Resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate. I militi cercano di contestare una infrazione del codice della strada ad una ragazza e intervengono gli imputati dicendo: sempre qua a controllare state. Avete già condanne a morte sulla testa da parte dei cittadini … ricordati che hai un bambino piccolo. Poi delle spinte ai Carabinieri.

(Corte di Cassazione penale, sez. VI, sentenza 18 maggio 2016, n. 20668)

Sentenza

sul ricorso proposto da:

U.G., nato a (OMISSIS);

Avverso la sentenza del 26/11/2013 della Corte di appello di Cagliari;

Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Massimo Ricciarelli;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BIRRITTERI Luigi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore, Avv. Stefano Pisano, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto.

1. Con sentenza del 26/11/2013 la Corte di appello di Cagliari ha confermato quella pronunciata in data 19/5/2011 dal Tribunale di Cagliari, con la quale U.G. è stato riconosciuto colpevole dei reati di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni personali aggravate dal nesso teleologico e condannato con le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva alla pena di mesi sette di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena.

2. Ha proposto ricorso il difensore dell’imputato.

2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e inosservanza di norme stabilite a pena di nullità agli effetti dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c).

Il reato di resistenza era insussistente, in quanto la contestazione riguardava la condotta tenuta per impedire ai militari di contestare un’infrazione al codice della strada a carico di un terzo soggetto, mentre in concreto i testi a carico avevano parlato di condotta violenta tenuta dall’imputato dopo che gli erano stati chiesti i documenti e riferito che al suo rifiuto lo stesso era stato invitato a salire in macchina per accompagnare i militari in caserma.

In tale prospettiva la condotta dell’imputato non era caratterizzata neppure dal dolo specifico richiesto.

D’altro canto, a voler ravvisare il reato per altro titolo, vi sarebbe stato difetto di contestazione con violazione dell’art. 521 c.p.p..

L’insussistenza del delitto di resistenza avrebbe comportato la mancanza di un nesso teleologico e l’improcedibilità del delitto di lesioni per difetto di querela.

2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di minaccia e violenza al pubblico ufficiale, alla luce delle dichiarazioni dei testimoni a discarico.

La Corte territoriale aveva reputato non percorribile la tesi difensiva in virtù di contraddizioni emerse nelle dichiarazioni dei testi indicati dall’imputato.

Ma non aveva valutato le contraddizioni emerse dalle dichiarazioni rese dai militari intervenuti, in ordine alla questione se il pavimento fosse bagnato, all’orario dei fatti, alle ragioni della denuncia a carico di Us.St..

Inoltre non era stato considerato che l’imputato aveva fornito una ricostruzione alternativa, volta ad escludere un suo contatto con il militare S., e che i testi a discarico avevano accreditato da un lato la caduta non provocata dal S. e dall’altro l’atteggiamento aggressivo dei militari, senza che fossero ravvisabili discrepanze tra la versione dell’imputato e quella dei testi a discarico, contrariamente all’assunto della Corte.

Considerato in diritto.

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Si assume che diversamente da quanto contestato sarebbe stato dato rilievo ad una condotta violenta tenuta dall’ U. dopo che i Carabinieri S. e L. gli avevano chiesto i documenti.

In realtà i Giudici di merito hanno rilevato sulla base del racconto dei militari che mentre costoro stavano contestando un’infrazione al codice della strada ad una dipendente del bar dell’ U., la quale aveva compiuto una pericolosa manovra, erano usciti dal bar dapprima Us.St. e poco dopo l’imputato, il quale aveva preso ad inveire contro i militari, accusandoli di stare “sempre qua a controllare”.

A questo punto era stato chiesto all’uomo un documento e l’ U. aveva replicato con frasi minacciose, soprattutto nei confronti del S., dicendogli fra l’altro che egli aveva già condanne a morte sulla testa da parte di cittadini di (OMISSIS) e inoltre ammonendolo “ricordati che hai un bambino piccolo”.

All’invito dei militari di accompagnarli in Caserma, l’ U. secondo i Giudici di merito si era opposto dapprima contro entrambi e poi in particolare spingendo il S., che era caduto, riportando lesioni personali, come da certificazione medica.

Il fatto, così ricostruito, risulta corrispondente a quello contestato, essendosi ritenuto che l’ U. avesse tenuto una condotta oppositiva nella fase di redazione del verbale a carico della dipendente del bar, condotta proseguita con minacce e poi, all’invito dei militari di seguirli e al tentativo degli stessi di condurlo alla vettura, sfociata nella violenza cui erano seguite le lesioni riportate dal S..

Il fatto va inteso nel suo complesso e trova riscontro nella contestazione, considerando il tenore letterale non solo del capo A), ma anche di quello del capo B), nel quale si fa riferimento al nesso teleologico tra le lesioni e la resistenza.

Ed allora deve ritenersi che correttamente sia stato ravvisato il delitto di resistenza sul rilievo che la condotta oppositiva, caratterizzata da minacce e da violenza, si era deliberatamente rivolta contro i militari e soprattutto contro il S., nel momento in cui costui con il collega stava compilando il verbale per la violazione del codice della strada e poi in un continuum nel momento in cui i due militari cercavano di porre fine alle veementi proteste dell’ U., conducendolo in caserma, condotta oppositiva comunque finalizzata ad ostacolare l’attività d’ufficio dei due pubblici ufficiali.

2. Il secondo articolato motivo è invece inammissibile perchè non rientra tra quelli consentiti, risolvendosi in censure di merito e nella prospettazione di un’alternativa ricostruzione della vicenda, ritenuta preferibile.

Va infatti considerato che i Giudici di merito hanno attentamente valutato sia le dichiarazioni a carico dell’imputato sia, nel dettaglio, quelle a discarico, volte ad accreditare l’assunto difensivo secondo cui i militari avevano tenuto una condotta aggressiva mentre l’imputato non aveva opposto alcuna violenza, dovendosi ritenere semmai che il Carabiniere S. si fosse fatto male cadendo sul pavimento bagnato.

Orbene, la Corte, sulla scorta delle valutazioni del primo Giudice, è pervenuta alla conclusione non manifestamente illogica secondo cui la versione fornita dai due militari si sarebbe dovuta reputare attendibile, contrariamente a quella desumibile dalle testimonianze di M.D., Us.St. e M.A..

Ed invero è stato rilevato che i militari erano intervenuti per motivi occasionali in ragione della manovra compiuta al loro passaggio da M.D. e che di seguito non avrebbero avuto motivo di aggredire verbalmente Us.St. e U.G., usciti dal bar per rendersi conto di quanto stava accadendo, non essendo ravvisabile un intento calunnioso neppure in relazione ad una precedente occasione nella quale l’ U. aveva denunciato una persona alla quale aveva affittato una casa e si era rivolto con tono di rimprovero ad un diverso militare, tal maresciallo Sa..

D’altro è stata segnalata la sostanziale concordanza delle versioni dei due Carabinieri a fronte di talune discordanze emergenti dalle versioni a discarico, con M.A., che smentendo gli altri due testi della difesa, aveva escluso di aver udito espressioni sconvenienti dei militari e aveva diversamente indicato il militare uscito dalla macchina dopo Us.St. si era recato fuori del bar.

Ed ancora è stato segnalato che la versione difensiva era da ritenersi nel suo complesso inverosimile, essendo inoltre emersa una divergenza tra quanto riferito dall’imputato, a suo dire trovatosi a circa quattro metri dal S., e quanto dichiarato invece dagli altri, secondo i quali la distanza era di un metro e mezzo al massimo.

Inoltre è stato rilevato che nessuno aveva sostenuto di aver visto il S. cadere.

In tale quadro è vano il tentativo di reintrodurre temi di merito, come quello riguardante la scivolosità del pavimento o l’alternativa ricostruzione fornita dall’imputato, fermo restando che se il S. è stato smentito quanto al fatto che non fosse piovuto, circostanza riconosciuta dal Carabiniere L., il ricorso nondimeno si sofferma sulle dichiarazioni rese sul punto dai testi a discarico, senza che però venga specificamente confutata la motivazione dei Giudici di merito in ordine alla complessiva attendibilità dei due militari, non inficiata da rilevanti discrepanze, a fronte dei plurimi profili di inattendibilità dei testi a discarico, nonchè in ordine al fatto che comunque nessuno dei testi a discarico, a rigore, aveva visto il S. cadere.

D’altro canto costituisce ancora un argomento di merito quello incentrato sulla denuncia a piede libero a carico di Us.St., circostanza che mira pur sempre a prospettare un diverso angolo visuale, senza considerare le argomentazioni contenute nelle due sentenze, nelle quali a proposito di Us.St. si pone in luce da parte del Tribunale un profilo di inattendibilità inerente alla affermazione di aver visto in caserma il padre ammanettato ad un termosifone, quando dalle dichiarazioni del S. è risultato che in caserma non vi sono termosifoni.

Nè la Corte territoriale si è sottratta alla valutazione delle dichiarazioni del teste che ha parlato di lamentele di cittadini per il comportamento del S., circostanza reputata non illogicamente inidonea ad asseverare la veridicità della tesi difensiva.

3. In definitiva gli argomenti su cui si fonda il ricorso, seppure ricondotti ad una pretesa contraddittorietà o illogicità della motivazione, non sono in realtà destinati ad insinuare fratture logiche nella giustificazione fornita dalla Corte territoriale per giungere alla conferma della ricostruzione dei fatti fornita dal primo Giudice, ma si arrestano allo stadio di una diversa prospettazione del merito.

Di qui l’inammissibilità del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa di inammissibilità, della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2016.