Responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro 60 giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata (Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza 6 giugno 2018, n. 3417).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Luigi Maruotti – Presidente

Dott. Vincenzo Lopilato – Consigliere

Dott. Marco Buricelli – Consigliere

Dott. Francesco Mele – Consigliere

Dott. Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5522 del 2014, proposto dal signor Pa. Pr., rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Gi. Pe., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ca. in Roma, piazza (…);

contro

Il Comune di (omissis), in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ni. Bu. in Roma, via (…);

per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sez. III, n. 6024/2013, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere edilizie e il ripristino dello stato dei luoghi;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 maggio 2018 il Cons. Oreste Mario Caputo e udito l’avvocato Do. Vi., per delega dell’avvocato Sa. Gi. Pe.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. E’ appellata la sentenza del Tar Campania, Napoli, sez. III, n. 6024/2013 di reiezione del ricorso proposto dal sig. Pa. Pr., proprietario d’immobile sito in (omissis) alla Via (omissis), avverso l’ordinanza n. 51 del 31 marzo 2009 emessa dal Responsabile del servizio urbanistica del comune di (omissis), con la quale si ordina la demolizione delle opere edili realizzate sul suolo di proprietà in via (omissis).

2. In particolare, come da verbale di accertamento della polizia municipale del 23 ottobre 2006, sono state realizzate senza titolo edilizio la costruzione in ampliamento a un vecchio fabbricato a lato est di un piano terra composto da n. 4 pilastri imbullonati su basamento in conglomerato cementizio, con copertura in lamiere grecate, occupante una superficie di mq 33 circa e una volumetria di 149 mc circa; l’ampliamento all’abitazione a primo piano, insistente sull’ampliamento del piano terra, formato da prosieguo dei n. 4 pilastri in ferro, copertura con lamiere coibentate a falda inclinata, getto di conglomerato cementizio a calpestio del primo piano, sulle lamiere di cui sopra; la costruzione di parziali tamponature in blocchi di lapilcemento ai lati nord e sud con posa in opere di ringhiera in ferro a lato est, il tutto sulla stessa superficie del piano terra per una volumetria aggiuntiva di circa 269 mc.

3. Il TAR ha respinto tutti i motivi d’impugnazione incentrati sul difetto di motivazione dell’ordinanza di demolizione, sulla violazione delle norme disciplinanti la partecipazione al procedimento, sull’asserita formazione del silenzio-inadempimento sull’istanza di sanatoria ed infine sull’illegittimità del provvedimento di occupazione dell’area di sedime dell’insediamento abusivo.

4. Appella la sentenza il sig. Pa. Pr.. Resiste il comune di (omissis).

5. Alla pubblica udienza del 3 maggio 2018 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.

6. Con il primo motivo d’appello, l’appellante lamenta l’errore di diritto in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure per non aver tenuto conto dell’istanza d’accertamento di conformità, presentata, ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, il 6 maggio 2009, e protocollata dal Comune al n. 2426: prima d’emanare l’ordinanza di demolizione, il Comune avrebbe dovuto porre fine al silenzio-inadempimento e provvedere sulla domanda di sanatoria.

6.2 Viceversa, secondo l’appellante, il TAR, in violazione dell’art. 36 d.P.R. cit., avrebbe erroneamente qualificato il silenzio sull’istanza di sanatoria come atto tacito di diniego, con il conseguente onere della parte interessata di agire in sede impugnatoria nel termine di legge di sessanta giorni decorrente dalla data di formazione dell’atto negativo tacito

7. Il motivo è infondato.

7.1 L’argomento sotteso al motivo d’appello si basa sull’apparente contrasto tra l’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui “sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro 60 giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”, e l’art. 20 d.P.R. n. 380 del 2001 – modificato dal decreto legge 70/2011 e disciplinante il procedimento ordinario (non in sanatoria) del rilascio del permesso di costruire – letto in combinato disposto con l’art. 43 della legge regionale della Campania sul governo del territorio n. 16 del 2004, che, a sua volta, sancirebbe il solo rilievo “comportamentale” del silenzio-inadempimento serbato sull’istanza di sanatoria.

L’art. 36 del testo unico sull’edilizia ha previsto che “sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.

La giurisprudenza di questo Consiglio, condivisa e fatta propria dal collegio, ha chiarito che il decorso del termine di sessanta giorni equivale alla emanazione di un provvedimento di rigetto dell’istanza, tenuto conto del tenore letterale dell’originario art. 13 della legge n. 47 del 1985 e dei lavori preparatori del testo unico sull’edilizia n. 380 del 2001 (dovendosi intendere l’espressione “la richiesta si intende rifiutata” non dissimilmente da quella originariamente prevista dal medesimo art. 13: Sez. VI, 31 gennaio 2017, n. 402; Sez. IV, dec. n. 3373 del 2008; Sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5373; Sez. IV, 3 aprile 2006, n. 1710; Sez. IV, 3 marzo 2006, n. 1037; Sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 401).

7.2 Nella nuova formulazione l’art. 20, comma 8, d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che, decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, se il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia emanato un motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.

7.3 Nondimeno, sul piano applicativo, va osservato che la modifica dell’articolo 20 del Testo unico per l’edilizia non incide affatto sul procedimento di rilascio dell’accertamento di conformità.

E’ dirimente al riguardo osservare che l’articolo 20, comma 4, l. 241/1990, disciplinante in generale l’istituto del silenzio-assenso, espressamente prevede che le norme sul silenzio assenso non si applicano, tra le altre ipotesi, ai casi in cui la legge espressamente qualifichi il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza.

7.4 Né l’espressa previsione del silenzio-diniego contenuta nell’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 collide con la richiamata norma regionale, che non qualifica in modo espresso il silenzio serbato dall’autorità comunale come inadempimento, limitandosi a predisporre e disciplinare un apposito meccanismo sostitutorio volto a provvedere sulla domanda in caso di silenzio.

7.5 Come sottolineato dai giudici di prime cure, la legislazione nazionale, volta a qualificare in materia di accertamento di conformità il silenzio come atto tacito negativo, esprime un principio fondamentale della materia urbanistica (“governo del territorio”), come tale non derogabile dalla legislazione regionale.

La diversa interpretazione – che invece attribuirebbe alla norma regionale una portata qualificatoria del silenzio, in contrasto con il principio fondamentale della legge “quadro” nazionale – esporrebbe la disposizione regionale a non infondati dubbi di costituzionalità.

7.6 In definitiva, il silenzio serbato dal Comune sull’istanza di accertamento di conformità urbanistica non ha valore di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto, con la conseguenza che, una volta decorso il relativo termine, non sussiste un obbligo di provvedere, dovendosi ritenere già perfezionato il provvedimento negativo da impugnare nel termine ordinario di decadenza.

7.7 Ulteriore conseguenza è che l’intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali, non determina alcuna inefficacia sopravvenuta o invalidità di sorta dell’ingiunzione di demolizione (Cons. VI, 6 maggio 2014, n. 2307; Sez. VI, 9 aprile 2013, n. 1909; Sez. VI, ord. 19 giugno 2017, n. 2533).

In pendenza del termine di decisione della domanda di sanatoria, l’esecuzione della sanzione è solo temporaneamente sospesa, sicché, in mancanza di tempestiva impugnazione del diniego taciuto maturato per decorso del termine di 60 giorni dalla presentazione dell’istanza, l’ingiunzione di demolizione è eseguibile e non occorre l’emanazione di ulteriori atti sanzionatori da parte.

Come ha già precisato questa Sezione (per tutte, sent. 9 aprile 2013, n. 1909), “non vi è alcuna disposizione di legge, tanto meno nel testo unico n. 380 del 2001, per la quale la presentazione di una domanda di sanatoria di abusi edilizi renderebbe irrilevanti i precedenti ordini di demolizione e gli altri atti sanzionatori.

Al riguardo, va osservato che alcune disposizioni del passato (riconducibili alla legge n. 47 del 1985 e aventi portata eccezionale) hanno previsto la sospensione dei giudizi pendenti e la mancata eseguibilità di atti di natura sanzionatoria, riguardanti i manufatti oggetto delle cd istanze di condono straordinario.

Quando invece vi è l’impugnazione di un atto avente natura sanzionatoria in materia edilizia e vi è la proposizione di una domanda di accertamento di conformità, in base alla legislazione vigente nessuna disposizione prevede che il giudice amministrativo debba sospendere il giudizio, ovvero che l’amministrazione o il giudice debbano rilevare la sopravvenuta carenza di effetti dell’atto sanzionatorio in precedenza emesso.

In materia, rileva il principio di tipicità del provvedimento amministrativo: la legge – così come determina gli effetti dell’atto – allo stesso modo può individuare le circostanze che incidano sui suoi effetti e sulla sua idoneità ad essere posto in esecuzione materiale”.

8. Con il secondo motivo d’appello, si lamenta la violazione delle norme che disciplinano la partecipazione al procedimento.

9. Il motivo è infondato.

9.1 Per consolidata regola giurisprudenziale, qui condivisa, in tema di mancanza della comunicazione dell’avvio del procedimento (strumento principale di partecipazione), l’adozione di provvedimenti repressivi degli abusi edilizi non deve essere necessariamente preceduta dal suddetto avviso, trattandosi di provvedimenti tipici e vincolati emessi all’esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime (cfr. fra le tante, Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2014, n. 2196; Id., sez. IV, 30 marzo 2000, n. 1814).

9.2 È stato altresì precisato, con orientamento cui va data continuità, che – in ogni caso – la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, o la mancata indicazione del responsabile del procedimento, non costituiscono ragione idonea a determinare l’annullabilità dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi, in quanto è palese, attesa l’assenza di qualsivoglia titolo abilitativo all’edificazione, che il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe “potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, sicché sussiste la condizione prevista dall’art. 21 octies, comma 2, della l.n. 241 del 1990 per determinare la non annullabilità del provvedimento impugnato (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2009, n. 3029).

10. Col terzo motivo d’appello si lamenta la violazione dell’art. 3 l. 241/90 per difetto di motivazione dell’ordinanza di demolizione.

11. Il motivo è infondato.

11.1 Va data continuità all’indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso, (da ultimo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 9 del 2017) per il quale il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e non assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al sussistere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.

Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso e il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso.

12. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.

13. Le spese di lite del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 5552 del 2014, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il sig. Pa. Pr. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di (omissis), che si liquidano in complessivi 5000,00 (cinquemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2018.

Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2018.