Precisazione delle conclusioni e rinuncia tacita ad una domanda. Per la Suprema Corte è necessaria una valutazione complessiva della condotta processuale (Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 settembre – 5 dicembre 2014, n. 25725).

B.U. convenne, davanti al tribunale di Lecco, B.R. chiedendone la condanna al rilascio degli immobili da questo occupati, di comproprietà delle parti al 50%.

Il convenuto, costituitosi, contestò la fondatezza della domanda chiedendo, in via riconvenzionale, che fosse pronunciata sentenza ex art. 2932 c.c. per il trasferimento in suo favore della quota degli immobili facenti capo all’attore.

Il tribunale, con sentenza del 24.1.2005, rigettò tutte le domande.

Proposero, appello principale B.R. ed incidentale B.U. .

La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 19.5.2008, accolse l’appello principale ed emise sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c. con la quale trasferì a B.R. la proprietà dei beni immobili come indicati in sentenza condannando quest’ultimo al pagamento delle somme dovute quale saldo del prezzo di acquisto ed a titolo di indennità di occupazione.

Ha proposto ricorso principale per cassazione affidato a sei motivi B.U. .

Resiste con controricorso B.R. che ha anche proposto ricorso incidentale affidato a due motivi al quale resiste con controricorso il ricorrente principale.

B.R. ha anche presentato note di udienza.

Motivi della decisione

Preliminarmente è disattesa l’eccezione di “nullità del ricorso per difetto di valida procura”, sollevata dal resistente e ricorrente incidentale.

La procura apposta a margine del ricorso per cassazione nella quale il mandato difensivo è conferito con espressioni generiche, non menzionanti specificamente il giudizio di cassazione, e senza data, – come nella specie – infatti, è da considerarsi validamente rilasciata, poiché l’incorporazione dei due atti in un medesimo contesto documentale implica necessariamente quello specifico e puntuale riferimento dell’uno all’altro, che il disposto dell’art. 365 c.p.c., richiede ai fini del soddisfacimento del requisito della specialità (fra le tante Cass. 2.12.2005 n. 26233; v. anche Cass. 25.1.2001 n. 1058).

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I.

Ricorso principale.

Alcuni dei motivi sono inammissibili, altri infondati.

Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 177, 180, 184, 186, 189 e 2932 c.c. e 102 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..

Il quesito è il seguente: “Se nel caso di azione ex art. 2932 c.c., promossa dal promittente acquirente, sposato, in regime di comunione legale dei beni, vi sia litisconsorzio necessario, ex art. 102 c.p.c., con il coniuge, anche se questi non ha sottoscritto il contratto preliminare”.

Si tratta di un quesito generico, che non coglie le particolarità del caso concreto; come tale, non consente alla Corte di enunciare un principio di diritto che dia soluzione allo stesso caso.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

Peraltro, non si comprende il motivo di censura, posto che trattasi del coniuge del convenuto che sarebbe dovuto essere evocato semmai dall’attore.

Non senza evidenziare che, in ogni caso, il tema non ha mai formato oggetto di discussione nei gradi di merito e che, nella specie, il tema del litisconsorzio non coglie nel segno, posto che B.R. concluse il proprio impegno preliminare ad acquistare la quota di B.U. in proprio e senza la presenza del coniuge; né la circostanza che i beni in questione fossero oggetto di comunione legale risulta avere mai fatto parte del panorama processuale nei gradi di merito (v. sul punto Cass. 24.1.2008 n. 1548).

Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 40 comma 2 della Legge n. 41 del 28.02.1985 e successive modifiche ed in particolare del D.P.R. n. 380/01 e dell’art. 2932 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..

Il quesito è il seguente: “Se il Giudice possa emettere una sentenza ex art. 2932 c.c. anche in assenza, nel contratto preliminare o in un atto successivamente prodotto in giudizio, della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia per ciascun bene immobile oggetto della promessa di vendita ovvero dell’allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione, in violazione dell’art. 40 comma 2 della Legge n. 47 del 28.02.1985 e successive modifiche, con particolare riferimento al D.P.R. n. 380/012 (Testo Unico sull’Edilizia)”.
Il quesito parte da un presupposto del quale non è fatta menzione nella sentenza impugnata: “la mancata dichiarazione degli estremi della concessione edilizia per ciascun bene immobile oggetto della promessa di vendita ovvero l’allegazione della domanda di concessione in sanatoria” nel contratto preliminare o in un atto successivamente prodotto in giudizio.

Né risulta che il ricorrente abbia mani eccepito nei gradi di merito la mancata produzione della licenza edilizia quale impedimento all’esecuzione del contratto; con la conseguente novità della censura.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346, 1351, 1362 e ss. e 2932 e. e. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..

Il motivo non è fondato.

La sentenza costitutiva che tiene luogo del contratto non concluso ex art. 2932 c.c. deve rispecchiare integralmente le previsioni negoziali delle parti quali risultano dall’ interpretazione del contratto preliminare.

Il giudice,però, mentre non può, in linea di principio, modificare il contenuto del preliminare, non deve neppure limitarsi ad una semplice meccanica trasposizione di esso, ma è tenuto, come per ogni altro contratto, ad accertare la effettiva volontà delle parti, anche in ordine alla esatta identificazione dell’oggetto, ed a trasfondere i risultati di tale indagine nella sentenza costitutiva che è chiamato ad emettere.

Ciò che vuoi dire che l’oggetto del contratto stesso, se non individuato esattamente deve essere tuttavia individuabile, eventualmente anche con elementi acquisiti aliunde con riferimento ad altri atti e documenti collegati a quello oggetto di valutazione (Cass. 1.2.2013 n. 2473; Cass. 26.4.1990 n. 3486; Cass. 5.8.1987 n. 6724).

La Corte di merito ha seguito puntualmente tali principi ricostruendo la volontà delle parti e pervenendo ad un’esatta e puntuale individuazione dei beni oggetto del contratto preliminare attraverso ” il riferimento alla quota ereditaria di comproprietà degli immobili identificata per relationem rispetto all’asse ereditario e corrispondente alla quota individuata tra i fratelli U. e Ri. (rectius R. ), a seguito dello stralcio della quota dell’altro fratello S. “.

Nessuna violazione le è, quindi, imputabile.

Né il riferimento al precedente (Cass. n. 11874/2002) evocato dal ricorrente principale coglie nel segno, posto che, in quel caso, si trattava di un suolo senza alcuna indicazione dei confini e degli estremi catastali; come tale non individuabile.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346, 1351, 1362 e ss. e 2932 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..

Anche in questo caso il motivo non è fondato.

Lo stesso ripercorre le medesime censure già esaminate con il terzo motivo e si risolve in una censura di merito investendo l’apprezzamento effettuato dalla Corte di merito – cui spetta – in ordine agli elementi di identificabilità dell’oggetto del contratto, correttamente individuati ed esaminati.

Il quinto e sesto motivo riguardano vizi motivazionali (“erronea – illogica – insufficiente motivazione”), ma sotto questo profilo difetta il momento di sintesi; né sono indicate le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

I relativi motivi sono, quindi, inammissibili.

ricorso incidentale.

Con il primo motivo il ricorrente incidentale denuncia errore di diritto e conseguente omessa motivazione con riguardo alla tardività di eccezioni formulate nel processo di merito.

Il motivo è fondato per le ragioni che seguono.

L’attuale ricorrente incidentale, nel giudizio di primo grado, aveva concluso chiedendo dichiararsi “inammissibili, prescritte e comunque infondate nel merito e per l’effetto respingere le domande proposte dal sig. B.U. nei confronti del sig. B.R. e mandare assolto quest’ultimo da ogni avversa pretesa”.

Il tribunale negò la spettanza dell’indennità per il regime di comproprietà esistente fra le parti.

B.R. , nell’impugnare la sentenza che, invece, rigettava la domanda volta ad ottenere l’adempimento del preliminare, chiese, quindi, la conferma della decisione di primo grado sul capo relativo all’insussistenza del diritto all’indennizzo.

Più puntualmente nell’atto di appello – il cui esame è consentito a questa Corte per la denuncia di un vizio processuale – si legge….”. In ogni caso, anche su tale punto, la scrivente difesa, a prescindere dall’infondatezza nel merito delle pretese attoree, ha chiarito che in ogni caso, le stesse risultano per la maggior parte prescritte, posto che l’indennità per l’occupazione di immobili senza titolo ha natura extracontrattuale, come esplicitamente precisato nella stessa sentenza della Suprema Corte richiamata da controparte per sostenere il proprio diritto …. cui consegue che l’indennità richiamata è soggetta alla prescrizione quinquennale giusto il disposto dell’art. 2947 c.c.”.

La medesima indicazione risulta riportata nella comparsa conclusionale di appello.

Erronea è, pertanto, l’affermazione della Corte di merito per la quale “l’eccezione di prescrizione formulata da B.R. nella conclusionale di appello, ma non nelle conclusioni rassegnate, è tardiva e inammissibile”.

La mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata, infatti, non autorizza alcuna presunzione di rinuncia tacita in capo a colui che ebbe originariamente a proporla, essendo necessario che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno del relativo interesse (Cass.3.2.2012 n. 1603; Cass. 16.2.2010 n. 3593; Cass. 26.9.1997 n. 9462; v. anche S.U. 22.11.1984 n. 6003).

Ciò che, per le ragioni più sopra esposte, non ricorre nel caso in esame in cui il ricorrente incidentale ha mantenuto vivo il suo interesse sul punto della prescrizione attraverso la sua indicazione nella richiesta di conferma della statuizione di primo grado sul capo che negava il diritto all’indennizzo, con la sua illustrazione negli atti di secondo grado richiamati. Non senza evidenziare che in materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse (Cass. 11.5.2009 n. 10796; v. anche per la tematica sull’art. 346 c.p.c. Cass. 17.2.2014 n. 3613).

Il secondo motivo relativo alla compensazione delle spese del giudizio di appello resta assorbito.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte di cassazione può decidere nel merito ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c. e rigettare l’appello incidentale dichiarando prescritto il diritto all’indennità di occupazione dal 1989 fino al 15.7.1993.

L’indennità di occupazione di immobile costituisce, infatti, l’oggetto di un’obbligazione extracontrattuale (Cass. 15.5.2013 n. 11736), con la conseguente applicazione dell’art. 2947 c.c..

La richiesta di indennità, pertanto, formulata soltanto nel 2001 con riferimento all’occupazione senza titolo fino al 1993 era ormai abbondantemente prescritta (cinque anni).

Conclusivamente, è rigettato il ricorso principale; è accolto il primo motivo del ricorso incidentale e dichiarato assorbito il secondo.

La sentenza è cassata in relazione e, pronunciandosi nel merito, è rigettato l’appello incidentale e dichiarato prescritto il diritto al pagamento dell’indennità di occupazione senza titolo dal 1989 al 1993.

Le spese dell’intero processo seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale.

Accoglie il primo motivo dell’incidentale e dichiara assorbito il secondo.

Cassa in relazione e, decidendo nel merito, rigetta l’appello incidentale e dichiara prescritto il diritto al pagamento dell’indennità di occupazione senza titolo dal 1989 al 1993.

Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese dell’intero processo che liquida:

per il giudizio di primo grado in Euro 3.000,00 per diritti, Euro 4.000,00 per onorari ed Euro 150,00 per spese;

per il giudizio di appello in Euro 2.500,00 per diritti, Euro 3.000,00 per onorari ed Euro 150,00 per spese; e per il giudizio di cassazione in complessivi Euro cinquemiladuecento, di cui Euro 5.000,00 per compensi;

il tutto oltre spese generali ed accessori di legge per i tre gradi.