Responsabilità del custode a cui sono stati affidati macchinari oggetto di sequestro (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 5 marzo 2019, n. 9742).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOGINI Stefano – Presidente –

Dott. AGLIASTRO Mirella – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari;

nel procedimento a carico di:

F.L.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 21/09/2017 della Corte di appello di Bari;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Mirella Agliastro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Molino Pietro, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per estinzione del reato per prescrizione;

udito l’avv. Tommaso Doronzo che ha chiesto il rigetto del ricorso del PM.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Bari con sentenza del 21/9/2017, in riforma della sentenza del 6/4/2016 del Tribunale del capoluogo, assolveva F.L.F. per insussistenza del fatto dal reato di cui all’art. 335 c.p., a lui contestato, perchè quale custode dei beni sottoposti a sequestro di cui al procedimento n. 2680/07 R.G., cagionava per colpa la distruzione parziale dei beni sottoposti a vincolo. Il reato era consistito nella distruzione o dispersione di macchinari di un opificio industriale appartenente a tale N.M..

Il Collegio sottolineava che il termine “distruzione parziale” equivale a “deterioramento”. Si trattava di beni arrugginiti e non più utilizzabili al momento della restituzione all’avente diritto, poichè detti beni, affidati in custodia, erano rimasti esposti agli agenti atmosferici e privi di adeguata copertura.

La Corte osservava che la condotta di deterioramento non è prevista dall’art. 335 c.p., bensì – a titolo di dolo – dalla fattispecie di cui all’art. 334 c.p.; l’art. 335 c.p. prevede un reato proprio di danno e di evento, giacchè si consuma quando si verifica l’evento dannoso.

Poichè non risultava, nel caso di specie, che si fosse verificata una totale distruzione dei beni sottoposti a sequestro nel corso di un procedimento penale, ma solo un deterioramento, il giudice dell’appello non riteneva configurabile l’ipotesi delittuosa colposa oggetto di contestazione.

Risulta dagli atti che il soggetto nominato custode, a fronte della necessità di spazio all’interno del capannone in cui aveva ospitato i beni in sequestro, li aveva spostati in una parte diversa rispetto a quella in cui erano stati collocati, senza adottare tutte le misure necessarie per la loro conservazione.

Valutava il Collegio territoriale che l’art. 335 c.p. non punisce la condotta di deterioramento colposo. Sulla base di questo ragionamento, la Corte assolveva l’imputato con conseguente revoca delle statuizioni civili della sentenza di primo grado.

2. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari, osservando che la decisione della Corte era fondata su una lettura incompleta delle risultanze probatorie, pervenendo ad una ricostruzione non esaustiva della vicenda in esame.

La Corte di appello non si era avveduta del fatto che i beni sottoposti a sequestro e affidati in custodia giudiziaria, erano stati abbandonati alle intemperie, con la conseguenza che gli stessi ormai arrugginiti, erano diventati inutilizzabili, concretandosi una ipotesi di distruzione sotto il profilo “dell’esclusione della funzionalità dei beni”, aspetto che la Corte non aveva apprezzato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

2. Vale rilevare preliminarmente che la condotta di cui all’art. 335 c.p. è stata consumata, alla stregua del capo di imputazione, il 14/03/2008, ma il difensore dell’imputato, prima dell’inizio dell’udienza nel giudizio d’appello, ha dichiarato di rinunciare alla prescrizione e di tale dichiarazione ha dato atto, così come della specifica legittimazione del difensore al riguardo, la Corte nella motivazione della sentenza.

3. Il reato previsto dall’art. 335 c.p., così come quello di cui all’art. 334 c.p., tutela esclusivamente interessi pubblicistici e, in particolare, il buon andamento della pubblica amministrazione.

La norma incriminatrice è predisposta in funzione dell’interesse pubblico – e non privato – a conservare nella sua integrità il vincolo cautelare che, attraverso il sequestro penale, ovvero quello disposto dall’autorità amministrativa, viene apposto su determinati beni (sul tema, Sez. 6, n. 6009 del 1/03/1977, Guarino, Rv. 135855; Sez. 6, n. 3020 del 12/01/1993, Giarolli, Rv. 193606).

Scopo del legislatore è quello di reprimere le condotte che, distogliendo dal loro vincolo i beni sequestrati, violano l’interesse della pubblica amministrazione ad una loro gestione secondo la legge.

L’art. 335 c.p. punisce la distruzione, la dispersione, la sottrazione e la soppressione della cosa in sequestro (così frustrando le finalità di rilievo pubblicistico sottese al vincolo di intangibilità ed inutilizzabilità gravante sul bene).

Se è vero dunque, che la contestata fattispecie di cui all’art. 335 c.p. prevede tra le condotte integranti il reato, la distruzione della cosa sottoposta a sequestro e non anche il suo deterioramento (Sez. 6, n. 7595 del 30/10/2014, PG in proc. Cantalupo, Rv. 262391), la sentenza impugnata omette ogni valutazione circa l’effettivo stato dei beni sequestrati conseguente alla colposa violazione dei suoi doveri da parte del custode. In particolare, la sentenza omette ogni valutazione circa l’eventuale sussistenza (prefigurata nel capo di imputazione) di una esclusione totale, definitiva e irreparabile della funzionalità di quei beni, in ciò sostanziandosi la distruzione del bene richiesta dalla norma in esame.

Sulla base delle indicate considerazioni, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Bari, perchè proceda a nuovo giudizio sui punti e profili critici segnalati, colmando, nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito, le indicate lacune e discrasie della motivazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Bari.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2019