Si può licenziare un lavoratore via “WhatsApp”? Per il Giudice sì, “in tema di forma scritta del licenziamento prescritta, a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali”, potendo ” la volontà di licenziare … essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara”.

TRIBUNALE DI CATANIA
 
Seconda Sezione Civile – Lavoro
Ordinanza 27 giugno 2017

 

in composizione monocratica, nella persona del Magistrato ordinario Dott. Mario Fiorentino, in funzione di Giudice del Lavoro, ha emesso la seguente

ORDINANZA

EX ART. 1, COMMA 47 E SS., L. 28 GIUGNO 2012, N. 92

nella causa civile iscritta al N. 7138/2016 R.G.L. promossa da:

(…) con il patrocinio dell’Avv.to MARCHESE TINDARA e CALI’ DAVIDE GIUSEPPE,

RICORRENTE

contro:

(…) SRL , con il Patrocinio dell’Avv.to LOTA’ GIOVANNI e TIZIANA CASTELLI

RESISTENTE

Il Giudice

visti gli atti di causa e i relativi allegati;

viste le disposizioni di cui all’art. 1, commi 47 e ss., L. 28 giugno 2012, n. 92;

applicato il relativo rito;

sciolta la riserva che precede;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso depositato telematicamente il 22 luglio 2016 parte ricorrente adiva questo Giudice al fine di ottenere, tra l’altro, l’accertamento della invalidità/inefficacia del licenziamento intimatole il 25.3.2015, con reintegra nel posto di lavoro e condanna alla retribuzione globale di fatto dovuta dal giorno del licenziamento alla reintegra effettiva, oltre l’ulteriore risarcimento del danno.

La convenuta si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso ed eccependo preliminarmente l’intervenuta decadenza ex art. 6 L. n. 604 del 1966 (art. 32 Collegato Lavoro).

All’esito della riserva assunta all’udienza che precede, la causa, ritenuta matura per la decisione, viene decisa con la pronuncia della presente ordinanza ex L. n. 92 del 2012.

La domanda avente ad oggetto il licenziamento appare inammissibile per intervenuta decadenza.

Il recesso intimato mezzo “whatsapp” il 25.3.2015 appare infatti assolvere l’onere della forma scritta (cfr. su fattispecie analoga App. Firenze, 05-07-2016), trattandosi di documento informatico che parte ricorrente ha con certezza imputato al datore di lavoro, tanto da provvedere a formulare tempestiva impugnazione stragiudiziale in data 23.4.2015.

Sul punto va ricordato che, nella materia, da tempo, la Suprema Corte ha evidenziato che “in tema di forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali”, potendo ” la volontà di licenziare… essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara” (Cass., civ. sez. lav., 13 agosto 2007, n. 17652, ove è stata ritenuta corretta la decisione del giudice di merito, secondo cui “la consegna del libretto di lavoro…da parte della società con l’indicazione della data di cessazione del rapporto deve essere considerato atto formato di recesso”; in tal senso, v. anche Cass., civ. sez. lav., 18 marzo 2009, n. 6553).

La modalità utilizzata dal datore di lavoro, nel caso di specie, appare idonea ad assolvere ai requisiti formali in esame, in quanto la volontà di licenziare è stata comunicata per iscritto alla lavoratrice in maniera inequivoca, come del resto dimostra la reazione da subito manifestata dalla predetta parte.

Quanto alla circostanza che il licenziamento non sarebbe stato sottoscritto dal datore di lavoro, ma da soggetto terzo (nella fattispecie il direttore tecnico), va ricordato che “La disciplina dettata dall’art. 1399 c.c. – che prevede la possibilità di ratifica con effetto retroattivo, ma con salvezza dei diritti dei terzi, del contratto concluso dal soggetto privo del potere di rappresentanza – è applicabile, in virtù dell’art. 1324 c.c., anche a negozi unilaterali come il licenziamento.

Pertanto la dichiarazione di recesso proveniente da un organo della società datrice di lavoro sfornito del potere di rappresentanza della medesima può essere efficacemente ratificata dall’organo rappresentativo della società anche in sede di costituzione in giudizio per resistere all’impugnativa del licenziamento proposta dal lavoratore che deduca il detto difetto di rappresentanza, … non potendo il lavoratore essere compreso fra quei terzi di cui il comma 2 dell’art. 1399 fa salvi i diritti” (App. Milano, 28-06-2002; Cass. civ. Sez. lavoro, 05-04-1990, n. 2824).

Nel caso di specie, pertanto, il motivo attinente al presunto difetto di legittimazione del soggetto che ha intimato il licenziamento (peraltro mai esternato in sede stragiudiziale) deve ritenersi irrilevante, avendo la società comunque confermato la volontà di recedere dal rapporto.

Ciò posto, va rilevato che, avendo parte ricorrente impugnato il licenziamento in data 23.4.2015 (con missiva ricevuta in data 15.5.2015), la stessa ha tempestivamente proposto il tentativo di conciliazione in data 13.11.2015.

Tuttavia, dopo l’esito del tentativo di conciliazione, conclusosi con il mancato accordo in data 17.5.2016, ha proposto ricorso solo in data 22.7.2016, dopo l’inutile spirare del termine decadenziale previsto dall’art. 6, comma secondo, L. n. 604 del 1966 (come modificato dall’art. 32 Collegato lavoro), di 60 gg.

Dispone infatti tale disposizione che “L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso.

Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”.

Il ricorso avverso il licenziamento appare quindi inammissibile per intervenuta decadenza.

La particolarità della fattispecie scrutinata giustifica per la presente fase la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il TRIBUNALE DI CATANIA, disattesa allo stato ogni ulteriore domanda, eccezione o difesa, così statuisce:

1. DICHIARA INAMMISSIBILE il ricorso;

2. COMPENSA le spese processuali;

Si comunichi.

Così deciso in Catania, il 27 giugno 2017.