Professore della facoltà di veterinaria condannato per atti sessuali nei confronti dei propri studenti (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 5 ottobre 2015, n. 39877).

(Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 5 ottobre 2015, n. 39877)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRANCO Amedeo – Presidente –

Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere –

Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:

P.F. N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 163/2015 TRIB. LIBERTA’ di ANCONA, del 12/05/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;

sentite le conclusioni del PG Dott. Izzo Gioacchino del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 12/5/2015 ha parzialmente accolto la richiesta di riesame presentata nell’interesse di P.F. ed ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella interdittiva della sospensione dell’esercizio del pubblico ufficio di docente presso l’Università degli studi di Camerino, essendo questi indagato dei reati di cui all’art. 609-bis c.p., comma 1, art. 609-bis c.p., commi 1 e 5-bis, art. 609-septies c.p., comma 4, n. 3, perchè, mediante abuso di autorità, quale docente titolare della cattedra di anatomia degli animali domestici presso la facoltà di veterinaria dell’Università di Camerino e, come tale, pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni, compiva, in danno di alcuni studenti, mentre gli stessi frequentavano le sue lezioni o esercitazioni, atti sessuali mediante uso di violenza, costituita dalla repentinità degli stessi, nonchè del reato di cui agli artt. 56 e 317 cod. pen. perchè, nelle medesime qualità, abusando delle stesse e dei poteri ad esse inerenti, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere uno studente a recarsi da lui per incontri sessuali, inviando una e-mail con la minaccia “se non vieni immediatamente da me ti faccio espellere dalla facoltà”.

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il travisamento delle risultanze delle indagini preliminari in relazione al delitto di tentata concussione, osservando che, alla luce dei fatti accertati, non sarebbe ravvisabile alcuna connessione tra la convocazione ed eventuali molestie sessuali e che quanto avvenuto si presterebbe, comunque, a letture alternative.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la mancanza o contraddittorietà della motivazione ed il travisamento delle risultanze delle indagini preliminari con riferimento al reato di violenza sessuale, rilevando, anche in questo caso, che le emergenze indiziarie, che analizza nel dettaglio, avrebbero dovuto essere diversamente valutate.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla durata della misura interdittiva applicata, non avendo il Tribunale specificato le ragioni per le quali la stessa sarebbe stata applicata nel massimo. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione 

1. Il ricorso è inammissibile.

Va preliminarmente ricordato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari personali deve riguardare esclusivamente la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione entro i limiti indicati dalla norma, con la conseguenza che il controllo di legittimità non può riferirsi alla ricostruzione dei fatti o censure che, seppure formalmente rivolte alla motivazione, si concretino in realtà nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già prese in considerazione dal giudice di merito (v. da ultimo, Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, Magliaro Rv. 241997).

Il controllo del giudice di legittimità non concerne, dunque, nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito su attendibilità delle fonti, rilevanza e/o concludenza dei dati probatori, essendo inammissibile, in questa sede, la prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito e resta circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:

l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (così Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, Contarini, Rv. 261400; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998 (dep. 1999), Sabatini, Rv. 212565, V. anche Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, Contarini, Rv. 261400).

2. Così delimitato l’ambito di operatività di questa Corte, deve rilevarsi, con riferimento al primo e secondo motivo di ricorso, che gli stessi sono articolati quasi esclusivamente in fatto, peraltro con richiami ad atti del processo l’accesso ai quali non è consentito a questo giudice di legittimità, risolvendosi in una inammissibile prospettazione di una lettura alternativa delle emergenze investigative.

Per contro, i giudici del riesame hanno chiaramente illustrato il corredo indiziario posto a sostegno della misura applicata, ponendo in evidenza la univocità dei contenuti delle sommarie informazioni rese da numerosi studenti, ritenuti tutti verosimilmente indifferenti rispetto al docente, avendo già positivamente superato l’esame con lui sostenuto e valorizzando il contenuto di una conversazione registrata, durante la quale il docente avrebbe ammesso di aver tenuto condotte moleste.

Quanto alla tentata concussione, il Tribunale prende in esame il tenore della e-mail nella quale è stata individuata la minaccia, analizzando ed escludendo anche possibili diverse interpretazioni di quanto vi è scritto.

Si tratta, ad avviso del Collegio, di argomentazioni del tutto coerenti e prive di salti logici che, in ogni caso, per le ragioni dianzi esposte, non possono essere nuovamente prese in esame.

3. Parimenti adeguata risulta, inoltre, la motivazione in punto di sussistenza delle esigenze cautelari, che, peraltro, non è oggetto di specifica contestazione, lamentando soltanto il ricorrente, nel terzo motivo di ricorso, la mancanza di motivazione in ordine alla durata della misura, che nel dispositivo dell’ordinanza impugnata viene indicata in un anno.

Anche tale assunto, tuttavia, risulta manifestamente infondato.

4. L’art. 308 c.p.p., comma 2, come modificato dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, art. 10, comma 1, stabilisce che le misure interdittive non possono avere durata superiore a dodici mesi e perdono efficacia quando è decorso il termine fissato dal giudice nell’ordinanza.

Qualora siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può invece disporne la rinnovazione nei limiti temporali previsti dal primo periodo dello stesso comma.

Come questa Corte ha già avuto modo di osservare (Sez. 2, n. 29132 del 12/3/2013, Tomassetti, Rv. 256347), l’art. 289 cod. proc. pen. non prevede che l’ordinanza che disponga la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio debba indicare un termine di efficacia, perchè si applica la regola generale prevista per le misure interdittive, dal citato art. 308 c.p.p., comma 2.

Non vi era pertanto alcuna esigenza di specifica motivazione sul punto da parte dei giudici del riesame.

5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

P.Q.M. 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende. 

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2015.