Scoppia un bruciatore a gas. Il produttore non ne risponde automaticamente.

(Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 aprile – 26 giugno 2015, n. 13225)

La prova della difettosità del prodotto, a carico del danneggiato, non è assoggettata a limiti di sorta, potendo essere fornita con ogni mezzo e, quindi, anche sulla base di presunzioni semplici. Tuttavia, queste devono essere presunzioni gravi, precise e concordanti, come richiesto dall’art. 2729 c.c..

Svolgimento del giudizio

Nell’aprile `95 V.S. – con i suoi familiari C.Z., L., T. e P. S. – conveniva in giudizio la Finterm spa, chiedendone la condanna, ai sensi del dpr n. 224 del 24 maggio 1988, al risarcimento dei danni da lui subiti nel dicembre ’93, allorquando lo scoppio di un bruciatore a gas prodotto dalla convenuta, ed installato presso la propria ditta, gli aveva causato gravissime lesioni.

Nella costituzione in giudizio di Finterm – che contestava la sussistenza di difetti nel bruciatore, imputando lo scoppio all’uso improprio dell’attore – e previa disposizione di due successive consulenze tecniche d’ufficio sulle cause dell’incidente, interveniva sentenza n. 2281/04 con la quale il tribunale di Padova rigettava la domanda, non essendo emersi difetti di progettazione o di fabbricazione del bruciatore.

Con sentenza n. 782/11 la corte di appello di Venezia confermava tale decisione.

Avverso questa sentenza viene dagli S. proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, ai quali resiste Finterm con controricorso e memoria ex art.378 cpc.

Motivi della decisione

§ 1.1 Con il primo motivo di ricorso si deduce – ex art.360,1 1^ co.n.5) cpc messa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio; per avere il giudice di merito individuato la causa dello scoppio nel ripetuto riavvio del bruciatore da parte dello S., nonostante che tale manovra: – non implicasse un uso del bruciatore diverso da quello al quale quest’ultimo era destinato; – non fosse vietata (ma solo sconsigliata) dal manuale operativo il quale, in tale ipotesi, non prospettava comunque un pericolo di scoppio, quanto soltanto un’anomalia di funzionamento.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo, per avere la corte di appello erroneamente ritenuto che Finterm avesse consegnato il libretto di istruzioni relativo anche alla manovra di avvio del bruciatore; senza che tale circostanza (contestata dagli attori) fosse stata positivamente provata dalla convenuta (la quale non aveva insistito, avanti al tribunale, per l’assunzione della prova testimoniale inizialmente dedotta sul punto).

Con il quarto motivo di ricorso si deduce – ex art.360, co.nn.3) e 5) cpc – violazione del terzo comma dell’articolo 345 cod.proc.civ. e carente motivazione in ordine all’omesso accoglimento dell’istanza di consulenza tecnica d’ufficio tecnico ­ricostruttiva, circa l’esatta posizione che lo S. aveva al momento dello scoppio: non già di fronte alla piastra del generatore di aria calda, bensì in posizione di ingresso nel locale caldaia.

Tale accertamento, indispensabile ai fini della’ decisione, avrebbe dimostrato che lo scoppio non si era verificato mentre lo S. tentava di riavviare ripetutamente il bruciatore, bensì in fase di suo normale funzionamento.

§ 1.2 Si tratta di motivi suscettibili di considerazione unitaria in quanto tutti basati – nella prospettiva della violazione di legge e della carenza motivazionale – sull’erronea individuazione della causa dello scoppio nella manovra di ripetuto riarmo del bruciatore da parte dello S..

Essi non possono trovare accoglimento, risultando finanche inammissibili là dove tralasciano di considerare che la ratio decidendi posta dalla corte di merito a fondamento autonomo ed esclusivo del proprio convincimento di rigetto della domanda attorea non consiste affatto in tale individuazione eziologica; bensì (sent. pag.8) nel mancato riscontro probatorio di un difetto di progettazione, fabbricazione o funzionamento “a cui potesse essere ricondotta la causa dello scoppio”; ovvero di un deficit di sicurezza del prodotto “rispetto ad alcuna delle circostanze tipizzate dall’articolo 5 dpr 224/88 o, comunque, rispetto ad altri eventuali standards normativi di sicurezza”.

Per contro, quella dello scoppio a causa della imprudente manovra di ripetuto riarmo da parte dello S. è rimasta, nel convincimento del giudice di merito, sullo sfondo puramente teorico di una mera possibilità/probabilità; prospettata in via dubitativa dalla seconda consulenza tecnica d’ufficio disposta dal tribunale, ma costituente “pur sempre e solo un’ipotesi probabile, ma non certa; restando sostanzialmente ignota la dinamica dell’incidente” (sent. pag.7).

Si evince pertanto con chiarezza – nell’articolazione logica della motivazione censurata – che il richiamo alla imprudente manovra di riavvio del bruciatore da parte della vittima dell’incidente è stato dal giudice di merito reso, potremmo dire, ad abundantiam, ed al solo fine di dare conto di una soluzione del caso (certo non meramente congetturale, anche perché peritalmente accreditata), e tuttavia ancora probatoriamente insufficiente a mandare il produttore esente da responsabilità.

Responsabilità che è stata invece esclusa per l’altra ragione su indicata, avente non già valenza positiva di certa individuazione della causa dello scoppio, bensì valenza negativa di mancata dimostrazione del difetto del prodotto, secondo la tipizzazione resa dal dpr 224/88.

E’ su tale presupposto logico-giuridico che la corte territoriale ha ritenuto “non indispensabile ai fini della decisione” la consulenza tecnica d’ufficio volta all’accertamento della esatta posizione in cui si trovava l’infortunato nel momento in cui venne investito dallo scoppio.

Ancorchè facente improprio richiamo alla dizione normativa di cui all’articolo 345, ultimo comma, cod.proc.civ. (in realtà concernente le prove, e non i mezzi di valutazione probatoria qual è la consulenza tecnica d’ufficio), l’argomento utilizzato dalla corte territorial L sottende un giudizio negativo di rilevanza dell’ulteriore accertamento peritale sollecitato dagli attori.

Proprio perché astrattamente idoneo ad escludere che la causa dello scoppio fosse riconducibile all’improprio riavvio da parte dello S., senza con ciò risultare utile alla individuazione, in positivo, di un difetto del bruciatore ascrivibile a responsabilità del produttore; nemmeno sotto il profilo della verificazione dello scoppio in uno stato di normale funzionamento del dispositivo.

In tale situazione deve dunque prendersi atto di come le censure in esame non colgano il bersaglio; censurando un aspetto motivazionale del tutto secondario e non essenziale al fine della decisione.

Tanto che, a controprova di ciò, quand’anche discendesse – dal loro ipotetico accoglimento – l’esclusione di qualsivoglia relazione causale tra lo scoppio e la manovra di ripetuto avvio del bruciatore, non verrebbe per ciò soltanto meno quella situazione di `sostanziale’ indeterminatezza delle vere cause dell’incidente che le due consulenze tecniche disposte in primo grado non sono valse a risolvere.

§ 2.1 Con il terzo motivo di ricorso vengono dedotte – ex art.360, l^co.nn.3) e 5) cpc – carente motivazione e violazione degli articoli 5, 6 e 8 dpr n. 224 del 24 maggio 1988, non avendo la corte di appello considerato che:

– in sede di indagine penale Velio S. aveva reso dichiarazioni attestanti il regolare avvio e funzionamento del bruciatore prima che V.S. entrasse nel locale caldaia, e venisse qui investito in pieno dallo scoppio (i / che induceva a ritenere che quest’ultimo non fosse derivato dalle manovre di riavvio, bensì in fase di normale funzionamento);

– una volta che il danneggiato avesse provato il danno, il difetto del prodotto (inteso quale carenza del livello di sicurezza generalmente attendibile) ed il nesso causale tra i due elementi, era onere del produttore dimostrare il ricorso di una delle cause liberatorie da responsabilità di cui agli articoli 6 e 8 dpr cit.;

– in ipotesi di mancato positivo accertamento delle cause dell’incidente, la responsabilità del medesimo doveva farsi ricadere sul produttore che non avesse fornito la prova liberatoria.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 5 e 6 lett.e) dpr 224/88, nonché carenza motivazionale; per non avere la corte di appello considerato che lo scoppio in fase di normale funzionamento denotava di per sé un difetto di progettazione o costruzione del bruciatore; il quale doveva essere dotato degli opportuni sistemi di sicurezza (in rapporto al più avanzato livello di conoscenze tecniche e scientifiche in materia di impianti a gas) pur a fronte di ripetute manovre di riavvio.

§ 2.2 Questi due motivi di ricorso appaiono invece più centrati sulla ratio decidendi adottata dal giudice di merito; della quale contestano il fondamento sul piano della violazione di legge, nonché della distribuzione dell’onere probatorio e della valutazione delle risultanze istruttorie.

Sul piano strettamente normativo, corretta è l’affermazione della corte di appello, secondo cui quella stabilita dall’articolo, 1 dpr 224/88 (qui applicabile ratione temporis, poi art. 114 d.lvo. 206/2005) costituisce un’ipotesi di responsabilità che richiede comunque la prova da parte del danneggiato della sussistenza del difetto; del danno; del nesso di causa tra il primo ed il secondo.

In presenza di tale prova, è onere del produttore che intenda andare esente da responsabilità dimostrare il ricorso delle circostanze liberatorie di cui all’articolo 6 dpr 224/88 (sent. pag.5-6).

In effetti, che la responsabilità del produttore si ponga entro questo preciso ambito di imputazione costituisce orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che: a. la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto; sicchè grava sul soggetto danneggiato – come testualmente stabilito dall’art. 8 dpr cit. (trasfuso nell’art. 120 del cd. “codice del consumo”) – la prova del collegamento causale non già tra `prodotto’ e danno, bensì tra `difetto’ e danno (Cass. n. 13458 del 29/05/2013; Cass. n. 12665 del 23/05/2013, ord.); b. solo a seguito del raggiungimento di tale prova (avente pertanto ad oggetto la relazione ‘difetto-danno’ quale prerequisito normativo costituente al contempo limite e fondamento della responsabilità del produttore), viene a gravare sul produttore la dimostrazio (art.6 dpr cit.) della causa liberatoria insita nel fatto che i difetto riscontrato non esisteva quando egli ha posto il prodotto in circolazione, ovvero che all’epoca non era riconoscibile come tale a causa dello stato delle conoscenze scientifiche e tecniche in materia; c. il danno riportato non prova di per sé, ex artt.5 dpr cit., né direttamente né indirettamente, il difetto né “la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto di per sé insufficiente per istituire la responsabilità del produttore, se non sia anche in concreto accertato che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla utenza o dalle leggi in materia” (Cass.13458/13 cit., richiamante anche Cass. 13 dicembre 2010, n. 25116; Cass. 15 marzo 2007, n. 6007).

Ora – affermato il corretto inquadramento della fattispecie nell’ambito normativo di riferimento, così ricostruito – la valutazione offerta dal giudice di merito non appare censurabile là dove ha ritenuto che quand’anche lo scoppio si fosse verificato durante il normale funzionamento del bruciatore, ciò non potesse ex se costituire elemento di prova della presenza né di un difetto progettuale o costruttivo nel prodotto, né di un suo standard di sicurezza inferiore al livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla normativa, ed atteso dall’utenza; posto che nessuna delle due carenze ipotizzabili aveva trovato concreto riscontro nei pur approfonditi accertamenti peritali.

E’ vero che – posta a carico del danneggiato la prova della difettosità del prodotto (anche sotto lo specifico profilo del mancato raggiungimento di un idoneo livello di sicurezza) – tale prova non è assoggettata a limiti di sorta; ben potendo essere da questi fornita con ogni mezzo e, dunque, anche sulla base di presunzioni semplici.

Occorre però, sulla scorta della regola generale di cui all’articolo 2729 cod.civ., che si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti.

Senonchè, il giudice di merito ha qui escluso (nell’ambito di una valutazione discrezionale ed insindacabile, in quanto congruamente motivata) proprio la ricorrenza di tali requisiti di efficacia dimostrativa; argomentando in definitiva che l’unico elemento di riscontro era costituito dallo scoppio e dalla sua lesività.

Vale a dire, da un elemento estrinseco di danno che non poteva ingenerare alcuna presunzione di responsabilità circa l’intrinseca difettosità o carenza di sicurezza del prodotto.

Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione che si liquidano, come in dispositivo, ai sensi del DM 10 marzo 2014 n.55.

P.Q.M.

La Corte

– rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.