Valutazioni del prefetto sottese all’informativa antimafia (Consiglio di Stato, Sezione III, Sentenza 30 gennaio 2019, n. 758).

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore

Stefania Santoleri, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere

Giorgio Calderoni, Consigliere

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2202 del 2018, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di -OMISSIS-, in persona del Prefetto pro tempore, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

-OMISSIS–OMISSIS-s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Luigi Maria D’Angiolella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. Antonelli n. 49, e altresì dall’Avvocato Angelo Clarizia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Raffaele Marciano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Nicola Bultrini in Roma, via Germanico, n. 172;

nei confronti

Comune di -OMISSIS-, non costituito in giudizio;

-OMISSIS-, non costituita in giudizio;

per la riforma della sentenza n. -OMISSIS-del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. I, resa tra le parti, concernente l’informazione antimafia emessa dalla Prefettura di -OMISSIS- nei confronti di -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l., odierna appellata, nonché tutti gli atti prodromici e consequenziali.

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. e del Comune di -OMISSIS-;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2019 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierna appellata, -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l., l’Avvocato Luigi Maria D’Angiolella e l’Avvocato Angelo Clarizia nonché per le pubbliche amministrazioni appellanti, il Ministero dell’Interno, l’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di -OMISSIS-, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero della Difesa, l’Avvocato dello Stato Tito Varrone;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierna società appellata, -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l., ha impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, con tre separati ricorsi, rispettivamente iscritti al R.G: n. -OMISSIS-, al R.G: n. -OMISSIS-e al R.G. n.-OMISSIS-e successivamente integrati da motivi aggiunti, l’informazione antimafia, CAT. -OMISSIS- prot. n.-OMISSIS-, emessa nei suoi confronti dalla Prefettura di -OMISSIS-, nonché i consequenziali atti emessi dalle varie amministrazioni e, in particolare:

a) quanto al ricorso R.G. n. -OMISSIS-, la determina del responsabile del Servizio del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-con la quale è stata comunicata all’impresa, odierna appellata, la risoluzione del contratto sottoscritto il -OMISSIS-;

b) quanto al ricorso R.G. n. -OMISSIS-, la nota prot. n. -OMISSIS-del Comune di -OMISSIS-, con cui è stata comunicata all’impresa, odierna appellata, la determinazione del Settore Tecnico del Comune di -OMISSIS-, recante la risoluzione del contratto d’appalto stipulato il -OMISSIS- per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione e completamento della reta idrica e di depurazione comunale, e tutti gli atti connessi e consequenziali.

c) quanto al ricorso R.G. n. -OMISSIS-, la nota prot. n. -OMISSIS-del -OMISSIS-, con cui -OMISSIS- ha comunicato l’avvio del procedimento per la risoluzione del contratto stipulato il -OMISSIS-, relativo all’affidamento della progettazione esecutiva e all’esecuzione dei lavori sulla base del progetto definitivo «Intervento di completamento della rete fognaria comunale. Ampliamento rete fognaria in località-OMISSIS-nel Comune di -OMISSIS-», e l’eventuale provvedimento di risoluzione del medesimo contratto testé citato;

1.1. Nel primo grado dei tre giudizi, così instaurati, si sono costituiti il Ministero dell’Interno o nonché le altre amministrazioni, odierne appellanti, per resistere ai ricorsi, di cui hanno chiesto la reiezione e il Comune di -OMISSIS-, anche esso per chiedere la reiezione del ricorso.

1.2. Con l’ordinanza n. -OMISSIS-il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, ha ordinato alla Prefettura di -OMISSIS- di depositare tutti gli atti e i documenti posti a fondamento della misura interdittiva.

1.3. Infine, con la sentenza n. -OMISSIS-, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, ha annullato il provvedimento interdittivo e tutti i consequenziali atti adottati dalle varie amministrazioni e ha compensato tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto appello il Ministero dell’Interno, l’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di -OMISSIS-, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero della Difesa, articolando due motivi di censura che di seguito saranno esaminati, e ne hanno chiesto la riforma, con la conseguente reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti proposti in primo grado.

2.1. Si è costituita con la memoria difensiva, depositata il 17 aprile 2018, l’appellata -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l., che ha eccepito l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza dell’appello.

2.2. Si è altresì costituito il Comune di -OMISSIS-, per chiedere, al contrario, l’accoglimento dell’appello.

2.3. Nella camera di consiglio del 19 aprile 2018, fissata per l’esame della domanda cautelare, il Collegio, sull’accordo delle parti, ha rinviato la causa per il sollecito esame del merito all’udienza pubblica del 13 settembre 2018.

2.4. Nell’udienza pubblica del 13 settembre 2018 il Collegio, su accordo dei difensori, ha rinviato la causa all’udienza pubblica del 24 gennaio 2019.

2.5. Infine, nella pubblica udienza del 24 gennaio 2019 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

3. L’appello è fondato.

4. Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità, proposta dall’appellata -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l., la quale deduce che il Ministero dell’Interno non avrebbe alcun interesse ad impugnare la sentenza n. -OMISSIS-per avere omesso di impugnare la sentenza “gemella” n. -OMISSIS-, emessa dal medesimo Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, nei confronti della società -OMISSIS-

4.1. Detta sentenza non è stata oggetto di gravame ed è ormai passata in giudicato, con la conseguente definitività, così sostiene l’appellata (p. 9 della memoria difensiva), in ordine alla insussistenza di un rischio di condizionamento criminale in relazione alle circostanze dedotte nell’informativa e, in particolare, alla figura di -OMISSIS–OMISSIS-.

4.2. La circostanza travolgerebbe, sostanzialmente, lo stesso interesse del Ministero appellante a coltivare l’odierno gravame, posto che l’inidoneità degli elementi istruttori e motivazionali qui in discussione è stata sancita, in via definitiva, con una sentenza passata in giudicato, peraltro riferita alla società – -OMISSIS- – nella quale -OMISSIS–OMISSIS-ha rivestito la carica di amministratore unico.

4.3. Di qui, ad avviso dell’appellata, l’inammissibilità dell’appello, proposto dal Ministero dell’Interno e dalle altre amministrazioni.

4.4. L’eccezione va respinta.

4.5. Il giudicato formatosi in seguito alla mancata impugnativa della sentenza n. -OMISSIS- non priva di interesse il Ministero dell’Interno ad impugnare in questo giudizio la sentenza n. -OMISSIS-, che riguarda una società, -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l., del tutto distinta da -OMISSIS- – di cui la società odierna appellata detiene il 100% delle quote – e, per quanto simili o coincidenti possano essere gli elementi posti a base delle due informative, essi rimangono provvedimenti distinti, fondati su valutazioni comunque autonome, volta per volta, da parte dell’autorità prefettizia.

4.6. La medesima sentenza n. -OMISSIS-, nel rilevare il rapporto di “interdipendenza” tra l’informazione impugnata nel presente giudizio e quella qui gravata per «la identità delle circostanze fattuali poste a giustificazione di entrambe», ha osservato di essere pervenuta alla decisione di annullare detta informazione solo per avere, contestualmente, deciso di annullare l’informazione emessa nei confronti dell’odierna appellata, sicché, anche a voler seguire il ragionamento del Tribunale e a tutto concedere, l’interesse del Ministero ad impugnare la sentenza n. -OMISSIS-si giustificherebbe, a maggior ragione, proprio per la natura “pregiudiziale” ravvisata dal medesimo Tribunale nella pronuncia qui difatti ritualmente gravata.

4.7. Solo al fine di prevenire strumentali impugnative della presente pronuncia, anche in ipotesi ai sensi dell’art. 395, comma primo, n. 5, c.p.c., in ogni caso, si deve qui affermare che la valutazione in ordine agli elementi posti a base dell’informazione antimafia, impugnata nel presente giudizio, non pone un conflitto pratico di giudicati rispetto alla valutazione di taluni o anche tutti gli eventualmente coincidenti elementi posti a base dell’informazione antimafia emessa nei confronti di -OMISSIS-, soggetto del tutto distinto ed estraneo al presente giudizio.

5. Deve essere parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità, pure sollevata dall’appellata -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. (pp. 9-10 della memoria difensiva), in ordine alla mancata contestazione delle specifiche motivazioni della sentenza impugnata, atteso che, al contrario, tale contestazione ben si rinviene nella lettura dell’appello, che ha inteso sottoporre a critica le argomentazioni addotte dal primo giudice per ritenere ingiustificato il pericolo di infiltrazione mafiosa.

6. Il Collegio, ciò premesso, intende brevemente riepilogare quali siano i principî di diritto applicabili alla materia delle informazioni antimafia.

6.1. L’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa.

6.2. Questo Consiglio di Stato ha già chiarito che tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 3 maggio -OMISSIS-, n. 1743 e la giurisprudenza successiva di questa Sezione, tutta conforme, da aversi qui per richiamata).

6.3. Lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011 (qui in avanti, per brevità, anche codice antimafia) – riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate».

6.4 Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di queste ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

6.5. Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento.

6.6. Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia non sanziona perciò fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto “evento” si realizzi.

6.7. Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che «può» – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata».

6.8. Si vedrà nel dettaglio più avanti (v., in particolare, infra ai § 10 e ss.) in che consistano questi elementi, concreti, sui quali si deve basare la valutazione del Prefetto.

7. Qui basti intanto rilevare che la formulazione della fattispecie normativa a struttura aperta, propria dell’informazione interdittiva antimafia, consente all’autorità amministrativa e, ove insorga contestazione in sede giurisdizionale, al giudice amministrativo di apprezzare, in sede di sindacato sull’eccesso di potere, tutta una serie di elementi sintomatici dai quali evincere l’influenza, anche indiretta (art. 91, comma 6, d. lgs. n. 159 del 2011), delle organizzazioni mafiose sull’attività di impresa, nella duplice veste della c.d. contiguità soggiacente o della c.d. contiguità compiacente, elementi che sfuggirebbero, invece, ad una rigorosa, tassativa, asfissiante tipizzazione di tipo casistico, che elenchi un numerus clausus di situazioni “sintomatiche”.

7.1. Una simile tecnica legislativa, ove pure sia auspicabile, in abstracto, sul piano della certezza del diritto e della prevedibilità delle condotte anche in materia di prevenzione antimafia, frustrerebbe nel suo «fattore di rigidità», per usare un’espressione dottrinaria, la ratio che ispira il diritto della prevenzione, il quale deve affidarsi anche, e necessariamente, a “clausole generali”, come quelle del tentativo di infiltrazione mafiosa, e alla valutazione di situazioni concrete, non definibili a priori, spesso ancora ignote alle stesse forze di polizia prima ancora che alla più avanzata legislazione, attraverso le quali la mafia opera e si traveste, in forme nuove e cangianti, per condizionare le scelte imprenditoriali.

7.2. Proprio queste situazioni rischierebbero infatti, in quanto non già tipizzate dal legislatore, di sfuggire alla valutazione dell’autorità amministrativa e ciò, per le esigenze prevenzionistiche che ispirano l’intera materia, sarebbe tanto più grave al cospetto di condotte elusive o collusive poste in essere dalla stessa impresa, essendo ben noto all’esperienza giurisprudenziale che le forme più insidiose, e più sfuggenti, di pericolo infiltrativo sono proprie quelle che allignano in una contiguità compiacente, su un accordo economico cioè, più o meno tacito, tra l’imprenditore e la criminalità organizzata.

8. Un simile accordo già in sé costituisce una minaccia per la sicurezza pubblica e un pericolo per lo Stato, poiché accordo in realtà non è, anche quando la mafia si presenta nella veste di scaltro e ormai raffinato contraente, ponendosi essa sempre in posizione di forza, e di sopraffazione, e giammai di parità rispetto a chi, seppure per ingenuo calcolo, si ponga in rapporto con essa.

8.1. La legislazione antimafia può e deve prevenire anche l’insidia della contiguità compiacente accanto a quella c.d. soggiacente e, con essa, le condotte, ambigue, di quegli operatori economici che, pur estranei ad associazioni mafiose, si pongono su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale (v., in questo senso, la già richiamata sentenza n. 1743 del 3 maggio -OMISSIS- di questo Consiglio), se è vero che simili condotte non solo sono un pericolo non solo per la sicurezza pubblica e per l’economia legale, ma anzitutto e soprattutto un attentato al valore personalistico (art. 2 Cost.) e, cioè, quel «fondamentale principio che pone al vertice dell’ordinamento la dignità e il valore della persona» (v., per tutte, Corte cost., 7 dicembre 2017, n. 258), anche in ambito economico, e rinnegato in radice dalla mafia, che ne fa invece un valore negoziabile nel “patto di affari” stipulato con l’impresa, nel nome di un comune o convergente interesse economico, a danno dello Stato.

8.2. E tuttavia questo patto, come si è accennato, a discapito del nome è pur sempre una forma di condizionamento, diretto o indiretto a seconda dei casi, esercitato dalla mafia per asservire uomini e mezzi ai suoi fini illeciti e, quindi, una minaccia per la dignità di quegli imprenditori che questo patto stipulano, nell’illusoria prospettiva di un affare, anzitutto contro di sé.

8.3. Chi contratta e collabora con la mafia infatti, per convenienza o connivenza, non è mai soggetto, ma solo oggetto di contrattazione.

8.4. Se un vero e più profondo fondamento, allora, si vuole generalmente rinvenire nella legislazione antimafia e, particolarmente, nell’istituto dell’informazione antimafia, esso davvero riposa nella dignità della persona, principio supremo del nostro ordinamento, il quale – e non a caso – opera come limite all’attività di impresa, ai sensi dell’art. 41, comma secondo, Cost., laddove la disposizione costituzionale prevede che l’iniziativa economica privata, libera, «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o – secondo un climax assiologico di tipo ascendente – in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

8.5. E non vi è dubbio, ad avviso di questo Collegio, che qualsiasi forma di contiguità imprenditoriale alla mafia, sia essa soggiacente o, ancor peggio, compiacente, sia un attentato alla libertà dell’impresa, di ogni impresa che voglia regolarmente operare sul mercato, e alla dignità della persona umana, asservita per ragioni economiche a fini di associazioni pericolosamente operanti in radicale antitesi rispetto allo Stato.

8.6. I fenomeni criminali di cui sono espressione le organizzazioni e le attività mafiose, in effetti, hanno progressivamente assunto, nel corso dei decenni, carattere sempre più “asimmetrico”, nel senso che metodi e obiettivi hanno sempre più accentuato i caratteri della adattabilità alle circostanze più favorevoli al profitto ingente e facile, della imprevedibilità di strategie grazie alla estrema flessibilità nel mutamento di operazioni, alleanze e strategie e della graduale, ma costante penetrazione, con una serie di atti apparentemente non eccezionali o eclatanti, nei più diversi contesti della economia legale, e con una proiezione ormai anche internazionale.

8.7. Ciò permette alle mafie, rispetto alle tragiche stagioni di sangue degli attacchi frontali allo Stato, di occupare nella quotidianità settori che soltanto con la capillare attività di monitoraggio territoriale riescono ad emergere, grazie agli strumenti che il codice antimafia offre alla Prefettura.

8.8. Ecco perché una minaccia asimmetrica, quale quella mafiosa, richiede una “frontiera avanzata” della prevenzione con strumenti che debbono armonizzarsi, adattarsi, modificarsi di contesto in contesto (anche in relazione a storie, tradizioni e metodi di ciascun territorio contaminato) e di settore in settore economico, per affermare sempre il “potere della legge” verso il contropotere perseguito dalle mafie.

8.9. Mai detto obiettivo, che risponde a un valore, come detto, supremo nella scala dei valori costituzionali, potrebbe essere irrigidito e imbrigliato entro una casistica fissa e immutabile senza offrire alle associazioni mafiose un comodo appiglio formale, di cui difficile sarebbe il superamento senza un continuo intervento legislativo di aggiornamento che “rincorra” affannosamente, e tardivamente, le nuove strategie mafiose.

9. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 4 del 18 gennaio 2018, nel richiamare peraltro la giurisprudenza di questa stessa Sezione, non ha mancato di rilevare che nel contesto del d. lgs. n. 159 del 2011, e sulla base della legge delega n. 136 del 2010, nulla autorizza a pensare che il tentativo di infiltrazione mafiosa, acclarato mediante l’informazione antimafia interdittiva, non debba precludere anche le attività di cui all’art. 67, oltre che i rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, se così il legislatore ha stabilito.

9.1. La consapevolezza, ben espressa dal giudice delle leggi, che l’infiltrazione mafiosa costituisca una minaccia per tutte le attività economiche, non solo quelle che implicano o comportano un rapporto contrattuale o concessorio con le pubbliche amministrazioni, e per l’ordinamento giuridico, più in generale, anima e orienta tutta la legislazione in materia, come pure l’interpretazione della giustizia costituzionale, ordinaria e amministrativa.

9.2. Non da ultimo, infatti, questo stesso Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3 del 6 aprile 2018 dell’Adunanza plenaria, ha evidenziato che l’informazione antimafia è un provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.

9.3. Questo Collegio – e, con esso, la giurisprudenza di questa Sezione – non ignora per altro verso, nell’ottica di questo equilibrato bilanciamento (v., sul punto, Cons. St., sez. III, 8 marzo 2017, n. 1109), gli effetti davvero incisivi, inibitori e finanche paralizzanti per l’attività di impresa, conseguenti all’adozione dell’informazione antimafia, da taluno assimilata o comparata addirittura ad una sorta di “ergastolo imprenditoriale”.

9.4. Voci fortemente critiche si sono levate rispetto alla presunta indeterminatezza dei presupposti normativi che legittimano l’emissione dell’informazione antimafia, soprattutto dopo la recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23 febbraio 2017, ric. n. 43395/09, nel caso De Tommaso c. Italia, riguardante le misure di prevenzione personali, e taluni autori, nel preconizzare l’«onda lunga» di questa pronuncia anche nella contigua materia della documentazione antimafia, hanno fatto rilevare come anche l’informazione antimafia “generica”, nelle ipotesi dell’art. 84, comma 4, lett. d) ed e), del d. lgs. n. 159 del 2011 (accertamenti disposti dal Prefetto da compiersi anche avvalendosi dei poteri di accesso), sconterebbe un deficit di tipicità non dissimile da quello che, secondo i giudici di Strasburgo, affligge l’art. 1, lett. a) e b), del medesimo d. lgs. n. 159 del 2011.

9.5. Si è osservato che l’assoluta indeterminatezza delle condizioni che possono consentire al Prefetto di emettere una informazione antimafia “generica”, in tali ipotesi di non meglio determinati accertamenti disposti dal Prefetto, apparirebbe poco sostenibile in un ordinamento democratico che rifugga dagli antichi spettri del diritto di polizia o dalle “pene” del sospetto e voglia ancorare qualsiasi provvedimento restrittivo di diritti fondamentali a basi legali precise e predeterminate.

9.6. L’art. 84, comma 4, lett. d) ed e) del codice antimafia – ma ragionamento analogo deve svolgersi per la seconda parte dell’art. 91, comma 6, dello stesso codice, laddove si riferisce a non meglio precisati «concreti elementi» – non contemplerebbe, secondo tale tesi, alcun parametro oggettivo, anche il più indeterminato, che possa in qualche modo definire il margine di apprezzamento discrezionale del Prefetto, rendendo del tutto imprevedibile la possibile adozione della misura.

9.7. Ritiene il Collegio che questa tesi non possa essere seguita e che, ferma restando ovviamente, se del caso, ogni competenza del giudice europeo per l’applicazione del diritto convenzionale e, rispettivamente, della Corte costituzionale per l’applicazione delle disposizioni costituzionali, non sia prospettabile alcuna violazione dell’art. 1, Protocollo 1 addizionale, CEDU, con riferimento al diritto di proprietà, e, per il tramite di tale parametro interposto, nessuna violazione dell’art. 117 Cost. per la mancanza di una adeguata base legale atta ad evitare provvedimenti arbitrari.

9.8. Anche gli accertamenti disposti dal Prefetto, nella stessa provincia in cui ha sede l’impresa o in altra, sono finalizzati, infatti, a ricercare elementi dai quali possa desumersi, ai sensi dell’art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011, «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate» e tali tentativi, per la loro stessa natura, possono essere desunti da situazioni fattuali difficilmente enunciabili a priori in modo tassativo.

10. Nella stessa sentenza De Tommaso c. Italia, sopra ricordata, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rammentato, in via generale, che «mentre la certezza è altamente auspicabile, può portare come strascico una eccessiva rigidità e la legge deve essere in grado di tenere il passo con il mutare delle circostanze», conseguendone che «molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la cui interpretazione e applicazione sono questioni di pratica» (§ 107), e ha precisato altresì che «una legge che conferisce una discrezionalità deve indicare la portata di tale discrezionalità» (§ 108).

10.1. Ora non si può negare che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, come si è visto, abbia fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” (quelli dell’art. 84, comma 4, lett. a)b)c) ed f)), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità.

10.2. L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.

10.3. Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost., è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare la prognosi di permeabilità mafiosa, secondo una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 30 novembre 2017, dep. 4 gennaio 2018, n. 111).

10.4. Il giudice amministrativo è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti sintomatici del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame.

10.5. Il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio.

10.6. La sopra richiamata funzione di “frontiera avanzata” – v. supra § 8.8. – dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini.

10.7. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi.

11. Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare ancora le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza De Tommaso c. Italia, consiste anzitutto nel «tenere il passo con il mutare delle circostanze» secondo una nozione di legalità sostanziale.

11.1. Ma, come è stato recentemente osservato anche dalla giurisprudenza penale, il sistema delle misure di prevenzione è stato ritenuto dalla stessa Corte europea in generale compatibile con la normativa convenzionale «poiché il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una “condizione” personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale» (Cass. pen., sez. II, 1° marzo 2018, dep. 9 luglio 2018, n. 30974).

11.2. La giurisprudenza di questo Consiglio ha così enucleato – in modo sistematico a partire dalla sentenza n. 1743 del 3 maggio -OMISSIS- – le situazioni indiziarie, tratte dalle indicazioni legislative o dalla casistica giurisprudenziale, che possono costituire altrettanti “indici” o “spie” dell’infiltrazione mafiosa, non senza precisare che esse costituiscono un catalogo aperto e non già un numerus clausus in modo da poter consentire all’ordinamento di poter contrastare efficacemente l’infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa via via che essa assume forme sempre nuove e sempre mutevoli.

11.3. Si devono qui avere per richiamate, stante l’obbligo di sintesi prescritto dal codice di rito (art. 3, comma 2, c.p.a.), tali situazioni – si pensi, tra le altre, ai complessi intrecci di sangue e di affari che, dietro lo schermo di distinte personalità giuridiche, nei rapporti societari denotano una regia familiare dell’impresa, al subappalto di commesse pubbliche a imprese già interdette, alla presenza di soggetti controindicati, che rivestono incarichi tecnici o meri dipendenti, ma dotati, in realtà, di poteri gestionali, alle costanti frequentazioni disvelanti una contiguità a contesti criminali, etc. – che, come pure questo Consiglio di Stato rammenta nella propria costante giurisprudenza, possono e devono prescindere dall’accertamento penale e dalle sue regole, poste a garanzia della libertà personale nell’ambito del diritto punitivo, ma inapplicabili, già solo per incompatibilità di ratio, con il diritto della prevenzione se non al prezzo di una ibridazione che ne snaturi il senso e conduca, inevitabilmente, al fallimento della sua operatività.

11.4. Questo sforzo sempre incessante e, come ogni altra attività interpretativa, sempre perfettibile di tipizzazione giurisprudenziale da parte del giudice amministrativo, di primo e di secondo grado, non è stato finalizzato solo ad approntare una diagnosi delle situazioni sintomatiche, cercando di enunciare quelle più significative e ricorrenti, ma è infine approdato ad enucleare una prognosi della permeabilità mafiosa, secondo lo schema bifasico sopra ricordato (§ 9.8.), che consenta al giudice amministrativo di verificare, secondo la logica del “più probabile che non”, se dai fatti concreti, posti a base del provvedimento antimafia, sia evincibile sul piano inferenziale, secondo ragionevolezza e proporzionalità, la conclusione logica, supportata dall’esperienza del fenomeno mafioso e non da astratte presunzioni, da inammissibili automatismi o da mere tipizzazioni legali, di una probabile verificazione dell’inquinamento mafioso condizionante le scelte dell’impresa.

11.5. Il sistema del codice antimafia, va qui chiarito a scanso di equivoci, non richiede né la prova oltre ogni ragionevole dubbio che questa infiltrazione sia in atto né in quale misura essa condizioni le scelte dell’impresa, poiché esigere una simile dimostrazione, analoga allo standard probatorio richiesto per il giudizio penale anche nella sola forma del delitto tentato (art. 56 c.p.a.), non solo significherebbe costruire una fattispecie di danno e non più di pericolo, ma implicherebbe una serie di accertamenti e di ragionamenti evidentemente incompatibili con l’efficace, immediata, operatività dello strumento preventivo in questa materia, che si fonda sulla sola prova indiziaria e sul ragionamento sorretto dalla gravità, dalla precisione e dalla concordanza di tali elementi.

11.6. L’applicazione delle categorie penalistiche e la traslazione delle istanze proprie del diritto punitivo a questa materia, del tutto estranee alle misure di prevenzione, reca dunque in sé una contraddizione di fondo insuperabile e le premesse della loro stessa dissoluzione al vaglio di un non necessario e non richiesto elevatissimo standard probatorio che, si noti, nemmeno la stessa giurisprudenza penale richiede nella verifica delle “contigue” e ben più invasive misure di prevenzione personali o patrimoniali, non a caso, e comunque, presidiate da guarentigie giurisdizionali più forti.

11.7. Di qui la necessità, costantemente riaffermata da questo Consiglio di Stato, di affrancare questa materia da valori e logiche proprie del diritto punitivo, alla quale non appartiene, e da un più o meno consapevole, inappropriato, panpenalismo, senza lasciarsi traviare dal solo superficiale, epidermico, accostamento tra le misure di prevenzione personali e patrimoniali, disciplinate dal I libro del codice antimafia, e il sistema della documentazione antimafia, disciplinato, invece, dal II libro dello stesso codice, e ribadendo, altresì, che l’accertamento della permeabilità mafiosa prescinde dagli esiti del giudizio penale, eventualmente instaurato, non essendovi alcun rapporto di pregiudizialità, condizionalità o ancillarità tra il giudizio penale e quello amministrativo, rapporto che, se vi fosse, farebbe venir meno l’indubbio valore aggiunto che il diritto della prevenzione assume, seppure sotto l’attento sindacato del giudice amministrativo, quanto agli elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa che, come detto, non è un fatto di reato, ma un evento di pericolo rilevante a fini preventivi.

12. Il criterio civilistico del “più probabile che non”, seguito costantemente dalla giurisprudenza di questo Consiglio, si pone d’altro canto quale adeguata regola, sufficiente garanzia e, insieme, necessario strumento di controllo circa la prognosi di permeabilità sopra ricordata, fondata anche su irrinunciabili dati dell’esperienza, e, in particolare, consente di verificare la correttezza dell’inferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale.

12.1. Questa ultima regola, come è stato di recente chiarito, si palesa «consentanea alla garanzia fondamentale della “presunzione di non colpevolezza”, di cui all’art. 27 Cost. , comma 2, cui è ispirato anche il p. 2 del citato art. 6 CEDU», sicché è evidente come la vicenda in esame in alcun modo possa essere ricondotta nell’alveo del principio anzidetto, desunto dalla giurisprudenza di Strasburgo dall’art. 6 CEDU, in quanto «non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale», è «estranea al perimetro delle garanzie innanzi ricordate» (v., in questi significativi termini, Cass., sez. I, 30 settembre -OMISSIS-, n. 19430, per la responsabilità civile), ma riguarda la diversa materia della prevenzione, ispirata a diversa finalità.

12.2. L’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale, secondo la logica della prevenzione, richiedono alla Prefettura, come questo Consiglio di Stato ha già chiarito (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 8 marzo 2017, n. 1109), un’attenta valutazione di tali elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa, e a sua volta impongono al giudice amministrativo, nel sindacato sulla motivazione, un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte del Prefetto nell’esercizio di tale ampio, ma – come detto – non indeterminato, potere discrezionale.

13. Va ricordato, ancora una volta, che la delicatezza di tale ponderazione, intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, essendo la disciplina del procedimento amministrativo «rimessa alla discrezionalità del legislatore nei limiti della ragionevolezza e del rispetto degli altri principi costituzionali» (Corte cost., 19 marzo 1993, n. 309), né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo.

13.1. E d’altro canto, occorre qui pure ricordare, il contraddittorio procedimentale non è del tutto assente nemmeno nelle procedure antimafia, se è vero che l’art. 93, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011 prevede che il Prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite possa invitare, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile.

13.2. Infine deve essere qui anche rimarcato, come questa Sezione ha più volte chiarito, che il bilanciamento tra i valori costituzionali rilevanti in materia – l’esigenza, da un lato, di preservare i rapporti economici dalle infiltrazioni mafiose in attuazione del superiore principio di legalità sostanziale e, dall’altro, la libertà di impresa – trova nella previsione dell’aggiornamento, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011, un punto di equilibrio fondamentale e uno snodo della disciplina in materia, sia in senso favorevole che sfavorevole all’impresa, poiché impone all’autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti – se non noti – e consente all’impresa stessa di rappresentarli all’autorità stessa, laddove da questa non conosciuti (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 5 ottobre -OMISSIS-, n. 4121; Cons. St., sez. III, 8 marzo 2017, n. 1109).

13.3. La Sezione non può che ribadire, a conclusione di questo breve riepilogo circa i principî applicabili alla materia, il proprio orientamento, confermato del resto sia dalla Corte costituzionale che dall’Adunanza plenaria, alla stregua del quale l’ordinamento positivo in materia, dalla legge-delega al codice antimafia sino alle più recenti integrazioni di quest’ultimo, ha voluto apprestare, per l’individuazione del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’economia e nelle imprese, strumenti sempre più idonei e capaci di consentire valutazioni e accertamenti tanto variegati e adeguabili alle circostanze, quanto variabili e diversamente atteggiati sono i mezzi che le mafie usano per cercare di moltiplicare i loro illeciti profitti.

14. Ritiene solo il Collegio, a conclusione di questa sintetica disamina dei principî che regolano la materia, di dover aggiungere alcune brevissime osservazioni sui rilievi in diritto che si leggono nella parte finale della memoria difensiva depositata dalla società appellata in ordine all’istituto dell’informazione antimafia.

14.1. La difesa della società appellata (pp. 28-31 della memoria difensiva), nel richiamare l’orientamento del giudice d’appello siciliano (v., ex plurimis, Cons. Giust. Amm. Sic., 29 luglio -OMISSIS-, n. 247 o anche Id., 28 dicembre 2017, n. 570), osserva che l’informazione antimafia non dovrebbe fondarsi su meri sospetti, congetture o intuizioni, ma su elementi indiziari, in forza dei quali:

a) venga individuato (almeno) un autore (o mandante) dell’azione rivolta alla realizzazione dell’evento pericoloso, essendo evidente che non può esservi tentativo di infiltrazione in assenza di un soggetto che lo compia;

b) che tale soggetto rientri in una delle categorie che consentono di qualificarlo, in ragione delle condanne o delle pendenze giudiziarie in atto, relative ai cc.dd. delitti-spia, o in ragione della sua deliberata scelta di “contiguità da convivenza” che contraddistingua la sua condotta di vita, come “mafioso” o “presunto mafioso” nel senso tecnico che la parola assume nella legislazione esaminata;

c) che vengano individuati e descritti gli atti idonei, diretti in modo non equivoco a conseguire lo scopo di condizionare le decisioni dell’impresa e della società che subisce l’infiltrazione.

14.2. Pare al Collegio che un simile ordine di concetti, per tutte le ragioni già evidenziate (v. supra, in particolare, §§ 11.5.-11.6.), sia incompatibile con la struttura stessa dell’istituto dell’informazione antimafia, prima ancora che con le sue finalità di prevenzione, poiché alla fattispecie del pericolo infiltrativo, per come delineata dal legislatore nel codice antimafia (art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011), sono del tutto estranee le logiche dell’accertamento penalistico in ordine al delitto tentato (art. 56 c.p.).

14.3. La traslazione di tale istituto al diritto della prevenzione comporta, a tacer d’altro, una probatio diabolica, impossibile a darsi, in quanto l’infiltrazione mafiosa non è un fatto di reato (Cons. St., sez. V, 26 novembre 2008, n. 5846) o, comunque, un evento di danno “tipico”, rispetto al quale sia predicabile l’idoneità o l’univocità di ipotetici atti, non richiesti infatti dal legislatore, ma è essa stessa una fattispecie di pericolo, con la conseguente impossibilità di configurare un tentativo rispetto ad una fattispecie che è già di pericolo.

14.4. L’infiltrazione mafiosa costituisce l’esito di un giudizio prognostico o, se si vuole, valoriale da parte dell’ordinamento, fondato sulla valutazione indiziaria di elementi dotati di valore sintomatico.

14.5. Si può certo discutere e si discute, come si è detto, di questa opzione nel ricostruire una fattispecie a struttura parzialmente aperta da parte del legislatore che, per il diritto della prevenzione, ha dato vita, come ha osservato in generale un’autorevole dottrina, ad un percorso “probatorio” sganciato da quello tradizionale del sistema punitivo e ad un «doppio binario processuale imposto dalla diversità genetica della fattispecie indiziaria rispetto a quella delittuosa», con tutte le criticità inevitabilmente connesse all’accertamento giurisdizionale del pericolo infiltrativo, ma non si può contestare che «la legalità repressiva non è la stessa cosa della legalità preventiva», poiché la centralità degli obiettivi da perseguire sul piano preventivo incide inevitabilmente sulla costruzione della fattispecie, con la conseguenza che concetti e garanzie della prima – la legalità repressiva – non possono convivere con la seconda – la legalità preventiva – senza snaturarne l’essenza e metterne a rischio l’efficacia.

14.6. Solo movendo da tale consapevolezza si può garantire una tutela giurisdizionale piena ed effettiva in questa materia e, nel contempo, preservare le ragioni della legalità preventiva nella lotta contro la mafia, lotta vitale per il nostro ordinamento.

15. Tutto ciò premesso, dunque, e venendo all’esame dei motivi di appello in questa sede proposti, si deve rilevare quanto segue.

16. Con il primo motivo (pp. 5-11 del ricorso), anzitutto, le amministrazioni appellanti deducono che il primo giudice avrebbe del tutto obliterato lo stretto rapporto tra l’amministratrice della società,-OMISSIS–OMISSIS-, e suo fratello, -OMISSIS–OMISSIS-, conviventi fino a poco più di un anno prima che fosse emesso il provvedimento interdittivo impugnato, nonché la cointeressenza economica tra gli stessi, ove si consideri che -OMISSIS–OMISSIS-è stato nominato procuratore speciale della società appellata il 23 luglio -OMISSIS-, procura speciale, poi, revocata il -OMISSIS-, successivamente all’emissione del provvedimento qui impugnato.

16.1. Le amministrazioni appellanti lamentano, poi, che il primo giudice avrebbe omesso di valutare la sussistenza di tutti gli elementi indiziari posti a base dell’informazione, oggettivi ed univoci, che rendono il rapporto di parentela tutt’altro che isolato nella determinazione assunta dalla Prefettura di -OMISSIS-.

16.2. Lo stretto rapporto di parentela tra -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-e-OMISSIS–OMISSIS-e lo zio -OMISSIS–OMISSIS-, cognato di -OMISSIS–OMISSIS-, tratto in arresto per il delitto di associazione mafiosa nell’ambito del procedimento penale che ha visto diversi soggetti contigui al clan dei -OMISSIS- e, in particolare, -OMISSIS–OMISSIS-, amministratore di diverse società a lui riconducibili e, tra di esse, -OMISSIS-, destinataria di diversi provvedimenti interdittivi, uno dei quali confermati da questo Consiglio di Stato con la sentenza della sez. III, 19 luglio 2011, n. 4366.

16.3. Nel caso di specie è emerso, nel corso delle indagini espletate dal Gruppo Ispettivo Antimafia, che la società appellata ha avuto una partecipazione nella società consortile -OMISSIS-, unitamente ad altre società, tra le quali -OMISSIS-, il cui amministratore unico è -OMISSIS–OMISSIS-, e -OMISSIS-

16.4. I rapporti economici della famiglia -OMISSIS-con -OMISSIS–OMISSIS- emergono, del resto, dalla lettura dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare n. -OMISSIS-anche in rapporto a -OMISSIS-, società che, come risulta dalle dichiarazioni degli stessi interessati, è stata costituita da -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS- e -OMISSIS–OMISSIS-.

16.5. Un simile quadro giustifica in modo attendibile la valutazione prognostica in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, alla stregua del “più probabile che non”, all’interno della società appellata, diversamente da quanto ha ritenuto il primo giudice, poiché appare alquanto verosimile che non solo il rapporto di affinità tra i fratelli -OMISSIS-e -OMISSIS–OMISSIS-, personaggio di spessore criminale contiguo al clan dei -OMISSIS-, ma il consolidato legame di collaborazione imprenditoriale tra di essi, manifestatosi a più riprese e in diverse forme, possa condizionare gli indirizzi e le decisioni di -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. e asservirne scelte e attività a logiche mafiose.

16.6. Non valgono a sminuire siffatto pericolo, grave, le circostanze valorizzate dal primo giudice nella sentenza impugnata e, più in particolare:

a) la convivenza tra-OMISSIS–OMISSIS-e -OMISSIS–OMISSIS-è cessata sin dal-OMISSIS-, a seguito del matrimonio della predetta-OMISSIS–OMISSIS-in data -OMISSIS-con -OMISSIS–OMISSIS- e del conseguente trasferimento del nuovo nucleo familiare da -OMISSIS-a -OMISSIS-;

b) la procura speciale conferita ad -OMISSIS–OMISSIS-all’inizio del -OMISSIS-non è stata mai utilizzata ed è stata successivamente revocata il -OMISSIS-;

c) la società della quale è amministratore -OMISSIS–OMISSIS-opera in maniera del tutto autonoma rispetto alla società odierna appellata e, almeno fino al maggio -OMISSIS-, non esistevano a carico della stessa controindicazioni ai sensi della legislazione antimafia (lo testimonierebbe la circostanza del pagamento dell’-OMISSIS- in favore della società in parola dopo la consultazione della Banca dati);

d) i rapporti societari intrattenuti con la società -OMISSIS-, oltre che risalenti nel tempo (la relativa quota di partecipazione, nella misura del 16%, è stata oggetto di cessione il -OMISSIS-), sono, comunque, da considerarsi ininfluenti, posto che la predetta società ha iniziato ad operare in concreto solo nella primavera del -OMISSIS-, avendo stipulato il primo contratto di appalto in data -OMISSIS-e, quindi, in epoca successiva alla fuoriuscita di -OMISSIS–OMISSIS-dalla compagine sociale;

e) l’inattendibilità, affermata dall’autorità giudiziaria penale (Tribunale del Riesame), del collaboratore di giustizia -OMISSIS-;

f) l’insussistenza di un rapporto di parentela con -OMISSIS–OMISSIS- che, in quanto coniuge di una sorella della madre dei fratelli -OMISSIS-, deve essere qualificato correttamente solo come affine di terzo grado di costoro;

g) la non significatività della partecipazione societaria della società, odierna appellata, nella società consortile -OMISSIS-, mai operativa, della quale -OMISSIS–OMISSIS- è stato nominato liquidatore in ragione della pregressa qualità di amministratore di altra società, la -OMISSIS-, che faceva parte della compagine societaria e che anche di recente (segnatamente, nell’anno -OMISSIS-) ha avuto in essere l’affidamento di un appalto pubblico (a seguito di gara indetta dall’-OMISSIS-).

h) la verosimiglianza della tesi, sostenuta dalla ricorrente in prime cure, secondo la quale il fatto che la società consortile risulti menzionata nell’ordinanza cautelare relativa all’indagine denominata -OMISSIS-, senza che, poi, nella medesima ordinanza risulti in nessuna altra parte menzionato il predetto -OMISSIS–OMISSIS-, nato nel -OMISSIS-, e si abbiano, invece, riferimenti ad altro -OMISSIS–OMISSIS-, nato nel -OMISSIS-, legale rappresentante di -OMISSIS-, destinatario di una misura cautelare detentiva proprio nell’ambito della operazione -OMISSIS-, sia ascrivibile ad un errore di identificazione e ad un caso di omonimia.

17. Valga al riguardo infatti osservare, per ciascuno di detti elementi, quanto segue.

17.1. Quanto ai rapporti tra i fratelli -OMISSIS-, di cui ai punti a) e b), anzitutto, si deve osservare che essi sono incontestabili, anche a prescindere dalla circostanza che la procura speciale conferita ad -OMISSIS–OMISSIS-sia stata revocata nel -OMISSIS-, in seguito all’emissione, peraltro, del provvedimento interdittivo (come ammette la stessa società appellata a p. 11 della propria memoria difensiva, ricordando peraltro che egli, per lo stesso motivo, è stato sollevato dall’incarico di amministratore della -OMISSIS-, di cui l’odierna appellata detiene il 100% delle quote), poiché è indubbio che per due anni-OMISSIS–OMISSIS-abbia delegato il fratello allo svolgimento di atti connessi all’esercizio dell’attività imprenditoriale e, qualunque sia la primigenia ragione e l’uso successivo eventualmente fatto di tale procura, ciò comprova l’esistenza di una comunanza di interessi che va ben al di là della semplice parentela o convivenza tra i due, poi cessata in seguito al matrimonio di-OMISSIS–OMISSIS-e al suo trasferimento da -OMISSIS-a -OMISSIS-.

17.2. Non decisiva appare, poi, l’autonomia formale della società, gestita da -OMISSIS–OMISSIS-, rispetto a quella, gestita da-OMISSIS–OMISSIS-, poiché, anche volendo prescindere dal rilievo che -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. detiene il 100% delle quote di -OMISSIS-, è chiaro che l’informazione antimafia non può e non deve attestarsi, e arrestarsi, a fotografare il formale assetto della situazione societaria, ma scendere nel concreto e – squarciando, se del caso, il velo della personalità giuridica – verificare se tra gli enti sussista un sostanziale vincolo di colleganza, che li riconduca, come nel caso di specie indubbiamente è, ad una medesima, unica, regia familiare, come nel caso di specie è, anche se distinti, come si è accennato sopra (§ 4.5.), rimangono formalmente, e processualmente, i provvedimenti interdittivi emessi nei confronti delle due società.

17.3. Nemmeno è decisiva la circostanza, di cui al punto d), secondo cui -OMISSIS- avrebbe iniziato ad operare nel -OMISSIS-, dopo la fuoriuscita di -OMISSIS–OMISSIS-dalla compagine sociale, poiché è indubbio, anche in questo caso, che vi fossero rapporti di affari e comunanza di interessi tra i tre soci, -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-e -OMISSIS–OMISSIS-, e che il legame tra -OMISSIS–OMISSIS-e -OMISSIS–OMISSIS- non fosse di mera affinità, ma di concreta collaborazione anche mediante la compartecipazione a stesse compagini sociali.

17.4. Quanto agli elementi di cui alle lettere e) ed f), poi, essi sono del tutto ininfluenti ai fini del decidere, posto che non è certo la corretta qualificazione del vincolo – di parentela o di affinità – né la presunta inattendibilità del collaboratore di giustizia, tutta invero da verificare, ad inficiare il solido quadro indiziario posto a base dell’informazione antimafia, alla luce di quanto sin qui è detto.

17.5. Quanto alla partecipazione alla -OMISSIS-, di cui alla lettera g), si deve poi rilevare che tale elemento assume una propria significatività unitamente agli altri, sin qui considerati, poiché – indipendentemente dalla effettiva operatività di -OMISSIS- – conferma ancora una volta, in modo chiaro, l’intreccio di interessi, personali e societari, tra la famiglia -OMISSIS-, con le società da essa gestite, e -OMISSIS–OMISSIS- e, più in generale, con società riconducibili al clan dei -OMISSIS-.

17.6. Infine, con riferimento al punto h), si deve rilevare che non è condivisibile la tesi del primo giudice, secondo cui l’informazione antimafia sarebbe il risultato di una sovrapposizione tra la figura di -OMISSIS–OMISSIS-, nato nel -OMISSIS- e coinvolto nell’indagine denominata -OMISSIS-, e -OMISSIS–OMISSIS-, nato nel -OMISSIS-, in quanto risulta ben evidente dalla lettura del provvedimento interdittivo che -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. detiene l’intero capitale di -OMISSIS-, di cui socio e amministratore unico risulta proprio essere, senza alcun dubbio circa la sua corretta identificazione, quel -OMISSIS–OMISSIS-, nato nel -OMISSIS-, che è emerso avere un complesso intreccio di relazioni imprenditoriali con soggetti coinvolti nell’indagine -OMISSIS- e interessati dall’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere n. -OMISSIS-.

17.7. Anche volendo qui prescindere dalle significative dichiarazioni del collaboratore di giustizia -OMISSIS-, ritenute dal primo giudice in modo apodittico e immotivato inattendibili, secondo cui le attività di questa società, consistenti nella realizzazione di molti appartamenti a -OMISSIS-, sarebbe stata gestita direttamente dal boss -OMISSIS- basta leggere le dichiarazioni rese da -OMISSIS–OMISSIS-, sottoposto ad interrogatorio il 25 gennaio -OMISSIS-, per avvedersi che l’informazione prefettizia, fondatasi sugli atti di indagine, non è incorsa in alcun errore di persona nell’identificare -OMISSIS–OMISSIS-, nato nel -OMISSIS-.

17.8. «Per quanto riguarda la-OMISSIS-, posso inizialmente riferire – ha dichiarato -OMISSIS–OMISSIS- – che la ditta si chiama così perché mia figlia si chiama V. e la figlia di -OMISSIS–OMISSIS-si chiama C. La stessa è stata costituita da me e dal -OMISSIS-e da mia cognato -OMISSIS–OMISSIS-, anche se per questo compariva formalmente il figlio -OMISSIS-, nell’anno -OMISSIS-precisamente giugno» e che «con questa ditta, non abbiamo vinto gare d’appalto ma abbiamo praticamente acquistato solo un fabbricato in disuso in -OMISSIS-, nell’attuale via -OMISSIS-, con l’intento poi di costruirci, una volta abbattuto, un nuovo stabile».

17.9. Si evince chiaramente da tali dichiarazioni come sia palese il riferimento ad -OMISSIS–OMISSIS-, nato nel -OMISSIS-, ed altrettanto chiaramente si desume che questi avesse un complesso intreccio con soggetti e società riconducibili al clan dei -OMISSIS-, trovando dunque conferma il grave pericolo di infiltrazione mafiosa correttamente valutato dall’autorità prefettizia per il legame tra i fratelli -OMISSIS-e soggetti e/o società contigui o, addirittura, riconducibili alla camorra.

18. Anche il secondo motivo di appello (pp. 11-16 del ricorso), con il quale le amministrazioni censurano l’errore compiuto dal primo giudice nel ritenere la verosimile omonimia tra tali soggetti, merita pertanto condivisione.

19. Ne discende, in conclusione, che l’appello merita accoglimento, con la conseguente riforma della sentenza impugnata e la conferma del provvedimento interdittivo e degli atti consequenziali adottati dalle singole amministrazioni, erroneamente annullati dal primo giudice.

20. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello proposto dal Ministero dell’Interno, dall’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Napoli, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero della Difesa, deve essere accolto e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, devono essere respinti tutti e tre i ricorsi, integrati dai motivi aggiunti, proposti in primo grado da -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. e rispettivamente rubricati al R.G. n. -OMISSIS-, al R.G. n.-OMISSIS-e al R.G. n. -OMISSIS- e riuniti dal primo giudice con la sentenza impugnata.

22. Le spese del doppio grado del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza delle società appellante nei confronti del Ministero dell’Interno, mentre possono essere interamente compensate tra questa e tutte le altre parti costituite.

22.1. Rimane definitivamente a carico dell’appellante anche il contributo unificato richiesto per la proposizione dei tre ricorsi proposti in prime cure e dei successivi motivi aggiunti.

22.2. -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l., attesa la sua soccombenza, deve essere condannata a corrispondere anche il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto dal Ministero dell’Interno, dall’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Napoli, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero della Difesa, lo accoglie e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respinge tutti e tre i ricorsi, integrati dai motivi aggiunti, proposti in primo grado avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, da -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. e rispettivamente rubricati al R.G. n. -OMISSIS-, al R.G. n.-OMISSIS-e al R.G. n. -OMISSIS-.

Condanna -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. a rifondere in favore del Ministero dell’Interno le spese del doppio grado del giudizio, che liquida nel complessivo importo di € 9.000,00 (€ 3.000,00 per il primo grado ed € 6.000,00 per il secondo grado), oltre gli accessori come per legge.

Compensa interamente tra tutte le altre parti costituite le spese del doppio grado del giudizio.

Pone definitivamente a carico di -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. il contributo unificato richiesto per la proposizione dei tre ricorsi proposti in primo grado e dei successivi motivi aggiunti.

Condanna -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l. a rimborsare il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello da parte del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Napoli, del Ministero dell’Economia e del Ministero delle Finanze e del Ministero della Difesa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d. lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS–OMISSIS-s.r.l., -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-,-OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il giorno 30 gennaio 2019.