Quando un contratto è qualificabile “per adesione”?

(Corte di Cassazione civile sentenza del 14.04.2015, n. 7607)

Va confermato l’orientamento secondo cui, alla luce del testo dell’art. 1341 cod. civ., un contratto è qualificabile “per adesione” solo quando sia destinato a regolare una serie indefinita di rapporti e sia stato predisposto unilateralmente da un contraente.

Ne consegue che tale ipotesi non ricorre quando risulta che il negozio è stato concluso mediante trattative intercorse tra le parti.

Cassazione civile, sezione prima, sentenza del 15.4.2015, n. 7607

…omissis…

Motivi della decisione

Con i primi due motivi, che la stessa ricorrente tratta unitariamente, si denunciano, rispettivamente:

a) la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 1, artt. 1341, 1342 e 2697 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

b) la violazione delle regole sulla competenza.

In particolare, la ricorrente torna a sostenere l’invalidità e l’inefficacia della clausola compromissoria, per difetto di specifica approvazione, rilevando:

a) che alla riunione del 25 febbraio 2005, nella quale si esaminarono le richieste di modifica che il consorzio aveva ricevuto rispetto a due delle clausole riportate nel testo originario, le imprese parteciparono come consorziate e non come mandanti, al fine di individuare la regolamentazione che il consorzio avrebbe adottato per la disciplina dei propri futuri rapporti con le imprese aderenti; b) che la tesi della contrapposizione di ruoli rivestiti dalle imprese, consorziate e mandanti, era stata immotivatamente disattesa dalla Corte territoriale, nonostante la chiara distinzione sul piano giuridico e il fatto che una decisione a maggioranza avrebbe avuto senso solo in relazione ad una questione interna al consorzio;

c) che tale conclusione era corroborata dal fatto che, all’esito della riunione, erano stati cambiati tutti i moduli proposti dal consorzio, ivi incluso quello relativo alla società C., che all’indicata riunione non aveva partecipato;

d) che la tesi recepita dalla Corte territoriale, secondo la quale gravava sulla società ricorrente l’onere di dimostrare che la discussione riguardava soltanto alcune clausole e non l’intero testo contrattuale, oltre a trascurare il fatto che erano state disattese le richieste istruttorie sul punto, non era rispondente al dettato normativo, giacchè, una volta appurato che si è di fronte, come nel caso di specie, ad un modulo predisposto da una parte per regolare in modo uniforme più rapporti, spetta a colui che intenda avvalersi di tale clausola di provare il fatto impeditivo dell’intervenuta negoziazione;

e) che, infine, la Corte territoriale, ritenendo inapplicabili gli artt. 1341 e 1342 cod. civ., in quanto il mandato del quale si tratta era attuativo di un sottostante rapporto consortile caratterizzato dalla comunione di scopo, aveva, per un verso, omesso di considerare che il collegamento negoziale lascia inalterata l’autonomia causale dei singoli negozi e, per altro verso, contraddittoriamente negato l’esistenza di un contrasto di interessi, salvo poi applicare gli istituti della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno, che tale contrasto presuppongono.

Il motivo di ricorso è infondato.

Come risulta inequivocamente dal testo dell’art. 1341 cod. civ. e come riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, un contratto è qualificabile “per adesione” solo quando sia destinato a regolare una serie indefinita di rapporti e sia stato predisposto unilateralmente da un contraente. Ne consegue che tale ipotesi non ricorre quando risulta che il negozio è stato concluso mediante trattative intercorse tra le parti (Cass., sez. 3, sentenza del 19 maggio 2006, n. 11757; Cass., sez. 3, sentenza del 30 gennaio 2008, n. 2110).

Il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale muove appunto dalla premessa rappresentata dal fatto che il testo contrattuale del mandato commerciale contenente la clausola compromissoria non era il risultato di una unilaterale predisposizione da parte del consorzio, in quanto esprimeva il frutto di un’analisi, discussione o negoziazione tra le parti.

Tale accertamento si fonda sia sulla documentata pluralità di testi contrattuali non definitivi, sia sull’esistenza di una riunione destinata dalla discussione della regolamentazione negoziale.

In tale prospettiva, il rilievo secondo il quale non risultava l’esistenza di prova contraria a tale conclusione, va apprezzato, al di là del riferimento alla distribuzione degli oneri probatori, esattamente nei termini in cui è formulato, ossia nel senso che non emergevano dati contrastanti con la ricostruzione operata.

Del resto, quest’ultima è corroborata, nel complesso motivazionale della sentenza impugnata, proprio dall’esame della natura dei rapporti economici esistenti tra il consorzio e le imprese consorziate, che, al di là degli schemi giuridici adoperati, si traduce in una comunanza di interessi rispetto alla operazione realizzata (limitazione negoziale della libertà delle imprese al fine di conseguire i vantaggi derivanti dal maggiore potere contrattuale del consorzio rispetto ai terzi, derivante dall’unitaria gestione dei rapporti).

Quest’ultimo rilievo è, infatti, valorizzato dalla Corte d’appello proprio per rilevare come fosse “arduo ipotizzare che il testo del mandato commerciale sia stato frutto di imposizione dal consorzio mandatario ai proprio consorziati mandanti”. Siffatta unitaria valutazione, per un verso, non si espone ad alcuna censura di insufficienza o contraddittorietà motivazionale e, per altro verso, non collide in alcun modo con il dettato degli artt. 1341 e 1342 cod. civ., in quanto, all’evidenza, il carattere concordato del testo presuppone una fase libera di trattative sul contento dell’accordo, quale che sia l’autore dello schema di lavoro e quali che siano poi le concrete scelte negoziali assunte dalle parti e lo specifico attivismo nell’attuazione delle stesse (ciò che, sia detto per completezza argomentativa, rendeva del tutto irrilevanti le richieste istruttorie aventi ad oggetto l’individuazione nel consorzio del testo originario del mandato, la limitazione della discussione, nella riunione del 25 febbraio 205, da parte delle imprese consorziate ad alcune delle clausole e, infine, l’assenza, in quella sede, di uno specifico consenso all’inserzione o al mantenimento della clausola compromissoria).

Con il terzo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 9, art. 115 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sottolineando che la prova dell’esistenza e dell’entità del danno era stata ritenuta raggiunta dal collegio arbitrale attraverso l’introduzione, sottratta al principio del contraddittorio, di un elemento nuovo, rappresentato dal fatto notorio dell’evidenza del discredito commerciale sofferto dal consorzio, che, tuttavia, non possedeva i necessari caratteri di ineludibilità e incontestabilità, secondo quanto era emerso da tutte le risultanze istruttorie acquisite. Il motivo è infondato.

Le massime o nozioni di comune esperienza, da intendersi come proposizioni di ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fenomeni naturali o socioeconomici, costituiscono regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall’osservazione reiterata di fenomeni naturali e socio-economici di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, in base all’art. 115 cod. proc. civ., come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l’argomentazione di tipo presuntivo (Cass., sez. 2, sentenza del 4 ottobre 2011, n. 20313; nello stesso senso, v. Cass., sez. 3, sentenza del 28 ottobre 2010, n. 22022, la quale ha precisato che il mancato ricorso, da parte del giudice del merito, a dette massime, in quanto interferente sulla valutazione del fatto, è suscettibile di essere apprezzato sotto il profilo del vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Nella specie, le considerazioni svolte dal lodo, quanto al fatto che la capacità contrattuale, ossia il potere negoziale di una centrale di acquisti, come il consorzio C., si pone in relazione all’entità del fatturato aggregato esprime un principio desunto dall’analisi della realtà economica (e, può aggiungersi confermato proprio dalle modalità negoziali che i vari consorziati avevano scelto per garantire uniformità di gestione nei rapporti con i produttori e gli altri fornitori: il dato è rilevato dalla stessa ricorrente che richiama il punto 4.1., lett. b) secondo trattino dello statuto consortile) che la medesima ricorrente riconosce esistente, sia pure come macro – principio, limitandosi a contestare che una modesta variazione del fatturato comporti sicuramente una variazione di immagine o di trattamento.

Ma proprio questa puntualizzazione dimostra che, attraverso il mezzo di gravame proposto dinanzi alla Corte territoriale, la ricorrente aspirava appunto a censurare la valutazione delle risultanze istruttorie, condotta dal collegio arbitrale alla luce dell’indicata massima d’esperienza, ossia inammissibilmente a introdurre, attraverso la formale doglianza della violazione del principio del contraddittorio, motivi di nullità non previsti dall’art. 829 cod. proc. civ..

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.