Scrittura privata: non è più reato falsificare l’assicurazione.

Poiché il delitto di falso in scrittura privata è stato depenalizzato, può essere punito con la sola sanzione pecuniaria chi ha alterato il contrassegno dell’assicurazione esposto sul parabrezza, poiché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Lo ha disposto la Corte di Cassazione, V sezione penale, sentenza n. 18908/2016.
Il ricorso al giudice di legittimità è proposto da un uomo ritenuto in sede di merito colpevole del delitto di falso in scrittura privata per avere contraffatto il contrassegno dell’assicurazione esposto sul parabrezza della sua autovettura (che attualmente non è neppure più obbligatorio esporre!).
La falsificazione del contrassegno era stata accertata a seguito di un controllo effettuato dalla Polizia locale in quanto la copertura assicurativa appariva già scaduta in precedenza; veniva poi appurato che l’auto, di proprietà della società in accomandita di cui l’imputato era socio amministratore, risultava priva di assicurazione a partire addirittura da oltre 5 mesi prima (da qui la recidiva specifica infraquinquennale) e che, pertanto, la diversa e posteriore data apposta sul contrassegno era falsa.
All’imputato veniva quindi ascritto il reato previsto e punito dall’art. 485 del codice penale, la falsità in scrittura privata.
Tuttavia, evidenziano gli Ermellini, l’art. 1 del decreto legislativo 15 gennaio 2016 ha disposto l’abrogazione del delitto in questione e pertanto si deve annullare la sentenza impugnata perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
L’art. 4, comma 4 lettera a), del medesimo decreto aggiunge che “soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro duecento a euro dodicimila chi, facendo uso o lasciando che altri faccia uso di una scrittura privata da lui falsamente formata o da lui alterata, arreca ad altri un danno”, specificando che “si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata“.
Ne discende che l’illecito penale previsto dall’art. 485 del codice penale è ora sostituito da un, peraltro inedito, illecito civile (qualora ricorresse la continuità della fattispecie: nel delitto il danno o il vantaggio costituivano il fine dell’azione, nell’illecito civile è contemplato solo il danno, che concreta però un elemento materiale della condotta).
Poiché l’art. 8, comma 1 e 2, del decreto legislativo n. 15 del 2016 dispone che “le sanzioni pecuniarie civili sono applicate dal giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento del danno” e che “il giudice decide sull’applicazione della sanzione civile pecuniaria al termine del giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa“, ne discende, non essendo stata proposta nel caso di specie l’azione, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Peraltro, aggiunge la Cassazione, posto che il giudice penale può decidere sull’azione civile solo quando la condotta generativa della stessa costituisca, anche, un illecito penale, secondo il principio generale contemplato dall’art. 185 del codice penale, l’azione civile, eventualmente proposta, ne sarebbe rimasta travolta posto che il  legislatore non ha inteso preservarne gli effetti come, diversamente, ha fatto nel parallelo decreto legislativo 15 gennaio 2016 n. 8 per le condotte, già di rilevo penale, divenute illeciti amministrativi.