Posto alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza e di avere in tale stato cagionato, per colpa, la morte di una o più persone, si contesta l’omicidio stradale e non la guida in stato di ebbrezza (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 12 giugno 2018, n. 26857).

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –

Dott. TORNESI Daniela Rita – Consigliere –

Dott. CENCI Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.M., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 05/06/2017 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TAMPIERI Luca, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1.La Corte di appello di Torino il 15 maggio 2016, in parziale riforma della sentenza emessa il 19 ottobre 2016 all’esito del giudizio abbreviato dal G.i.p. del Tribunale di Alessandria, con la quale V.M. era stato ritenuto responsabile dei reati di omicidio colposo stradale, fatto commesso in stato di ebbrezza alcoolica ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. b), (capo A), e di lesioni colpose stradali gravi, fatto commesso in stato di ebbrezza alcoolica ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, lett. b), (capo B), entrambi posti in essere con colpa sia generica che specifica, consistita in plurime violazioni del codice della strada, ed inoltre di guida in stato di ebbrezza alcoolica, fatto aggravato dalla causazione di incidente stradale (capo C: D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, lett. b, e comma 2 bis), e conseguentemente, ritenuti i primi due reati commessi in concorso formale, ai sensi dell’art. 589 bis c.p., comma 8, era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia, senza circostanze attenuanti generiche ma con quella di cui all’art. 589 bis c.p., comma 7, (in ragione della concorrente colpa di una delle vittime) e con la diminuente per il rito, oltre a sanzioni accessorie, ha rideterminato, riducendola, la pena, limitatamente a quella applicata per i reati di cui ai capi A) e B); con conferma nel resto.

2. Dalle sentenze di merito si traggono le seguenti informazioni.

La mattina del 15 maggio 2016 l’imputato, che ha reso sostanziale confessione, conducendo in stato di ebbrezza alcoolica una vettura Ford Fiesta in autostrada a velocità superiore al consentito, senza tenere la distanza di sicurezza, colto da un “colpo di sonno”, ha tamponato la vettura Citroen C2 che lo precedeva nello stesso senso di marcia e che era condotta da B.M. e con bordo B.P., seduta sul sedile posteriore, e Bo.Si., trasportato sul sedile anteriore destro. In conseguenza del violento impatto, la Citroen è finita in una scarpata fuori dalla sede stradale: B.P., che non era assicurata con la cintura di sicurezza, è stata sbalzata fuori ed è morta per le gravissime lesioni, mentre Bo.Si. ha riportato gravi lesioni, che ne hanno messo in pericolo la vita.

I profili di colpa generica sono stati individuati in imprudenza, negligenza ed imperizia, per essersi cioè V.M. messo alla guida nelle prima ore del mattino dopo aver trascorso quasi l’intera notte, tranne un breve periodo, sveglio, avere bevuto molto vino ed essersi addormentato al volante.

Quelli di colpa specifica nella violazione di plurimi precetti del codice della strada, posti dal D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 140, 141, 142, 149 e 186, (rispettivamente: condotta di guida pericolosa, velocità non adeguata, velocità superiore al limite, mancato rispetto della distanza di sicurezza, avere guidato in stato di ebbrezza alcoolica).

Oltre ai due delitti di omicidio stradale e di lesioni stradali gravi, entrambi aggravati dall’essersi posto alla guida in stato di ebbrezza alcoolica D.Lgs. n. 285 del 1992, ex art. 186, comma 2, lett. b), (D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 589 bis, comma 4, e art. 590 bis, comma 4), l’imputato è stato riconosciuto colpevole anche della contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, lett. b), essendo risultato alle due misurazioni un tasso alcoolemico superiore al consentito, pari a 1,03 grammi / litro alla prima misurazione e a 1,10 g / l alla seconda.

3. Ricorre tempestivamente per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore, affidandosi a due motivi, con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto motivazionale.

3.1. Con il primo motivo, in particolare, censura l’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che erano state invocate dalla difesa sia nella discussione all’esito del giudizio di primo grado che nell’atto di appello.

Segnala il ricorrente che il Tribunale e la Corte di appello hanno negato le attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p., svolgendo ragionamenti non del tutto sovrapponibili ma – si assume – entrambi erronei ed illegittimi.

3.1.1. Quanto al Tribunale, ha valorizzato l’elevato grado della colpa (art. 133 c.p., comma 1, n. 3) e la pregressa violazione da parte dell’imputato del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, lett. c), fatto commesso in precedenza (il 1 novembre 2014) rispetto ai fatti per cui è processo (occorsi il 15 maggio 2016) ma giudicato solo successivamente (il 16 maggio 2017), e trattato – si assume – come un vero e proprio precedente in senso stretto mentre, in realtà, mancando un accertamento giudiziale, esso sarebbe da considerare un mero antecedente storico fenomenico che, dunque, secondo il ricorrente, non avrebbe rilievo ai fini della valutazione sulla capacità a delinquere.

3.1.2. Quanto alla Corte di appello, secondo il ricorrente, ha trascurato di considerare positivamente la circostanza che, come documentato dalla difesa mediante produzione documentale nel corso del giudizio di appello, il fatto commesso il 1 novembre 2014 è stato giudicato con sentenza del G.u.p. del Tribunale di Pavia del 16 maggio 2017, che ha applicato a V.M. la pena concordata con il P.M. ex art. 444 c.p.p., sostituita con il lavoro di pubblica utilità presso la Croce Rossa Italiana.

L’applicazione di tale istituto deve comportare – segnala il ricorrente – nel caso di esito positivo della messa alla prova l’estinzione del reato, con la conseguenza che, anche sotto tale profilo, non può considerarsi il fatto storico in questione quale “precedente” in senso tecnico ma, al più, una mera pendenza giudiziaria, peraltro conclusa con sentenza di patteggiamento, che, però, non è equiparabile ad una sentenza di condanna vera e propria. Di tutto ciò la Corte di appello – lamenta il ricorrente non ha tenuto conto.

3.1.3. Entrambi i decidenti di merito hanno, poi, valorizzato in senso negativo il comportamento processuale dell’imputato, che ha tentato di minimizzare la propria condotta, in contrasto con dati oggettivi, in particolare dichiarando: di avere la notte prima dell’incidente riposato in auto ma per un periodo di tempo di durata superiore a quello, troppo breve, in effetti, emerso; di avere bevuto una quantità di vino inferiore a quello, in realtà, ingerito; e di avere smesso di bere prima dell’ora sino alla quale, invece, ha continuato ad ingerire alcool.

3.1.4. Ebbene, i ragionamenti svolti sul punto dai Giudici di merito sarebbero basati su – peraltro non convergenti – incondivisibili valutazioni circa la c.d. curva alcoolimetrica di assorbimento dell’alcool e sulle dichiarazioni di un teste, G.R., che ha trascorso la notte prima dell’incidente insieme all’imputato girovagando e bevendo, e che, però, secondo il ricorrente, non sarebbe attendibile perchè avrebbe dormito durante tutto il viaggio fatto a bordo dell’auto condotta dall’imputato e perchè potrebbe avere un ricordo non preciso dell’accaduto a causa delle condizioni psico-fisiche in quel momento alterate.

In fondo, secondo il ricorrente, l’imputato avrebbe soltanto commesso una leggerezza e, quindi, anche in ragione dell’incensuratezza, del buon inserimento sociale e lavorativo e del comportamento processuale di ammissione dei fatti, sarebbe stato meritevole del riconoscimento delle attenuanti generiche.

3.2. Con l’ulteriore motivo il ricorrente denunzia violazione di legge (artt. 84 e 589 bis c.p., e D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2) ed omissione di pronunzia rispetto al contenuto della memoria difensiva del 29 maggio 2017.

Si assume, infatti, violata la disciplina codicistica del reato complesso (art. 84 c.p.), tale essendo il rapporto tra omicidio stradale aggravato ex art. 589 bis c.p., comma 4, e guida in stato di ebbrezza alcoolica ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, lett. b), e comma 2 bis.

Evidenzia, infatti, il ricorrente che, mentre sino all’introduzione dell’omicidio stradale (ad opera della L. 23 marzo 2016, n. 41, art. 1, comma 1, in vigore dal 25 marzo 2016) la giurisprudenza riteneva che concorressero il delitto di omicidio colposo e la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza, a diversa conclusione dovrebbe, invece, giungersi oggi, come peraltro in qualche misura già affermato nella parte motiva della recente decisione di Sez. 4, n. 2403 del 15/12/2016, dep. 2017, ric. Minutillo.

Ove, infatti, si dovesse ritenere che l’omicidio stradale e le lesioni stradali non dovessero integrare un’ipotesi di reato complesso, con assorbimento dell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, il medesimo fatto storico, porsi cioè alla guida in stato di ebbrezza, sarebbe addebitato all’agente per due volte, in violazione del divieto del bis in idem sostanziale.

Si denunzia, in ogni caso, omissione di pronunzia, per avere la Corte di appello totalmente trascurato di prendere in considerazione la questione, che era stata posta dalla difesa nella memoria in data 29 maggio 2017 (alla p. 5) per l’udienza del 5 giugno 2017.

Si chiede, in definitiva, l’annullamento della sentenza impugnata.

3.3. Con memoria del 10 maggio 2018 il difensore di V.M. ha insistito per l’accoglimento del ricorso, segnalando che in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza commesso il 1 novembre 2014 il G.i.p. del Tribunale di Pavia con sentenza del 16 maggio 2017 ha applicato, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena concordata tra le parti, sostituita con il lavoro di pubblica utilità, e che con ordinanza del 27 aprile 2018 il reato è stato dichiarato estinto per svolgimento positivo ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 9 bis: in conseguenza, l’episodio del 1 novembre 2014 non potrebbe tecnicamente – essere giudicato un precedente specifico da considerare nella valutazione della personalità dell’imputato ai fini della concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche (alla memoria sono allegate la sentenza del 16 maggio 2017 e l’ordinanza del 27 aprile 2018).

Motivi della decisione

1. Il ricorso è parzialmente fondato, nei limiti di cui appresso.

2. Il primo motivo, incentrato sulla pretesa illegittimità ed ingiustizia del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è infondato, per vari motivi: sia perché costruito in fatto, come un’impugnazione di merito; sia perché in larga parte reiterativo degli argomenti già svolti in appello e nella memoria difensiva del 29 maggio 2017; sia, infine, perché intenderebbe superare la doppia valutazione sostanzialmente conforme dei decidenti di merito mediante una diversa, stimata auspicabile dal ricorrente, ricostruzione dei fatti, basata però o su mere asserzioni indimostrate (ad esempio, che il teste G. sarebbe inattendibile) ovvero su un vero e proprio errore di diritto.

Ed infatti non è sostenibile che la pendenza di un procedimento per guida in stato di ebbrezza (al momento della decisione di primo grado) ovvero la sentenza di applicazione di pena per tale fatto (al momento della sentenza di appello) siano un dato neutro o un nulla, come – ma erroneamente – sostenuto dal ricorrente.

Al riguardo, anzi, è appena il caso di rammentare che il Giudice può trarre elementi di valutazione sulla personalità dell’imputato ai sensi dell’art. 133 c.p., da una pluralità di fonti di conoscenza (senza automatismi, naturalmente, ma fornendo adeguata motivazione):

dalle condanne penali, anzitutto, ma anche da reati amnistiati o prescritti o estinti (Sez. 4, n. 18795 del 07/04/2016, P., Rv. 266705; Sez. 5, n. 39473 del 13/06/2013, Paderni, Rv. 257200);

da precedenti penali non definitivi (Sez. 3, n. 44458 del 30/09/2015, Pomposo, Rv. 265613; Sez. 3, n. 9915 del 12/11/2009, Stimolo, Rv. 246250; Sez. 2, n. 3851 del 20/11/1990, dep. 1991, Radosavljevic, Rv. 187298);

da mere pendenze penali a carico dell’imputato (Sez. 1, n. 4878 del 15/07/1997, Castelluccia Rv. 208342), persino se successive al compimento dell’illecito per cui si procede (v. infatti Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane e altri, Rv. 252881).

Tenuto, dunque, presente che il fatto del 1 novembre 2014 non è risultato escluso ma, al contrario, commesso dall’imputato, anche se poi il reato è stato dichiarato estinto, si prende atto che sia la sentenza impugnata (terzultima e penultima pagina) sia quella di primo grado (pp. 9-10) dedicano congrua e non illegittima motivazione al quia del diniego delle circostanze attenuanti generiche.

3. Quanto al secondo motivo di ricorso (violazione della disciplina del reato complesso), si osserva preliminarmente che la S.C. ha già avuto occasione di puntualizzare alcuni aspetti che appare opportuno richiamare circa la portata del divieto del bis in idem, da ritenersi vero e proprio cardine di civiltà giuridica, poichè preclude di addebitare all’imputato lo stesso fatto storico più volte, e ciò dal punto di vista sia sostanziale che processuale:

infatti, “(…) la portata del principio compendiato nel noto brocardo del divieto del bis in idem è espressione di un cardine generale di civiltà dell’ordinamento processuale penale che trova espressione positiva non soltanto nel divieto di un secondo giudizio (art. 649 c.p.p.) ma anche nelle norme poste per disciplinare i conflitti positivi di competenza (art. 28 c.p.p.e ss.) e l’ipotesi di una pluralità di sentenze per il medesimo fatto (art. 669 c.p.p.) (in tale senso, Sez. 1, n. 27834 del 01/03/2013, Carvelli, Rv. 255701; Sez. 6, n. 1892 del 18/11/2014, dep. 2015, Fontana, Rv. 230760).

Va precisato che a livello di diritto penale sostanziale analoga esigenza di garanzia è espressa dalle norme variamente invocate dai ricorrenti (artt. 84 e 15 c.p.), che definiscono il reato complesso e che consacrano i tradizionali principi di specialità e di assorbimento (o di consunzione), esplicativi della necessità, avvertita da un moderno ordinamento democratico, di non addebitare all’imputato più volte lo stesso fatto storico, purchè esso sia il momento di emersione di una unica contrapposizione cosciente e consapevole (ergo: colpevole) dell’individuo alle regole che disciplinano la vita dei consociati: si tratta del c.d. “ne bis in idem sostanziale”, che però, come noto (cfr. sul punto la parte motiva di Sez. 4, n. 46441 del 03/10/2012, Cioni, Rv. 253839), ha una portata meno forte di quello processuale, con esso esprimendosi solo una linea di tendenza dell’ordinamento.

Il momento di sintesi, di cui è espressione l’art. 84 c.p., dell’esigenza di non addebitare, in buona sostanza, lo stesso fatto per due volte all’imputato non è disciplinato, però, da regole predeterminate, assolute ed astratte, ma dipende dal concreto atteggiarsi delle contestazioni elevate dal Pubblico Ministero, ben potendo accadere che una determinata “vicenda di vita” si atteggi nella modulazione delle accuse da parte del titolare dell’azione penale talora ad elemento costitutivo dell’illecito, talaltra a semplice circostanza aggravante” (così, volendo, le considerazioni svolte al punto n. 2 del “considerato in diritto”, di Sez. 4, n. 16610 del 14/01/2016, Raco e altro, non mass. sul punto).

3.1.Tanto premesso, il ricorso, sotto il profilo segnalato nel secondo motivo, è fondato.

Alla persuasività delle considerazioni di principio già svolte, deve aggiungersi che la S.C., in effetti, ha già avuto modo di precisare quanto segue (in una vicenda in cui si contestava all’imputato sia il previgente omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale sia la guida in stato di ebbrezza alcoolica, fatti commessi prima dell’entrata in vigore della L. n. 41 del 2016, sostenendosi da parte della difesa che la contravvenzione fosse assorbita nel delitto, lettura non condivisa però nell’occasione dalla S.C.):

“(…) a seguito dell’entrata in vigore della L. 23 marzo 2016, n. 41, e quindi a decorrere dal 25 marzo 2016, è stato introdotto, tra gli altri, l’art. 589 bis c.p., in virtù del quale “Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. c), e art. 187, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni” e, inoltre, “nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto” (…)

Precedentemente, dall’entrata in vigore della L. 24 luglio 2008, n. 125, l’art. 589 c.p., disponeva, tra l’altro, che, in ipotesi di omicidio colposo, “Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. c), e successive modificazioni” e che “Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici” (…)

La formulazione della novella del 2016 ha, evidentemente, ricondotto le ipotesi aggravate al momento della “guida”, individuando esplicitamente, come agente, chiunque si ponga “alla guida di un veicolo a motore”; ciò, a differenza delle ipotesi-base (art. 589 bis c.p., comma 1, e art. 590 bis c.p., comma 1, per le quali destinatario del precetto è “chiunque cagioni per colpa (…) con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale….)”.

In altri termini le nuove fattispecie aggravate sono applicabili solo al “conducente di un veicolo a motore” e non anche, per esempio, a chi cagioni la morte (o le lesioni) di un pedone guidando una bicicletta in stato di ebbrezza (…).

In caso di applicazione della nuova legge citata, lo schema del reato complesso potrebbe, in vero, emergere dalla nuova formula normativa, tanto per l’esplicita qualificazione in termini di circostanze aggravanti dei commi dell’art. 589 bis c.p., successivi al primo quanto per la più evidente (anche se non perfetta) coincidenza tra le ipotesi in questione e quelle previste dal codice della strada” (così Sez. 4, n. 2403 del 15/12/2016, dep. 2017, Minutillo, non mass., sub punti nn. 4 e 5 del “considerato in diritto”).

3.2. Occorre, ad avviso del Collegio, dare continuità al – condivisibile ragionamento che si è testualmente richiamato, ed affermare che, a seguito della introduzione, L. n. 41 del 2016, ex art. 1, commi 1 e 2, delle innovative fattispecie autonome dell’omicidio stradale e delle lesioni personali stradali gravi o gravissime (sulla natura di reati autonomi e non già di ipotesi aggravate, v. infatti la recentissima sentenza di Sez. 4, n. 29721 del 01/03/2017, Venni, Rv. 270918), non può più aderirsi alla interpretazione, sinora diffusa, secondo cui si ha concorso di reati, e non un reato complesso, in caso di omicidio colposo qualificato dalla circostanza aggravante della violazione di norme sulla circolazione stradale, quando detta violazione dia, di per sè, luogo ad un illecito contravvenzionale (cfr. Sez. 4, n. 1880 del 19/11/2015, dep. 2016, P.G. in proc, Greco, Rv. 265430; Sez. 4, n. 46441 del 03/10/2012, Cioni, Rv. 253839; Sez. 4, n. 3559 del 29/10/2009, dep. 2010, Corridori, Rv. 246300; Sez. 5, n. 2608 del 15/01/1997, Schiavone, Rv. 141422).

Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto:

“Nel caso in cui si contesti all’imputato di essersi, dopo il 25 marzo 2016 (data di entrata in vigore della L. n. 41 del 2016), posto alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza e di avere in tale stato cagionato, per colpa, la morte di una o più persone – ovvero lesioni gravi o gravissime alle stesse – dovrà prendersi atto che la condotta di guida in stato di ebbrezza alcoolica viene a perdere la propria autonomia, in quanto circostanza aggravante dei reati di cui all’art. 589 bis c.p., comma 1, e art. 590 bis c.p., comma 1, con conseguente necessaria applicazione della disciplina sul reato complesso ai sensi dell’art. 84 c.p., comma 1, ed esclusione invece dell’applicabilità di quella generale sul concorso di reati”.

La stessa soluzione dovrà, naturalmente, valere nel caso di guida in stato di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanza stupefacenti o psicotrope (art. 589 bis c.p., comma 2, e art. 590 bis c.p., comma 2).

4. Consegue da tutte le considerazioni svolte l’annullamento, da operarsi senza rinvio, della sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta per la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza, pena che deve essere eliminata ed il rigetto, nel resto, del ricorso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta per la contravvenzione di cui alla lett. c) (guida in stato di ebbrezza), pena che elimina.

Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2018.