Per fare fuggire un minore circondano l’auto dei carabinieri danneggiandola con calci e pugni: condannato per favoreggiamento personale e danneggiamento (Corte di Cassazione penale sez. II, sentenza 29 aprile 2015, n. 17827).

1. Con sentenza del 26.6,2008 il G.U.P. del Tribunale di Cassino dichiarò: G.F. responsabile dei reati di favoreggiamento personale (capo D) e danneggiamento di un’autovettura dei Carabinieri (capo E), unificati sotto il vincolo della continuazione;

T.C. responsabile dei delitti di tentata rapina aggravata (capo A) e lesioni personali aggravate (capo B), unificati sotto il vincolo della continuazione; e – concesse ad entrambi le attenuanti generiche ed a T. quella di cui all’art. 116 cod. pen., con la diminuente per il rito – condannò: G. alla pena di mesi (8i reclusione;

T. alla pena di anni 1 mesi 6 di reclusione ed Euro 400,00 di multa, pena sospesa.

2. Gli imputati proposero gravame ma la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 25.9.2013 confermò la pronunzia di primo grado.

3. Ricorrono per cassazione gli imputati.

3.1. G.F., tramite il difensore, deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove alla luce delle dichiarazioni dei testimoni che scagionavano G., sulla base delle relazioni di servizio dei Carabinieri, ritenendo che avesse circondato, con i familiari di S. l’autovettura dei militari colpendola con calci e pugni; la presenza di G. era causale ed è stato travolto dagli eventi;

non vi è stato un ruolo attivo nè i Carabinieri potevano vedere chi aveva colpito l’auto con calci e pugni; manca l’elemento soggettivo del reato; mancano prove dirette sulla responsabilità;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del reato di favoreggiamento personale; manca l’elemento soggettivo del reato ed è apodittica la lettura delle risultanze.

3.2. T.C., tramite il difensore, deduce:

1. vizio di motivazione in ordine alla dedotta nullità della sentenza di primo grado per violazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen.; a T. è stata attribuita la funzione di palo solo perchè presente sul luogo e perchè, dopo il reato, ha restituito un casco ed ha chiesto di non denunziare l’accaduto; la massima di esperienza vuole che il palo si dia alla fuga; vi è travisamento delle dichiarazioni di R.L., il quale non ha fatto menzione di T.; le sue dichiarazioni sono in contraddizione con quelle del D.G., persona offesa non pienamente attendibile, le cui dichiarazioni non sono state sottoposte a rigoroso vaglio critico; T. non ha avvisato i complici e non ha bloccato D. G.; quest’ultimo potrebbe avere riconosciuto T. quando questi è rientrato nel bar per restituire il casco; non vi sono prove della responsabilità di T. e dell’elemento soggettivo del reato;

2. violazione di legge in ordine alla qualificazione del fatto come tentata rapina impropria anzichè come tentato furto con violenza o minacce;

3. illegittimità costituzionale dell’art. 628 cod. pen. in relazione all’art. 25 Cost. perchè, alla luce della interpretazione fornita dalle Sezioni Unite di questa Corte si ha una figura di reato indeterminata e con irragionevole trattamento sanzionatorio;

4. vizio di motivazione in relazione al diniego di ridurre la pena inflitta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso proposti nell’interesse di G.F. sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.

La Corte territoriale ha motivato la conferma dell’affermazione di responsabilità sulla scorta delle relazioni dei Carabinieri, dalle quali era emerso che era stata circondata l’autovettura minacciando di morte i Carabinieri affinchè rilasciassero il minore, fatto salire in auto per essere condotto in Caserma, dopo il tentativo di sottrazione di un ciclomotore, consentendo così al minore di fuggire. Inoltre ha ritenuto che l’autovettura militare era stata danneggiata con pugni e calci.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

2. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di T. C. è manifestamente infondato, generico e svolge censure di merito.

La Corte territoriale ha motivato la conferma dell’affermazione di responsabilità sulla scorta delle dichiarazioni dei testi.

Nel caso in esame il ricorrente propone una ricostruzione alternativa a quella operata dai giudici di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perchè sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza. (V., con riferimento a massime di esperienza alternative, Cass. Sez. 1 sent. n. 13528 del 11.11.1998 dep. 22.12.1998 rv 212054).

Non può trovare ingresso il denunziato travisamento della prova in quanto è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11910 del 22.1.2010 dep. 26.3.2010 rv 246552).

3. Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di T. C. è manifestamente infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34952 del 19/04/2012 dep. 12/09/2012 Rv. 253153).

Le argomentazioni dedotte non scalfiscono la motivazione delle Sezioni Unite nella citata sentenza alla quale si rinvia.

4. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 628 c.p., comma 2 è manifestamente infondata.

Va premesso che l’eccezione deve intendersi riferita (attesa la rilevanza che le viene attribuita in questo procedimento e le argomentazioni addotte a sostegno della stessa) all’ipotesi di tentata rapina impropria.

Nella sentenza citata al punto precedente le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come fosse necessario sgombrare il campo dalla suggestiva argomentazione della prevalente dottrina, “secondo la quale il tenore letterale del capoverso dell’art. 628 cod. pen. sarebbe tale che la tesi della configurabilità del tentativo di rapina impropria nel caso in esame contrasterebbe con il principio di legalità e con il divieto di analogia”.

Ciò in quanto “Vi è ampio consenso nel riconoscere il carattere plurioffensivo dei reato di rapina e la sua caratteristica di reato complesso: la condotta disegnata nell’art. 628 cod. pen., infatti, è costituita dalla stessa azione di sottrazione impossessamento tipica del furto, cui si aggiunge l’elemento della violenza alla persona o della minaccia. Da qui la natura complessa del reato, risultante dalla commistione del reato di furto con il corrispondente reato relativo al tipo di violenza di volta in volta esercitata (percosse, minacce)”.

Alla luce di tali considerazioni appare manifestamente infondata l’eccezione anche con riferimento all’art. 3 Cost. in relazione al trattamento sanzionatorio.

5. Il quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di T. C. è manifestamente infondato.

La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva.

Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. n. 155508; n. 148766; n. 117242).

6. I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56 c.p. e art. 628 c.p., comma 2 in relazione agli artt. 3 e 25 Cost..

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2015.