Obbligazioni contributive: omessa o infedele denuncia mensile all’INPS (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 27 dicembre 2011, n. 28966).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

…, omissis …

FATTO

Nell’ambito di un giudizio di opposizione a cartella esattoriale, la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 7 – 27.11.2006, rigettando il gravame proposto dall’Inps, in proprio e quale mandatario della S. spa, nei confronti della G.S. scrl, in controversia relativa a un credito contributivo dell’Inps e soggetta, ratione temporis, al regime sanzionatorio di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, ritenne che il mancato versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro, inadempiente, altresì, all’obbligo di inviare all’Istituto previdenziale le denunce mensili (ed modelli DM/10), comportasse l’applicazione delle sanzioni previste per l’omissione (lett. a della norma suddetta) e non per l’evasione contributiva (lett. b della medesima norma).

A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò che tale regime è più favorevole al debitore rispetto a quello risultante dalla disciplina previgente, di cui alla L. n. 662 del 1996 (così come interpretata dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 4808/2005), in quanto richiede, ai fini della qualificazione della fattispecie come evasione, un comportamento fraudolento della parte datoriale, finalizzato ad occultare rapporti di lavoro ovvero una parte delle retribuzioni erogate; tale ultima ipotesi non appariva quindi configurabile, laddove, come nel caso di specie, l’esistenza del rapporto e delle retribuzioni imponibili risultava dalle registrazioni obbligatorie in possesso del datore di lavoro, poichè, attraverso tale documentazione, sia l’Inps, che gli organi ispettivi, avrebbero avuto modo di accertare agevolmente l’ammontare dei contributi dovuti; osservò inoltre la Corte territoriale che, sul piano letterale, la fattispecie di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a), si riferiva alle denunce e registrazioni obbligatorie con un disgiuntivo (“e/o”), così che l’omesso invio dei modelli DM/10, quando, come nella specie, il credito risultava esattamente dalle retribuzioni registrate dal datore di lavoro, non era circostanza idonea a qualificare l’ipotesi di evasione.

Avverso tale sentenza della Corte territoriale, l’Inps, in proprio e quale mandatario della S. spa, ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo.

L’intimata G.S. scrl ha resistito con controricorso.

Questa Corte, con ordinanza del 26.5.2011, rilevata l’esistenza di contrasto nella giurisprudenza della Sezione Lavoro in ordine al significato della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, con riferimento alle due ipotesi sanzionatorie [lett. a) e lett. b)] ivi delineate, ha rimesso la causa al Primo Presidente per la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Con provvedimento del 3.6.2011 il Presidente Aggiunto di questa Corte, rilevato che la questione è tale da potersi presentare in contenzioso sostanzialmente proprio della sola Sezione Lavoro, ha però disposto che gli atti fossero restituiti a questa Sezione per l’ulteriore corso.

In diritto

1. Con l’unico motivo l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), artt. 1218 e 2697 c.c., deducendo che il rilievo dato dalla novella del 2000 all’elemento intenzionale non può comportare l’aggravamento della posizione dell’Istituto previdenziale e, pertanto, deve essere valutato alla stregua dei principi generali civilistici in materia di inadempimento dell’obbligazione (art. 1218 c.c.), nel senso che il debitore inadempiente all’obbligo di presentare il modello DM/10 sarà tenuto a risarcire il danno cagionato all’Inps nella più gravosa misura prevista dal legislatore per l’ipotesi di evasione, salvo che riesca a provare che non aveva l’intenzione di non versare i contributi.

2. Essendo pacifico che, nella presente controversia, trova applicazione, ratione temporis, il disposto della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8 e segg., il quale, modificando la precedente legge [L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, lett. b)], ha configurato diversamente sia la fattispecie dell’evasione contributiva, sta il tipo di sanzioni civili che vi sono ricollegate, giova ricordare, per quanto qui di specifico rilievo, il tenore delle disposizioni che si sono succedute nella disciplina della materia.

La L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, prevede che:

“I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti:

a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una somma aggiuntiva, in ragione d’anno, pari al tasso dell’interesse di differimento e di dilazione di cui al D.L. 29 luglio 1981, n. 402, art. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 settembre 1981, n. 537, e successive modificazioni ed integrazioni, maggiorato di tre punti; la somma aggiuntiva non può essere superiore al 100 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;

b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, oltre alla somma aggiuntiva di cui alla lett. a), al pagamento di una sanzione, una tantum, da graduare secondo criteri fissati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, in relazione alla entità dell’evasione e al comportamento complessivo del contribuente, da un minimo del 50 per cento ad una massimo del 100 per cento di quanto dovuto a titolo di contributi o premi; qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori, e comunque entro sei mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi, la sanzione di cui alla presente lettera non è dovuta sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa”.

La L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, stabilisce che:

“i soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti:

a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;

b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.

Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge”.

3. Nella vigenza della disciplina sanzionatoria dettata dalla L. n. 662 del 1996, per il caso di mancato pagamento (ovvero di pagamento in misura inferiore al dovuto) dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, si era registrato nella Sezione Lavoro un contrasto di giurisprudenza sulla questione relativa alle sanzioni applicabili (se cioè quelle previste per l’omissione ovvero quelle dovute per l’evasione contributiva: rispettivamente ipotesi sub lett. a) e sub lett. b) dell’art. 1, comma 217, citato) qualora non fossero state presentate dal datore di lavoro le denunce obbligatorie; tale contrasto venne composto dalla sentenza n. 4808/2005 delle Sezioni Unite, con l’affermazione del seguente principio: “In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali e assistenziali, la mancata presentazione del modello DM/10 (recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare) configura la fattispecie della evasione – e non già della semplice omissione – contributiva, ricadente nella previsione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, lett. b), che commina una sanzione “una tantum” il cui pagamento (alla stregua della modifica apportata alla predetta L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 217) può essere evitato effettuando la denuncia della situazione debitoria spontaneamente (prima, cioè, di contestazioni o richieste da parte dell’ente) e comunque entro sei mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi, purché il versamento degli stessi sia poi effettuato entro trenta giorni dalla denuncia (c.d. ravvedimento operoso), senza che, “in subiecta materia”, spieghi influenza l’entrata in vigore della L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 8 ss., (configurante la fattispecie dell’evasione contributiva in termini diversi e più favorevoli al datore di lavoro), attesane la indiscutibile inapplicabilità alle vicende precedenti alla sua entrata in vigore”.

Ed invero, alla stregua del differente dato testuale, con l’intervento di cui alla L. n. 388 del 2000, il legislatore ha modificato la normativa precedente, specificando (art. 116, comma 8, lett. b) che ricorre l’ipotesi dell’evasione “connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse (o non conformi al vero) … nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate …”.

Le Sezioni Unite di questa Corte, nella surricordata sentenza n. 4808/2005, evidenziarono al riguardo che “… la legge fornisce oggi un criterio discretivo ben più netto tra la pura e semplice morosità e l’evasione vera e propria, attribuendo per la prima volta rilievo decisivo allo specifico elemento intenzionale dell’evasore, assente nel testo previgente” (così, in motivazione).

Tale indicazione, tuttavia, non ha risolto il problema del valore normativo proprio della disposizione di cui si controverte, tanto che, come già ricordato nello storico di lite, si è formato un ulteriore contrasto interpretativo nella giurisprudenza di questa Corte.

4. Secondo un primo orientamento è stato ritenuto che “…l’omessa denuncia all’Inps di lavoratori, ancorché registrati nei libri paga e matricola, configura l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. B), e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lettera A) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l’omessa denuncia dei lavoratori all’Inps faccia presumere l’esistenza della volontà del datore di occultare i rapporti di lavoro al fine di non versare i contributi, e gravando sul medesimo l’onere di provare la sua buona fede, che non può reputarsi assolto in ragione della mera registrazione dei lavoratori nei libri paga e matricola, che restano nell’esclusiva disponibilità del datore stesso e sono oggetto di verifica da parte dell’istituto previdenziale solo in occasione delle ispezioni (cfr., Cass. n. 11261/2010).

Con tale pronuncia è stato evidenziato che al fine della prova della buona fede “…non è certo sufficiente la registrazione dei lavoratori nei libri paga e matricola, documenti che restano nella disponibilità del datore di lavoro e che sono controllati dall’Istituto previdenziale solo in occasione di ispezioni, come è provato dalla stessa vicenda in esame, in cui il datore di lavoro ha omesso di versare i contributi dovuti benché avesse registrato i dipendenti nei predetti libri”.

5. Con successiva pronuncia questa Corte ha invece seguito una diversa linea interpretativa, affermando il seguente principio: “In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali, nel vigore della L. 23 dicembre 2000, n. 388, la mera mancata presentazione del modello DM/10 (recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare) configura la fattispecie della omissione – e non già della evasione – contributiva, ricadente nella previsione dell’art. 116, comma 8, lett. a), della medesima legge, qualora il credito dell’istituto previdenziale sia comunque evincibile dalla documentazione di provenienza del soggetto obbligato (nella specie libri contabili e denunce riepilogative annuali), dovendo in tal caso escludersi l’occultamento del rapporto di lavoro e delle retribuzioni erogate” (cfr., Cass. n. 11261/2010).

Alle indicate conclusioni tale pronuncia è pervenuta attraverso i seguenti snodi argomentativi:

– la formulazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), tende evidentemente a fornire un criterio distintivo più netto tra la fattispecie della pura e semplice morosità e quella dell’evasione, conferendo rilevanza allo specifico elemento intenzionale, che non figurava nel testo previgente;

– con riferimento alla parte successiva di tale disposizione, laddove si afferma che la fattispecie dell’evasione ricorre quando il datore di lavoro “occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate”, non si può sostenere che venga “occultato” il rapporto di lavoro o le retribuzioni erogate in tutti i casi in cui questi dati, ancorché non risultanti dalle denunzie (modello DM 10 non presentato), risultino però dalle “registrazioni obbligatorie”; ciò perché vi sono i diversi obblighi di registrazione del rapporto di lavoro da effettuare sui libri paga, in cui devono figurare le retribuzioni corrisposte e le relative trattenute, nonché il numero di ore lavorate per ciascun giorno, l’indicazione distinta delle ore di lavoro straordinario, la retribuzione effettivamente corrisposta in denaro e in natura;

– inoltre, se è venuto meno l’ulteriore obbligo delle denunce periodiche, previsto dalla L. n. 467 del 1978, art. 4, (di conversione del D.L. n. 352 del 1978), che imponeva di presentare all’Inps, entro il 31 marzo di ogni anno, la denuncia nominativa dei lavoratori occupati (modello 01/M), con l’indicazione anche di tutti i dati necessari per l’applicazione delle norme in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, tuttavia questo obbligo non è stato completamente eliminato, ma sostituito con il CUD (da rilasciare al lavoratore e da trasmettere al Ministero dell’Economia annualmente), in cui figurano le retribuzioni erogate e le trattenute fiscali e contributive, ancorché sia poi il Ministero a trasmettere all’Inps questi dati;

– dovendosi allora intendere per “denunce” le comunicazioni obbligatorie che il soggetto è tenuto a effettuare nei confronti dell’Inps, e per “registrazioni” le annotazioni che il medesimo deve fare sui libri di cui è obbligatoria la tenuta, deve ritenersi che vi sia omissione (comma 8, lett. a) e non evasione (comma 8, lett. b), qualora il credito dell’Istituto sia rilevabile e, quindi, risulti o dalle denunce o dalle scritture, considerando che la legge usa (anche) la disgiuntiva “o”; in tale caso, infatti, dovendo logicamente escludersi l’occultamento del rapporto di lavoro e delle retribuzioni erogate, ricorre l’ipotesi meno grave, perchè il credito dell’Inps, seppure non segnalato in piena conformità alle complesse regole prescritte, è comunque evincibile attraverso documentazione di provenienza del soggetto obbligato;

– pertanto, se tale documentazione sussiste, non vi è alcun onere probatorio a carico del datore, perchè vi è un oggettivo comportamento che esclude “l’evasione contributiva”, a prescindere dall’elemento intenzionale che è irrilevante ai fini dell’applicazione delle sanzioni civili;

– se è indubbio che lo strumento del DM/10 è quello che più agevolmente consente all’Istituto la conoscenza, mese per mese, del suo credito contributivo, tuttavia l’invio di questo modello rimane pur sempre obbligatorio e la sua violazione è pur sempre sanzionata, ancorché con la sanzione più lieve di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a), mentre alla luce della legge precedente n. 662/96, stante il diverso tenore della norma, la sanzione era quella più grave prevista per l’evasione contributiva;

– diversamente opinando, a ritenere cioè che la disciplina di cui alla L. n. 388 del 2000, sia sovrapponibile a quella della L. n. 662 del 1996, per quanto riguarda la distinzione tra omissione ed evasione contributiva, si dovrebbe concludere per l’inutilità della modifica normativa, di cui si finirebbe per disattendere il contenuto più innovativo, per il quale la evasione si configura solo in presenza dell’occultamento del rapporto di lavoro ovvero delle retribuzioni erogate.

6. Così delineati i termini del contrasto, osserva il Collegio che, mentre nella L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a), viene fatto riferimento al mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce “e/o” registrazioni obbligatorie, la locuzione adoperata alla lett. b) del medesimo articolo (“in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero”) si caratterizza per l’uso della disgiuntiva “o” fra le registrazioni e le denunce obbligatorie, il che, sotto il profilo strettamente letterale, indica una sostanziale parificazione della possibile connessione dell’evasione rispetto all’una o all’altra tipologia di adempimenti.

Ne discende che l’omissione o l’infedeltà anche soltanto delle denunce obbligatorie non è di ostacolo a configurare l’ipotesi dell’evasione. Del resto già le Sezioni Unite di questa Corte, nella ricordata sentenza n. 4808/2005, in relazione alla previsione di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, lett. a), [analoga per quanto qui rileva a quella della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a)] hanno avuto modo di osservare che l’ipotesi meno grave, di cui all’art. 1, comma 217, lett. a), si articola in due sub-ipotesi, ravvisabili: a1) nel mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce “e” registrazioni obbligatorie; a2) nel mancato o ritardato pagamento di contributi o premi il cui ammontare è rilevabile dalle denunce “o” dalle registrazioni obbligatorie.

Nell’ipotesi suo a1) la meno grave fattispecie dell’omissione contributiva si realizza quando tutti gli adempimenti obbligatori risultano regolarmente effettuati, mancando solo il pagamento, mentre l’ipotesi sub a2), pur nella sua apparente contraddittorietà, si spiega perchè vi sono casi in cui non vi è obbligo di registrazioni, pur sussistendo l’obbligo della denuncia (come nel caso di collaboratori familiari), sicché è sufficiente, perché si abbia omissione contributiva, che sia regolare la denuncia, senza il relativo pagamento.

7. A mente della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a), qualora si concretizzi la suindicata connessione, si avrà l’ipotesi dell’evasione laddove vi sia:

– occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzione erogate;

– tale occultamento sia stato attuato con l’intenzione specifica di non versare i contributi o i premi, ossia con un comportamento volontario finalizzato allo scopo indicato.

7.1 Quanto ai primo requisito può anzitutto notarsi, in termini generali, come la giurisprudenza di questa Corte sia oscillante anche nella materia – differente, ma caratterizzata da evidenti punti di contatto con quella in questione – della possibile equiparazione fra il mendacio alla pubblica amministrazione da parte del privato in ordine alla sussistenza della situazione debitoria e l’occultamento doloso del debito ai fini dell’art. 2941 c.c., n. 8, (cfr, ex plurimis: in senso positivo, Cass., nn. 6478/1984; 4482/1988; in senso negativo, Cass., nn. 4030/1977; 5977/1984).

Con specifico riferimento alla questione all’esame va tuttavia osservato che il termine occultamento non indica necessariamente l’assoluta mancanza di qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’eventuale accertamento della posizione lavorativa o delle retribuzioni, posto che anche soltanto attraverso la mancata (o incompleta o non conforme al vero) denuncia obbligatoria viene celata all’ente previdenziale (e, quindi, occultata) l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali dell’imposizione e ciò, si badi, proprio attraverso l’adempimento funzionalmente diretto a consentire all’Istituto l’agevole conoscenza, mese per mese, del proprio credito contributivo.

Nè a contrario avviso può condurre il rilievo che, in ipotesi di registrazione dei rapporti e delle effettive retribuzioni, l’ente impositore potrebbe venire a conoscenza della situazione effettiva, atteso che tale conoscenza resterebbe, in difetto di una denuncia periodica veritiera, meramente eventuale, collegata cioè ad un altrettanto eventuale accertamento (ovvero al raffronto tra i dati di cui alla denuncia obbligatoria e quelli ricavabili dai CUD consegnati ai lavoratori), e non farebbe quindi venir meno, in relazione alla denuncia infedele, l’occultamento dei rapporti o delle retribuzioni (che, a tutto concedere, sussisterebbe comunque fintanto che non fossero – eventualmente – attuati gli accertamenti ispettivi o i raffronti con i dati evincibili dai modelli CUD).

Nè può sottacersi che, come già posto in luce dalla ridetta pronuncia delle Sezioni Unite n. 4808/2005, un’interpretazione meno rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le ipotesi che in qualunque modo abbiano reso possibile all’Ente previdenziale l’accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze informative periodiche prescritte dalla legge, aggraverebbe la posizione dell’Istituto, imponendogli un’incessante attività ispettiva, laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione spontanea tra i soggetti interessati.

7.2 Quanto al secondo requisito, di carattere soggettivo, è agevole rilevare che, stante il suddetto collegamento funzionale tra denunce mensili obbligatorie e pagamento dei contributi dovuti, l’omissione o l’infedeltà della denuncia è di per sé sintomatica (ove non meramente accidentale, episodica, strettamente marginale) della volontà di occultare i rapporti e le retribuzioni al fine di evitare, nella auspicata (beninteso dal datore di lavoro infedele) e non implausibile possibilità che la mancanza di successivi accertamenti o riscontri (da attuarsi per di più nell’ambito temporale dei termini prescrizionali) consentano de facto di sottrarsi all’adempimento contributivo ovvero di effettuare il pagamento della contribuzione in misura inferiore al dovuto; né, d’altra parte, potrebbe altrimenti comprendersi, se non appunto ove dettata da tale fine, l’omissione nelle denunce obbligatorie di dati di cui comunque il datore di lavoro è evidentemente a conoscenza, per averli, in tesi, già altrimenti registrati.

7.3 Ne discende che, in linea generale, l’inoltro di denunce infedeli o la loro omissione da un lato configura occultamento dei rapporti di lavoro o delle retribuzioni erogate o di entrambi e, dall’altro e al contempo, fa presumere l’esistenza di una specifica volontà datoriale di sottrarsi al versamento dei contributi dovuti.

7.4 Non può d’altra parte condividersi l’avviso secondo cui la suddetta interpretazione condurrebbe all’inutilità della modifica normativa introdotta dalla L. n. 388 del 2000, posto che, al contrario, proprio il rilievo dato all’elemento intenzionale consente, anche in ipotesi di denunce omesse o non veritiere, di escludere l’ipotesi dell’evasione, cosicché la suddetta presunzione (proprio perché non assoluta) può essere vinta, con onere probatorio a carico del datore di lavoro inadempiente, attraverso l’allegazione e prova di circostanze dimostrative dell’assenza del fine fraudolento (perché, ad esempio, gli inadempimenti sono derivati da mera negligenza o da altre circostanze contingenti); e il relativo accertamento, tipicamente di merito, resterà, secondo le regole generali, intangile in sede di legittimità ove congruamente motivato.

8. La questione all’esame va quindi risolta con l’affermazione del principio di diritto, in sostanziale adesione a quanto già ritenuto dalla ricordata sentenza di questa Corte n. 11261/2010, secondo cui:

“In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, l’omessa o infedele denuncia mensile all’Inps (attraverso i cosiddetti modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. n. 388 dei 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lett. a) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l’omessa o infedele denuncia configura occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e fa presumere l’esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti; conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede, che non può tuttavia reputarsi assolto in ragione della avvenuta corretta annotazione dei dati omessi o infedelmente riportati nelle denunce sui libri di cui è obbligatoria la tenuta; in tale contesto spetta al giudice del merito accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivata”.

9. Avendo la Corte territoriale accolto una difforme opzione ermeneutica, il motivo risulta fondato.

Per l’effetto la sentenza impugnata va cassata e decisa nel merito, poiché non si rendono necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Infatti l’esistenza dell’elemento intenzionale dell’evasione contributiva ha formato oggetto del contraddittorio durante i gradi di merito, nei quali l’attuale contro ricorrente ha negato qualsiasi propria “intenzione specifica” (vedi pag. 8 del controricorso) ed ha ritenuto tuttavia sufficiente la prova di avere effettuato le registrazioni, con ciò errando in diritto.

Non risulta, in altre parole, l’avvenuta allegazione da parte dell’odierna controricorrente di circostanze dirette a vincere la ricordata presunzione della sussistenza dello specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti e a comprovare pertanto la sua buona fede.

La domanda va perciò rigettata.

I ricordati contrasti giurisprudenziali consigliano la compensazione delle spese afferenti all’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda;

spese dell’intero processo compensate.