Tasse: avviso di accertamento (Commissione Tributaria Regionale Sicilia, Sezione XII, Sentenza 18 dicembre 2018, n. 5751).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI SICILIA

SEZIONE DODICESIMA di PALERMO

riunita con l’intervento dei Signori:

Dott. CARRARA CARMELO – Presidente e Relatore

Dott. GENNARO IGNAZIO – Giudice

Dott. MATTARELLA BERNARDO – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

– sull’appello n. 5292/2018, depositato il 04/07/2018

– avverso la pronuncia sentenza n. 311/2018 Sez:3 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di TRAPANI

contro:

AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE TRAPANI

proposto dagli appellanti:

D.S., difeso dagli Avv. (OMISSIS) VIA (OMISSIS); Avv. (OMISSIS) VIA (OMISSIS); Avv. (OMISSIS), VIA (OMISSIS), giusta procura in atti;

Atti impugnati:

ATTO DI CONTEST n. (…) IRPEF-ADD.REG. 2011

ATTO DI CONTEST n. (…) IRPEF-ADD.COM. 2011

ATTO DI CONTEST n. (…) IRPEF-LAV.AUTON 2011

ATTO DI CONTEST n. (…) IRPEF-ALTRO 2011

FATTO E DIRITTO

D.S. ha proposto appello per la riforma della sentenza n.311/2018 della CPT di Trapani deducendo l’illegittimità della decisione impugnata per omessa pronuncia, per omessa e/o apparente motivazione sull’avviso di accertamento impugnato, adottato senza la ricorrenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, nonchè per violazione dell’art. 54 D.P.R. n. 917 del 1986.

Si è costituita l’Agenzia delle Entrate deducendo l’atto di contestazione impugnato è strettamente connesso all’avviso di accertamento per maggiori ricavi ugualmente appellato dal D., richiamando il fatto che correttamente l’Ufficio aveva tassato per cassa ricavi non dichiarati ed accertati sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, non potendosi aderire alle giustificazioni labiali addotte dal ricorrente sui mancati incassi ed essendo inverosimile che il professionista abbia svolto a titolo di gratuità la maggior parte delle sue prestazioni professionali.

Ciò posto, la Commissione osserva che l’appello è infondato.

Innanzitutto, giova osservare che avendo il giudice di prime cure rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento, correttamente ne discendeva l’obbligo per il contribuente di presentare il modello relativo agli studi di settore e sanzionarne la relativa omissione.

L’appello, dunque, è necessariamente interdipendente dall’esito del gravame per l’atto presupposto che ha determinato l’atto di contestazione.

A questo specifico riguardo, va tenuto conto del fatto che in maniera abbastanza esaustiva l’A.F. ha proceduto all’accertamento analitico-induttivo sulla base di accurato vaglio della posizione del contribuente e delle presunzioni gravi, precise e concordanti di cui ha dato atto, sia pure con motivazione sintetica, il giudice di prime cure.

La CPT ha poi basato il suo convincimento sulla considerazione,condivisa dal giudice d’appello,secondo cui nell’operato dell’Ufficio non possono riscontrarsi le violazioni di legge dedotte,ciò anche in considerazione del fatto che l’Amministrazione finanziaria aveva già preso in esame, sia pure in sede di accertamento per adesione, e poi non condivise per mancanza di dati certi, le generiche giustificazioni fornite dal contribuente.

Tanto va affermato a fronte del fatto accertato che, su ben 151 nominativi di soggetti assistiti, non risultava emessa alcun fattura di incasso relativo a compensi per l’espletamento di n.104 incarichi professionali.

Rimane, altresì, acclarato che l’Ufficio aveva riconosciuto, già in sede di accertamento per adesione, la gratuità di alcuni incarichi, in considerazione del grado di parentela e della mancanza di dichiarazione dei redditi dell’assistito.

E’ evidente, tuttavia, che, in carenza di plausibile giustificazione, non si può conferire il carattere di gratuità e, comunque di alcuna corresponsione di onorari, per gli altri incarichi verificati, vigendo al contrario la presunzione dell’onerosità delle prestazioni svolte dal professionista.

L’accertamento dell’Ufficio, peraltro, non è stato contraddetto dal contribuente ed anzi è stato ulteriormente suffragato dalla mancanza di documentazione extracontabile che possa in qualche modo dimostrare che il contribuente si sia attivato, con l’invio di parcelle pro-forma, con lettere di sollecito di pagamento e di diffida nei confronti dei clienti morosi, nonostante il lungo tempo trascorso dal conferimento dell’incarico e/o dall’espletamento dello stesso.

L’ufficio, poi, ha tassato il contribuente per cassa, e quindi senza alcuna violazione del richiamato art. 54 del D.P.R. n. 917 del 1986 proprio perchè, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti (tenuto conto in particolare del gran numero dei soggetti censiti e dell’entità dei compensi) ha ritenuto che i relativi compensi siano stati effettivamente incassati.

Quanto, infine, alla produzione delle fatture per annualità successive, ritiene la Commissione che debba condividersi, anche in ordine a questo punto, l’operato dell’Ufficio in quanto, in carenza di specificazione nelle singole fatture che spesso riportano la generica dizione di acconti, non può dirsi raggiunta la prova che la fatturazione si riferisca all’annualità 2011, anziché quella del 2012, avuto riguardo anche al carattere di continuità della prestazione.

Al rigetto dell’appello segue la condanna del soccombente alle spese del giudizio che si liquidano in complessivi Euro 1000,00.

P.Q.M.

Rigetta l’appello e condanna il soccombente alle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 1000,00.

Così deciso in Palermo il giorno 10 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il giorno 18 dicembre 2018.