Sanità: l’INPS ricorre in appello contro la sentenza n.146 del 10 luglio 2014: rigettato (Corte dei Conti, Sezione II Giurisdizionale Centrale di Appello, Sentenza 6 luglio 2018, n. 422).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

Composta dai seguenti Magistrati:

Dott. Luciano CALAMARO – Presidente

Dott. Piero FLOREANI – Consigliere Relatore

Dott. Antonio BUCCARELLI – Consigliere

Dott. Luca FAZIO – Consigliere

Dott.ssa Maria Cristina RAZZANO – 1° Referendario

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel giudizio sull’appello iscritto al n. 49800 del registro di segreteria proposto dall’I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Passarelli, ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Cesare Beccaria n. 29,

contro

T. R., in persona delle procuratrici generali G. ed A. S., rappresentate e difese dall’avv. Mauro Poli,

avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per il Veneto 10 luglio 2014 n. 146;

Visti l’atto introduttivo del procedimento e gli altri atti e documenti di causa;

Uditi, all’udienza pubblica del 5 dicembre 2017, il consigliere relatore Piero Floreani, l’avv. Maria Passarelli in rappresentanza dell’ente previdenziale e l’avv. Luca Tantalo, per delega, in favore della parte resistente.

Ritenuto in

FATTO

L’Istituto previdenziale, con atto depositato il 6 agosto 2015, si duole che la sentenza della Sezione giurisdizionale per il Veneto, pronunciatasi sul ricorso di G. S. – ex dirigente medico, collocato a riposo dall’11 settembre 1987 e deceduto il 2 giugno 2014 -, abbia accertato il suo diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico con l’inclusione della retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.) maturata, nei termini riconosciuti con deliberazione del direttore generale dell’Azienda ULSS 5 Ovest di Arzignano, Vicenza, n. 250 del 7 giugno 2007.

L’amministrazione appellante lamenta, in primo luogo, la violazione dell’art. 1, quarantacinquesimo comma, della Legge 28 dicembre 1995, n. 549, nonché delle disposizioni di proroga di cui agli artt. 1, centotrentaduesimo comma, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 e 41, sesto comma, del Decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207, conv. con Legge 27 febbraio 2009, n. 14.

Rileva al riguardo che il giudice di primo grado ha erroneamente ritenuto che il credito per la RIA fosse certo, liquido ed esigibile, quantunque per effetto dell’estensione del giudicato formatosi sulla sentenza del T.A.R. per il Lazio 22 aprile 1994 n. 640 – confermata dal Consiglio di Stato -, in tal modo ponendosi in contrasto con l’espresso divieto di estensione del giudicato a soggetti estranei alla lite.

Nondimeno, l’appellante sostiene che la pretesa non possa trovare fondamento nell’accordo transattivo sottoscritto dall’azienda, posto che tale accordo non può disporre dei diritti previdenziali per i quali vige il principio della riserva assoluta di legge – secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (18 gennaio 2008 n. 1063) – ed è, inoltre, disapplicabile in quanto non risulterebbe eseguita la procedura prevista dall’art. 61 del Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

L’Istituto, inoltre, col secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 2 del Regio Decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295, conv. con Legge 2 giugno 1939, n. 739, e 2948 c.c., all’uopo riproponendo l’eccezione di prescrizione e sostenendo che l’accordo transattivo non può avere effetti in confronto dell’ente previdenziale, rimasto estraneo sia all’accordo, sia al ricorso giurisdizionale amministrativo.

Conclude pertanto per il rigetto del gravame e, in via subordinata, per la declaratoria di intervenuta prescrizione dei ratei antecedenti il quinquennio anteriore alla diffida prodotta l’8 luglio 2005.

La parte appellata, nelle persone delle eredi della vedova dell’originario ricorrente, cui l’appello è stato notificato, si sono costituite con atto depositato il 27 novembre 20917, con il quale concludono per il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza, le parti si sono riportate alle difese scritte ed insistito per l’accoglimento delle conclusioni già formulate.

Considerato in

DIRITTO

L’impugnazione mira all’accertamento dell’ingiustizia della sentenza che ha riconosciuto il diritto alla riliquidazione del trattamento di quiescenza con l’inclusione della retribuzione individuale di anzianità (R.I.A.).

Il ricorso è infondato.

Va tenuto presente che l’Amministrazione appellante non contesta l’astratta applicazione in confronto dell’originario ricorrente, in quanto appartenente alla categoria degli ex medici condotti, della R.I.A. quale componente fissa, continuativa e corrispettiva del trattamento economico stipendiale, ma si duole dell’argomentazione seguita dalla Sezione territoriale secondo la quale, dalla caducazione di una norma regolamentare, non poteva che derivare l’efficacia erga omnes del giudicato d’annullamento, senza che, in relazione al credito divenuto esigibile, avesse alcun rilievo che la contrattazione collettiva avesse disposto l’attivazione della procedura di cui all’art. 61 del Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 2001, n. 165; né la circostanza che il credito del prestatore d’opera avesse formato oggetto di una transazione con il datore di lavoro, posto che quest’ultima costituisce la fonte legale del diritto alla R.I.A. per il periodo antecedente il 1° luglio 1998.

Il ragionamento seguito dal giudice di primo grado va condiviso.

In linea generale, deve essere rigettata la prima argomentazione, sottesa al primo motivo d’impugnazione, che fa leva sull’art. 1, quarantacinquesimo comma, della Legge 28 dicembre 1995, n. 549 – e successive disposizioni analoghe – per sostenere che la sentenza ne abbia violato il contenuto; costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo cui la decisione di annullamento, che per i limiti soggettivi del giudicato esplica in via ordinaria effetti solo fra le parti in causa, acquista efficacia erga omnes nei casi di atti a contenuto inscindibile, ovvero di atti a contenuto normativo, secondari (regolamenti) o amministrativi generali, rivolti a destinatari indeterminati ed indeterminabili a priori, in relazione ai quali gli effetti dell’annullamento non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, poiché ci si trova in presenza di un atto a contenuto generale sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri (cfr., ex multis, Cass., Sez. I, 13 marzo 1998 n. 2734; Cons. St., Sez. III, 20 aprile 2012 n. 2350).

Nella fattispecie, il riconoscimento del diritto patrimoniale alla RIA consegue al giudicato d’annullamento dell’art. 133, secondo comma, del Decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384; sicché non può in alcun modo dubitarsi, non tanto del relativo punto logico affrontato dalla sentenza impugnata, quanto del riconoscimento della componente stipendiale aggiuntiva effettuato dall’ente di appartenenza del pensionato.

Va, inoltre, opportunamente considerato che costituisce orientamento consolidato l’affermazione secondo cui la giurisdizione della Corte dei conti in tema di pensioni ha carattere esclusivo, affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia; sicché in essa ricadono tutte le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum sostanziale, nelle quali la Corte ha il potere – dovere di delibare gli atti amministrativi intervenuti nel pregresso rapporto di impiego relativi allo status di dipendente al fine di dedurne l’incidenza sul trattamento di quiescenza (Cass. SS.UU. 18 gennaio 2018 n. 896; 14 giugno 2005 n. 12722).

Tale conclusione deriva dal fatto che la giurisdizione pensionistica ha natura dichiarativa, poiché tende all’accertamento del diritto a pensione nella misura di legge, mentre il provvedimento determinativo del trattamento economico viene valutato solo agli effetti della liquidazione della pensione e non viene impugnato in quanto tale, essendo degradato a mero presupposto processuale, all’unico scopo di accertare il diritto soggettivo a pensione nella sua esatta misura, con esclusione di pronunce a carattere caducatorio o annullatorio, estranee alla giurisdizione della Corte dei conti.

Non si tratta, dunque, di esaminare, neppure in via incidentale, la legittimità di provvedimenti amministrativi definitivi riguardanti lo stato giuridico ed economico dell’impiegato e quindi relativi al rapporto di pubblico impiego, ancorché di questo costituiscano l’atto finale ed il presupposto indispensabile per la liquidazione della pensione. (v. Cass. SS.UU. 8 aprile 2010 n. 8317).

Nella fattispecie, l’oggetto del giudizio, direttamente incidente sulla misura del trattamento di quiescenza, presuppone l’affermazione circa la titolarità del diritto alla R.I.A., in effetti riscontrata in ragione della deliberazione transattiva e di cui non può pertanto farsi questione circa la sua possibile disapplicazione.

Nessun pregio hanno, inoltre, le argomentazioni sostenute dall’Istituto appellante circa la presunta incidenza su diritti previdenziali ovvero in ordine all’inefficacia in suo confronto della ricordata pronuncia giurisdizionale e della transazione, stante il rilievo che la materia previdenziale esula dall’oggetto della regolamentazione in questione, poiché la norma secondaria colpita dall’annullamento incideva direttamente sul riconoscimento della R.I.A. e, dunque, su un aspetto tipicamente retributivo.

Per quanto attiene al secondo motivo, esso è parimenti infondato, dovendosi ribadire che la decorrenza del termine di prescrizione non può non essere ancorato al momento in cui il diritto può essere fatto valere, diritto che, riferito alla componente retributiva di cui si fa questione, non poteva che decorrere a far tempo dall’effettivo riconoscimento in capo al suo titolare e certo non anteriormente alla certificazione contenuta nel mod. 98.01 trasmesso dall’Azienda sanitaria.

L’appello va, in definitiva, rigettato.

La particolare complessità e novità delle questioni trattate, induce la Sezione a disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, rigetta l’appello n. 49800 e conferma la sentenza della Sezione giurisdizionale per il Veneto 10 luglio 2014 n. 146.

Dispone la compensazione delle spese di questo grado di giudizio.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 dicembre 2017.

L’ESTENSORE                                                      IL PRESIDENTE

F.to Piero Floreani                                     F.to Luciano Calamaro

Depositata in Segreteria il 6 luglio 2018

p. Il Dirigente

Sabina Rago

Il Funzionario Amministrativo

D.ssa Manuela Asole

F.to Manuela Asole

 

D E C R E T O

Il Collegio, ravvisati i presupposti per l’applicazione dell’art. 52 del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dispone che a cura della Segreteria venga apposta, a tutela dei diritti delle parti private, l’annotazione di cui al terzo comma del richiamato articolo 52.

IL PRESIDENTE

F.to Dott. Luciano Calamaro

Depositato in Segreteria il 6 luglio 2018

p.Il Dirigente

Sabina Rago

Il Funzionario Amministrativo

D.ssa Manuela Asole

F.to Manuela Asole

In esecuzione del provvedimento collegiale, visto l’art. 52 del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione: omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti private.

Roma, 6 luglio 2018

p.Il Dirigente

Dott.ssa Sabina Rago

Il Funzionario Amministrativo

Dott.ssa Manuela Asole

F.to Manuela Asole