetta la domanda di risarcimento danni per lite temeraria, in quanto fa riferimento ad una prospettabile astratta configurabilità di una nozione di mutuo di scopo lata fino a ricomprendere il finanziamento di iniziative edilizie già intraprese purchè non concluse.

Conclusivamente, la Corte rigetta il ricorso principale ed anche il ricorso incidentale. In virtù della reciproca soccombenza e della prevalente soccombenza del ricorrente principale, la cui domanda è stata integralmente rigettata, compensa le spese di lite al 50% e per il residuo 50% le pone a carico della parte ricorrente in virtù del principio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta sia il ricorso principale che il ricorso incidentale. Compensa le spese di lite al 50%. Pone il restante 50% a carico della parte ricorrente e lo liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori e contributo spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 9 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2015