Una sola indennità al personale infermieristico: anche nell’ipotesi in cui detto personale presti servizio in una pluralità di strutture nella medesima giornata lavorativa (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 aprile – 7 agosto 2015, n. 16574).

1.- Con sentenza del 22 luglio 2011 la Corte di Appello di Messina ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto le domande proposte da M.G. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe nei confronti della Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “(OMISSIS) “, quali infermieri in servizio presso il locale policlinico, volte al riconoscimento del diritto degli istanti alla “corresponsione dell’indennità di turno, dell’indennità subintensiva, dell’indennità rischio da infezione da HIV ed epatite di cui all’art. 44 del CCNL (comparto Sanità) 1 settembre 1995 ed art. 5 del contratto decentrato”, per un importo maggiore rispetto a quello erogato dall’Azienda.

La Corte territoriale, interpretando detta disciplina contrattuale, ha ritenuto che, sia sotto il profilo letterale che teleologia), tutte le singole indennità previste dall’art. 44 – con le sole esclusioni espressamente contemplate – fossero tra loro cumulabili, costituendo “distinti compensi ciascuno volto a compensare le gravose condizioni di lavoro connesse a determinate attività lavorative”.

2.- Per la cassazione di tale sentenza l’Azienda Ospedaliera ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo.

Hanno resistito con controricorso gli intimati.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

3.- Con l’unico motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. ed erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 44, co. 6, del CCNL comparto Sanità del 1 settembre 1995.

Parte ricorrente rileva che, nonostante l’Azienda abbia sempre erogato agli infermieri operanti presso la stessa, a titolo di indennità ex art. 44, co. 6, cit., la misura massima di Euro 5,16 ivi prevista, nonché l’indennità di turno di cui all’art. 44, co. 3, nella misura di Euro 4,39, nel 2008 un rilevante numero di essi, sul presupposto che le indennità contemplate nello stesso comma siano tra loro cumulabili e, comunque, dovute “per l’aggravamento delle condizioni lavorative in ragione delle effettive attività assistenziali svolte”, aveva promosso azione giudiziaria per ottenere il pagamento delle ulteriori indennità previste dal comma 6 dell’art. 44 citato.

Osserva che nella specie non è in contestazione il cumulo tra le molteplici indennità previste dal citato art. 44 bensì la pretesa operatività dello stesso cumulo nell’ambito dell’unitaria indennità di cui al comma 6 dello stesso articolo.

Censura la violazione, da parte della sentenza impugnata, del basilare principio di ermeneutica contrattuale sancito dal 1 comma dell’art. 1362 c.c. per avere interpretato le disposizioni in esame in modo da consentire che il personale infermieristico che svolga, nella stessa giornata, una o più delle attività proprie dei servizi previsti dall’art. 44 (sala operatoria, preparare e/o somministrare terapie antiblastiche, essere esposto al rischio di infezione HIV ed epatite, ecc.) di vedersi corrispondere tante indennità quante sono le attività svolte, e non piuttosto, secondo la chiara volontà delle parti stipulanti il CCNL di comparto, l’unica indennità prevista per la complessiva attività lavorativa svolta nell’unità operativa di servizio.

4.- Il Collegio giudica il ricorso fondato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. che consente l’impugnazione per cassazione delle sentenze “per violazione o falsa applicazione… dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”.

5.- Di recente questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “La denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. cod. civ.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti” (Cass. n. 6335 del 2014).

La sentenza ha rilevato come l’aggiunta del vizio di “violazione o falsa applicazione di norme… dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro” al fianco del vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, introdotta dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006 al n. 3 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., abbia segnato “il punto di approdo… del movimento di distacco (sul piano processuale) del contratto collettivo dallo schema del negozio giuridico”, in uno all’introduzione dell’art. 420 bis c.p.c. ed in simmetria con quanto già previsto dagli artt. 63, co. 5, e 64 d.lgs. n. 165 del 2001.

“Ciò comporta all’evidenza – continua la Corte – la necessità di ascrivere la doglianza all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione senza (più) la necessità di indicazione, a pena di inammissibilità della doglianza, del criterio ermeneutico violato (artt. 1362 ss. c.c.), così come analoga indicazione non è necessaria per le altre norme di diritto (con riferimento, in particolare, all’art. 12 disp. prel. cc)”.

Pertanto la pronuncia ha ritenuto non più rispondente alla modifica normativa quell’insegnamento giurisprudenziale secondo cui l’interpretazione dei contratti collettivi di lavoro integrerebbe un’indagine di fatto riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata, ovvero di violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. cc.

In continuità con il richiamato indirizzo si è successivamente affermato che “la parificazione, sul piano processuale, dei “contratti o accordi collettivi di lavoro” alle “norme di diritto” ad opera dell’art. 2 d.lgs. n. 40/2006 comporta che la cassazione per violazione del c.c.n.l. da luogo all’enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 384, co. 1, c.p.c. ed alla decisione della causa nel merito, ai sensi del secondo comma, quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto” (Cass. n. 19507 del 2014).

Il Collegio, avuto riguardo alla controversia in esame, intende dare ulteriore seguito all’esposto orientamento (su cui v. già Cass. n. 26738 del 2014).

Da esso consegue che la traslazione, dal fatto al diritto, del vizio di “violazione o falsa applicazione di norme… dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro” non solo influisce sulle modalità attraverso cui può essere proposta la censura, ma incide sul tipo di sindacato che dovrà essere svolto dal giudice di legittimità.

Vuole dirsi che se non è indispensabile la mediazione dei canoni ermeneutici asseritamente violati per ammettere la doglianza, corrispettivamente è sufficiente che si ponga questione dell’interpretazione di una disciplina collettiva nazionale per attivare il sindacato di legittimità con una latitudine analoga a quella che si esercita per gli errori in punto di diritto.

Con l’ulteriore inevitabile conseguenza che si prescinde non solo dalla proposta interpretativa formulata da parte ricorrente, ma che diviene irrilevante anche la motivazione offerta dalla sentenza impugnata, come accade in tutti i casi in cui il giudice di merito abbia erroneamente o insufficientemente motivato la propria decisione in diritto.

Del resto già Cass. SS.UU. n. 20075 del 2010, scrutinando le modifiche processuali innanzi richiamate, ha avuto modo di affermare che, con esse, questa Corte “è stata investita di un sindacato di legittimità esteso a norme contrattuali collettive nell’evidente intento di uniformare la loro interpretazione ad immagine della funzione nomofilattica che riguarda segnatamente le norme di diritto”, al fine di alimentare “un circuito virtuoso per accelerare la formazione della giurisprudenza sulle norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro e quindi per promuovere una nomofilachia anticipata e più rapida”, con una pronuncia idonea “a trascendere il caso di specie nel senso che ha una qualche incidenza anche in altri giudizi che pongono la medesima questione interpretativa della normativa collettiva di livello nazionale”.

Dunque il giudice di legittimità chiamato a svolgere questo ruolo “di nuovo conio” esercita “un sindacato che tendenzialmente è modellato ad immagine del sindacato sulle norme di legge. Come quest’ultimo – prosegue la pronuncia – facoltizza questa Corte a tener conto di qualsiasi norma, primaria o subprimaria nella gerarchia delle fonti, anche se non indicata dalla parte ricorrente a parametro delle sue censure di violazione di legge mosse alla sentenza impugnata, ma pur sempre nel rispetto del contenuto oggettivo del ricorso che è fissato dalla parte ricorrente, analogamente il sindacato che abbia come parametro la contrattazione collettiva di livello nazionale facoltizza questa Corte all’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali ex art. 1363 c.c. che in generale prescrive che le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto”.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, avendo parte ricorrente censurato con il mezzo di impugnazione, sotto il profilo della violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, l’interpretazione del contratto collettivo di livello nazionale proposta dai giudici d’appello, occorrerà procedere all’interpretazione di detta disciplina ad opera di questa Corte, senza esser vincolati dalla ricostruzione offerta dal giudice di merito e dalla sua motivazione.

6.- Indispensabile premettere la ricognizione delle disposizioni della contrattazione collettiva nazionale ritenute rilevanti ai fini del decidere ed acquisite al giudizio.

L’art. 44 del CCNL 1 settembre 1995 del comparto Sanità, collocato nella parte seconda dedicata alla struttura della retribuzione del personale e rubricato “Indennità per particolari condizioni di lavoro”, disciplina in 13 commi il trattamento economico e normativo di una serie di emolumenti.

Dopo essersi occupato della “indennità di pronta disponibilità” (co. 1), delle indennità di “polizia giudiziaria”, di “profilassi antitubercolare”, di “bilinguismo” (co. 2), delle indennità di “turno” (co. 3, 4 e 5), l’art. 44 cit. al comma 6 stabilisce:

“Al personale infermieristico competono, altresì, le seguenti indennità per ogni giornata di effettivo servizio prestato: a) nelle terapie intensive e nelle sale operatorie: L. 8.000; b) nelle terapie sub-intensive individuate ai sensi delle disposizioni regionali e nei servizi di nefrologia e dialisi: L. 8.000; c) nei servizi di malattie infettive: L. 10.000”.

La questione interpretativa sottoposta all’attenzione del Collegio è se al personale infermieristico possano competere, per ogni giornata di effettivo servizio prestato, le indennità previste dal comma 6 dell’art. 44 in misura tale da consentire importi cumulati tra quelli previsti da detto comma, come opina la Corte territoriale, ovvero, al massimo, la misura di uno solo tra essi, come prospettato dall’Azienda Ospedaliera.

7.- Deve essere privilegiata la seconda interpretazione per le ragioni che seguono.

Dal punto di vista letterale il comma 6 attribuisce l’indennità in parola “per ogni giornata di effettivo servizio prestato”, dunque per ogni giornata di servizio è prevista una delle misure dell’indennità di cui ai successivi punti a), b) e c), e non vi è alcun elemento, all’interno di detta disposizione, che possa far pensare che le parti sociali avessero intenzione di raddoppiare o triplicare la medesima indennità.

Il riferimento alla “giornata di effettivo servizio” rende chiaro che l’importo dell’indennità è commisurato all’intera giornata lavorativa prestata in una delle strutture specificamente indicate, senza che la circostanza di una prestazione nel corso della medesima giornata lavorativa in una pluralità di dette strutture possa consentire l’incremento esponenziale dell’emolumento.

Altrimenti ragionando si tratterebbe in modo ingiustificatamente deteriore l’infermiere che è esposto al rischio per l’intera giornata in una identica struttura rispetto a colui che viene, in concomitanza, assegnato a più strutture, pur essendo esposto al rischio per il medesimo arco temporale.

Tale esegesi è coerente con quella già offerta da questa Corte a proposito della medesima disposizione contrattuale collettiva laddove si è escluso che l’indennità in parola possa competere “anche a infermieri che operano in altri segmenti dell’organizzazione sanitaria non finalizzati alle terapie intensive e subintensive ogniqualvolta si verifichi di fatto una situazione di rischio assimilabile a quella propria dei reparti di terapia intensive e sub-intensive”; infatti “tutte le situazioni per le quali viene prevista l’indennità (lett. a, b, c) fanno riferimento ad articolazioni del servizio sanitario e non al tipo di patologia con il quale l’infermiere può venire in contatto quale che sia la struttura in cui opera”; pertanto la volontà delle parti contrattuali è “quella di collegare l’indennità allo svolgimento del lavoro nelle terapie intensive, sub-intensive e nelle sale operatorie, e non al più generico rischio che si estende agli infermieri di altri reparti chiamati a svolgere attività di terapia intensiva o sub-intensiva” (in termini Cass. n. 5566 del 2014; cfr. Cass. n. 9248 del 2008; conforme Cass. n. 460 del 2015).

Dunque dirimente ai fini dell’erogazione dell’indennità in parola è l’assegnazione organica al reparto e non la mera circostanza di svolgere una pluralità di compiti astrattamente sussumibili tra quelli che espongono al rischio, con possibilità di proliferazione degli importi.

Ulteriore conferma dell’interpretazione qui accolta è rinvenibile nei precedenti comportamenti delle parti collettive e, precisamente, nell’antecedente storico dell’art. 44 del CCNL in esame, rappresentato dall’art. 49 del d.P.R. n. 384 del 1990, secondo il quale: “Al personale infermieristico di posizione funzionale corrispondente al V, VI e VII livello retributivo, operante nelle terapie intensive, sub-intensive, nelle sale operatorie e nei servizi di nefrologia e dialisi, compete un’indennità giornaliera, per le giornate di effettivo servizio prestate, pari a L. 8.000 giornaliere (co. 5). L’indennità di cui al comma 5, maggiorata di L. 2.000 giornaliere, compete, altresì, al personale infermieristico assegnato ai servizi di malattie infettive (co. 6)”.

Si trattava all’evidenza di una unica indennità, di importo maggiorato nel caso di assegnazione ai servizi di malattie infettive, per cui il tenore letterale di certo non consentiva di cumulare lo stesso importo sol perché l’infermiere avesse svolto nella stessa giornata, ad esempio, servizio sia presso una sala operatoria che in una terapia intensiva.

Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la contrattazione collettiva del 1995 non ha innovato la materia, sostanzialmente confermando quanto già previsto dai precedenti accordi, recepiti in d.P.R. prima della riforma di cui al d.lgs. n. 29 del 1993, in punto di indennità connesse alle condizioni di lavoro (cfr. CCNL del 18 ottobre 2000 sull’interpretazione autentica dell’art. 44, co. 5, del CCNL 1/9/1995 nonché ipotesi di CCNL di interpretazione autentica del 4 dicembre 2001 dell’art. 44, co. 6, del CCNL 1/9/1995, cit. da Cass. n. 9248 del 2008).

Quanto alla circostanza, evidenziata dalla sentenza impugnata, secondo cui il co. 13 dell’art. 44 prevede che “le indennità di cui al presente articolo” sono “cumulabili tra di loro, fatto salvo quanto previsto dai commi 5 e 7”, è agevole osservare che la cumulabilità si riferisce alle diverse indennità contenute nello stesso articolo, come è il caso pacifico della cumulabilità dell’indennità di turno con quella in esame, ma non certo alla cumulabilità dei vari importi previsti all’interno dello stesso comma 6 che riguardano, per quanto già detto, una indennità sostanzialmente unitaria, come è confermato altresì dal fatto che nei commi 5, 7 e 9 ci si riferisce ad essa al singolare, quale “indennità del comma 6”.

Infine, non può mutare il convincimento espresso dal Collegio il rilievo – su cui molto insistono le parti controricorrenti – basato sull’art. 5 dell’accordo decentrato del 28 maggio 1998 invocato nella fattispecie.

Infatti l’art. 44, co. 9, del CCNL 1 settembre 1995 comparto Sanità abilita la contrattazione decentrata, entro ben definiti limiti di spesa, ad individuare “nei servizi indicati nel comma 6,… altri operatori del ruolo sanitario, ai quali corrispondere l’indennità giornaliera prevista dal medesimo comma, limitatamente ai giorni in cui abbiano prestato un intero turno lavorativo nei servizi di riferimento”.

La disposizione consente quindi l’ampliamento soggettivo dei destinatari dell’indennità di cui al comma 6, mediante la contrattazione decentrata, ma non attribuisce affatto al personale così individuato il diritto di cumulare più importi tra quelli contenuti nel comma 6; al contrario, il riferimento ad “un intero turno lavorativo nei servizi di riferimento” conferma, ove ce ne fosse ancora bisogno, che l’indennità è commisurata ad un turno di lavoro per l’intera giornata e non può essere duplicata se, nello stesso giorno, si presta attività in una pluralità di servizi astrattamente aventi titolo.

8.- Conclusivamente, ai sensi dell’art. 384, co. 1, c.p.c., deve essere enunciato il seguente principio di diritto:

“L’art. 44, comma 6, del CCNL comparto Sanità siglato il 1 settembre 1995 deve essere interpretato nel senso che l’indennità ivi prevista per il personale infermieristico compete, per ogni giornata di effettivo servizio prestato, in una delle misure previste dai punti a), b) e c) del comma, senza possibilità di cumulo nel caso di attività espletata nel corso della medesima giornata in una pluralità di strutture tra quelle indicate nella disposizione”.

Pertanto il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per la regolazione delle spese, alla Corte indicata in dispositivo, che si uniformerà al principio innanzi espresso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte di Appello di Messina in diversa composizione.