Vendita di panini e bibite presso il camion bar di proprietà del datore di lavoro.

(Corte di Cassazione Sez. Lavoro , sentenza 29.09.2016, n. 21714)

Sentenza

sul ricorso 17824-2011 proposto da: F. F. C.F. .., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SAN GIOVANNI IN LATERANO 18-B, presso lo studio dell’avvocato DOMENICANTONIO CAVALLARO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

ricorrente

nonchè contro B. D.; – intimato – avverso la sentenza n. 9943/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/02/2011, R.G. N. 8788/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/09/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato DOMENICANTONIO CAVALLARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 1 febbraio 2011, la Corte d’Appello di Roma, confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma accogliendo parzialmente la domanda proposta da D. B. nei confronti di F.F. avente ad oggetto il riconoscimento della natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti per lo svolgimento di attività di vendita di panini e bibite presso il camion bar di proprietà del secondo collocato in Roma nei pressi del Circo Massimo, con condanna di questi al pagamento di parte delle differenze retributive richieste.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, anche in considerazione della mancata o generica contestazione delle modalità di svolgimento del rapporto, da ritenersi prevalenti rispetto al contratto di soggiorno, del resto stipulato in data largamente successiva a quella dichiarata dal F. in sede di costituzione in giudizio, raggiunta la prova della natura subordinata del rapporto.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il Falasca, affidando l’impugnazione a cinque motivi.

L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.

Motivo della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dei principi del giusto processo, del contraddittorio, della motivazione di cui all’art. 111 Cost., lamenta a carico della Corte territoriale il rilievo esclusivo e comunque decisivo attribuito alla testimonianza resa dalla moglie del ricorrente da ritenersi al contrario interessata e come tale da apprezzarsi prudentemente se non da considerare inattendibile anche per la sua palese contraddittorietà. Il secondo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione agli artt.115 e 116 c.p.c. è volto a censurare l’incongruità logico-argomerntativa dell’apprezzamento operato dalla Corte territoriale relativamente al materiale istruttorio nel suo complesso.

Ne consegue nel terzo motivo la proposizione di analoga censura di illogicità riferita alla valutazione conclusiva espressa dalla Corte territoriale circa la ricorrenza della subordinazione ex art. 2094 c.c..

Con il quarto motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 è predicata con riguardo alla mancata considerazione ai fini della prova del fatto notorio.

La medesima censura in ordine all’incongruità dell’apprezzamento della Corte territoriale è proposta nel quinto motivo sotto il profilo del vizio di motivazione.

I cinque motivi che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi tutti infondati.

In effetti la complessiva impugnazione è intesa a far emergere l’incongruità dell’iter logico-valutativo seguito dalla Corte territoriale ai fini dell’accertamento della subordinazione desumendola da elementi – quali il carattere “interessato” della deposizione della moglie del Babici, l’inefficienza probatoria della deposizione del secondo teste conseguente alla disvelata approssimativa cognizione dei fatti, la mancata considerazione di un presunto “notorio” idoneo ad attestare la saltuarietà e la limitazione oraria dell’impegno lavorativo del B., l’omesso riferimento alle intese contrattuali formalizzate tra le parti e volte all’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo parziale – che si rivelano insuscettibili di inficiare il percorso argomentativo della Corte territoriale per essere questo fondalo su elementi ulteriori e distinti, qui neppure fatti oggetto di censura, quali le ammissioni dell’odierno ricorrente, risultanti dal suo interrogatorio libero in prime cure, in ordine alla data di inizio del rapporto, la contestazione omessa quanto alla data di cessazione del rapporto e generica quanto alle modalità, anche orarie (queste dichiarate dal Babici ed attinte dalle testimonianze escusse), di svolgimento del rapporto, destinate a fare aggio sulle risultanze documentali ed in particolare sul contratto concluso tra le parti, l’irrilevanza del contratto medesimo in quanto stipulato in epoca largamente successiva anche alla data, già posticipata rispetto a quella poi ammessa, dichiarata dall’odierno ricorrente in sede di costituzione in giudizio come data di inizio del rapporto.

Il ricorso va dunque rigettato senza attribuzione di spese per non aver l’intimato qui svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 settembre 2016.

Il Presidente

Il Funzionario Giudiziario Dott.ssa Dan Depo