Protesi installata a regola d’arte, ma i denti non devitalizzati bene. Odontoiatra disattento e condannato.

(Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 aprile – 22 giugno 2015, n. 12871)

Svolgimento del processo

l. A.C. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio, il dott. D.F., chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni conseguenti a sua negligenza professionale nell’esecuzione di una terapia odontoiatrica.

Si costituì il dott. F., eccependo preliminarmente la decadenza e la prescrizione ai sensi dell’art. 2226 cod. civ. e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.

Espletata una c.t.u., il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attore al pagamento delle spese di lite.

2. Proposto appello dal C., la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 13 giugno 2011, ha accolto parzialmente il gravame, condannando il dott. F. al pagamento della somma di euro 4.260,80, nonché alla rifusione del 50 per cento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ha osservato la Corte territoriale che le eccezioni di decadenza e prescrizione sollevate dal professionista erano infondate, perché nella specie concorrevano la responsabilità contrattuale con quella extracontrattuale, per cui il termine di prescrizione cominciava a decorrere «non dalla cessazione del rapporto professionale, bensì dal momento in cui la produzione del danno è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato».

Tanto premesso, la Corte milanese ha rilevato che non vi era prova dell’esistenza di vizi o difetti nella realizzazione della protesi da parte dell’odontoiatra; ciò nonostante, i denti sui quali il dott. F. era intervenuto risultavano devitalizzati in maniera non corretta, con conseguente necessità di rimuovere la protesi stessa, con esborso previsto della somma di euro 4.260,80.

Era irrilevante, a parere della Corte, che le scorrette devitalizzazioni fossero state eseguite personalmente dall’appellato o da altro medico, perché la responsabilità del dott. F. conseguiva ugualmente, essendo egli tenuto a «verificare la congruità delle devitalizzazioni prima di procedere al posizionamento della protesi».

Nessun ulteriore risarcimento spettava al C. se non quello suindicato, perché i trattamenti canalari eseguiti non avevano comportato infezioni o complicanze e i dolori avvertiti dal paziente non avevano trovato un riscontro clinico.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano propone ricorso il dott. D.F., con atto affidato a due motivi.

Resiste A.C. con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta omessa motivazione su un punto fondamentale della controversia, nonché violazione degli artt. 2226, 2943, 2945 e 2964 cod. civ., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto non fondate le eccezioni di decadenza e prescrizione.

Osserva il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe errato nel negare fondamento a tali eccezioni. Dagli atti prodotti in sede di merito risultava che, conclusi i lavori il 23 dicembre 2000 (data della fattura), il primo atto interruttivo della prescrizione era costituito dalla lettera raccomandata dell’8 maggio 2001, cui aveva fatto seguito la notifica dell’atto di citazione in data 29 settembre 2004. Conseguiva da tali elementi che il termine di decadenza di otto giorni era decorso e che, comunque, si era maturata la prescrizione di cui all’art. 2226 cod. civ., perché tra la lettera raccomandata e l’atto di citazione non vi era stato alcun ulteriore atto interruttivo della prescrizione stessa. Rimaneva soltanto, quindi, l’azione ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ma la sentenza impugnata, pur avendo enunciato un principio corretto, non avrebbe in realtà indicato né quando la produzione del danno sarebbe stata in concreto percepibile, né da quale momento decorrevano i termini di decadenza e prescrizione, con evidente violazione di legge e conseguente vizio di motivazione.

1.1. Il motivo non è fondato, anche se occorre procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, del codice di procedura civile.

1.2. La motivazione, sopra riportata, con la quale la Corte d’appello ha respinto le eccezioni di decadenza e di prescrizione sollevate dal dott. F. è palesemente lacunosa; se, infatti, è esatto affermare che il termine di prescrizione decorre dal momento in cui la produzione del danno è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato (sentenza 27 luglio 2007, n. 16658), è pure vero che la Corte milanese non ha aggiunto altre considerazioni su questo punto, per cui non è dato comprendere quale ragionamento sia stato svolto per pervenire a tale conclusione, giacché non risulta quando il danno sia divenuto oggettivamente percepibile per il paziente e, di conseguenza, da quando la prescrizione abbia cominciato a decorrere.

1.3. Tanto premesso, la decisione di rigetto è tuttavia fondata, ma in conseguenza del diverso percorso logico che si va adesso a compiere.

La giurisprudenza di questa Corte, già con la sentenza 23 luglio 2002, n. 10741, emessa proprio in relazione allo svolgimento di prestazioni odontoiatriche, ha avuto modo di precisare che l’art. 2226 cod. civ., che regola i diritti del committente per il caso di difformità e vizi dell’opera, non è applicabile al contratto di prestazione di opera professionale intellettuale; essa infatti ha per oggetto, pur quando si estrinsechi nell’istallazione di una protesi dentaria, la prestazione di un bene immateriale in relazione al quale non sono percepibili, come per i beni materiali, le difformità o i vizi eventualmente presenti, assumendo rilievo assorbente l’attività riservata al medico dentista di diagnosi della situazione del paziente, di scelta della terapia, di successiva applicazione della protesi e del controllo della stessa.

Pertanto, non potendosi individuare un’entità materiale nell’opera del dentista, la protesi può considerarsi un’opera materiale ed autonoma solo in quanto oggetto della prestazione dell’odontotecnico.

Tale orientamento – che ha ricevuto l’autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 28 luglio 2005, n. 15781, ancorché riguardante la prestazione d’opera intellettuale nel suo complesso – è stato poi ulteriormente ribadito dalla sentenza 9 marzo 2006, n. 5091, sempre in materia di prestazioni odontoiatriche, e da altre successive in materia di prestazione d’opera intellettuale in generale (v. la sentenza 20 dicembre 2013, n. 28575).

L’odierna pronuncia intende dare continuità a simile orientamento, del tutto condiviso. Ciò comporta che deve escludersi la possibilità di applicare al caso in esame la norma dell’art. 2226 cod. civ. in tema di contratto d’opera.

Una volta raggiunta questa conclusione, è lo stesso ricorso a dare conto delle ragioni per le quali non si era maturato, nella specie, il decorso della prescrizione. Ed infatti, i lavori di installazione delle protesi si erano conclusi il 23 dicembre 2000 (data della fattura) e la prescrizione era stata poi interrotta dalla lettera raccomandata dell’8 maggio 2001 cui aveva fatto seguito la notifica dell’atto di citazione in data 29 settembre 2004.

Nessun dubbio, quindi, sul fatto che il diritto azionato dal C. – a prescindere dalla qualificazione della responsabilità del dott. F. in termini contrattuali (quale effettivamente era) o extracontrattuali – non fosse prescritto nel momento in cui l’odierno giudizio ebbe inizio.

Il primo motivo di ricorso, pertanto, non è fondato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta contraddittorietà della motivazione in merito alla responsabilità del ricorrente, con violazione dell’art. 2043 del codice civile.

Osserva il ricorrente che – essendo la responsabilità per fatto illecito fondata sulla condotta, l’evento ed il nesso di causalità – la sentenza in esame non avrebbe indicato alcuno dei tre suddetti elementi.

La presunta sussistenza di una negligenza sarebbe in contrasto con la successiva affermazione secondo cui i trattamenti compiuti dal ricorrente non avevano determinato infezioni o complicanze; non sarebbe chiaro neppure l’evento dannoso conseguito, non comprendendosi per quale ragione il dott. F. debba pagare per l’esecuzione di cure che non hanno comportato alcun danno.

2.1. Il motivo non è fondato.

La corte d’appello, infatti, con una motivazione congrua ed immune da vizi logici, ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto di individuare alcune precise responsabilità nell’operato del professionista, nei termini che sono stati in precedenza riferiti.

Si tratta, come facilmente si comprende, di un accertamento di merito insuscettibile di nuova valutazione nella presente sede di legittimità; né, d’altra parte, vi è alcuna contraddizione logica nell’affermare che il dott. F. eseguì correttamente il proprio lavoro ma che, tuttavia, operò in modo negligente in quanto non verificò la reale situazione dei denti sui quali andava ad installare le protesi.

Il motivo in esame, tendente ad un nuovo e non consentito, esame del merito, è quindi infondato.

3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 2.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.