Prostituzione: cosa è reato e cosa deve considerarsi lecito.

La disciplina legale della professione più antica del mondo varia notevolmente da un Paese all’altro.
In alcuni Stati, anche europei (ad es. Germania, Paesi Bassi e Repubblica Ceca), il fenomeno è regolamentato da norme pubblicistiche, mentre altri Paesi adottano un modello proibizionista, qualificando la prostituzione come illegale e punendo sia chi la pratica che chi profitta del servizio, oppure abolizionista.
Quest’ultimo tende a non punire la prostituzione in sé, ma a criminalizzare una serie di reati correlati al fenomeno, come ad esempio lo sfruttamento, il favoreggiamento, l’induzione ecc.
L’Italia viene normalmente collocata nel filone neo-abolizionista, evoluzione del modello precedente che, pur non vietando la prostituzione “outdoor”, ne punisce la pratica “indoor”.
Il fenomeno della prostituzione in Italia
Fu la legge Merlin (l. 20 febbraio 1958, n. 75) a determinare la chiusura delle c.d. “case di tolleranza”, ed è lo stesso provvedimento che oggi è al centro di un acceso dibattito alimentato da un indirizzo regolamentarista.
Il fenomeno non è di poco conto: si stima nel nostro territorio una vistosa crescita che ha portato a contare 90.000 operatori del sesso e 3 milioni di clienti, per un giro d’affari che raggiunge i 3 miliardi e mezzo annui, senza considerare la clientela nostrana che porta guadagni ai numerosi bordelli esteri. Ed i numeri sono annualmente sempre più elevati.
Reclutamento, favoreggiamento, prostituzione minorile, induzione tratta di persone ed esercizio in luoghi chiusi sono veri e propri reati espressamente puniti dalla legge penale.
A ciò si aggiunge la prostituzione indoor, vietata in alberghi, case mobiliate, pensioni, spaccio di bevande, circoli, locali da ballo o luoghi di spettacoli, o loro annessi e dipendenze, o qualunque locale aperto al pubblico o utilizzato dal pubblico.
La prevalente giurisprudenza richiede, per integrare il concetto di casa di prostituzione previsto dalla legge Merlin, un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, che implica il necessario contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone negli stessi locali ed, all’interno dello stesso locale (cfr. ex multis, Cass., sent. n. 7076/2012 e 33160/2013).

Ciò non avviene per la professione in strada, ormai normalmente tollerata sia per chi la pratica che per chi ne accede, come dimostra la copiosa giurisprudenza in materia.

Ad esempio, non commette favoreggiamento, il cliente che dopo aver consumato il rapporto a pagamento, riaccompagna la prostituta nel luogo in cui questa esercita la sua professione (cfr. Cass., sent. n. 1716/2005).
Inoltre, per i giudici di Cassazione (cfr. sent. n. 38701/2014) le “lucciole” non sono soggetti socialmente pericolosi, pertanto non può essere nei loro confronti giustificato il foglio di via obbligatorio, in quanto per l’inclusione nella categoria dei soggetti socialmente pericolosi (ex art. 1, comma 1, n. 3, l. 1423 del 1956) non è sufficiente il mero svolgimento abituale di attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume, ma occorrono elementi di fatto dimostrativi della commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (leggi anche: Cassazione: le lucciole non sono socialmente pericolose. Annullato il rimpatrio con il foglio di via).
Ancora, (Cass. n. 302/2015) “è del tutto pacifico che l’esercizio della prostituzione in sé non rientra tra le categorie delle persone pericolose ai sensi della vigente normativa”.
Prostituzione: la recente proposta bipartisan
Da anni, il dibattito sull’abolizione della Legge Merlin, con la conseguente reintroduzione delle case chiuse attraverso una precisa regolamentazione del fenomeno, è argomento che occupa il banco dei palazzi del potere, ma le proposte politiche non hanno mai avuto un seguito concreto.
Sono numerose le motivazioni avanzate a sostegno della regolamentazione e spaziano dalla riqualificazione urbana, ai maggiori controlli, arrivando al sistema di tassazione e agli introiti che lo Stato potrebbe ottenere dalla disciplina fiscale di un fenomeno che, senza cadere in moralismi, esiste e continua ad essere praticato come vera e propria professione.
Tutto ciò potrebbe a breve cambiare a seguito di una proposta di legge bipartisan presentata ad aprile 2015.
Il disegno di legge (in transito alla Camera al momento in cui si scrive), ha il sostegno di 70 tra deputati e senatori provenienti da diversi partiti come Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Ncd, PD e Lega Nord.
Si vuole consentire a chiunque eserciti la professione liberamente e per propria scelta, di farlo in zone precise, individuate dai Comuni o anche in casa, di aprire una partita IVA da gestire in singolo o in maniera cooperativa (previa iscrizione alla Camera di Commercio), pagare le tasse, e vivere nella legalità contributiva e previdenziale.
Il testo prevede anche l’obbligo di trattamenti sanitari obbligatori, la possibilità che parte dei proventi della tassazione siano destinati ad agevolare le prostitute che decidono di abbandonare il mestiere, a contrastare la tratta di esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione anche minorile, all’educazione sessuale e alla formazione del personale sanitario e di assistenza.
In generale, l’autodeterminazione e il controllo statale sui sex workers, con la collaborazione dei Comuni e delle singole realtà territoriali, potrebbe comportare vantaggi non solo per le casse dello Stato, ma anche per la regolamentazione di un lavoro quantomai diffuso e praticato.