Violenza sessuale: concludere il rapporto con modalità non accettate configura il reato.

(Corte di Cassazione penale, sez. III, sentenza 7 marzo 2016, n. 9221)

Le costanti precisazioni di questa Corte Suprema sul tema dell’abuso sessuale determinato da un mutamento dell’originario consenso iniziale, fanno sì che anche una conclusione del rapporto sessuale, magari inizialmente voluto (il che non pare essere accaduto nella specie per quanto si osserverà a breve), ma proseguito con modalità sgradite o comunque dal partner, rientri a pieno titolo nel delitto di violenza sessuale.

Così la Suprema Corte, che ha ribadito i principi enucleati in precedenza in tema di consenso delle parti durante il rapporto sessuale affinché non possa ritenersi consumato il delitto di cui all’art. 609 bis cod. pen., dovendosi guardare all’atto sessuale nella sua globalità e in ogni sua componente.

Con la sentenza, la III Sezione ha offerto un’accurata quanto sintetica analisi del delitto di violenza sessuale per ciò che concerne il momento volitivo dell’atto, addivenendo alla conclusione a seguito di una disamina dei principi fondanti che sovrintendono la criminalizzazione della condotta descritta dall’art. 609 bis cod. pen.

La questio juris: il consenso nell’atto conclusivo del rapporto sessuale

La questione si sviluppa a seguito della decisione del Tribunale delle libertà[1] di accogliere il riesame della persona sottoposta alle indagini proposto avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare[2]del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e dai suoi prossimi congiunti.

Il Tribunale aveva ritenuto non sussistere i gravi indizi di colpevolezza necessari per la sottoposizione a misura cautelare con riferimento al reato di violenza sessuale.

Per il giudicante, la condotta dell’indagato non sarebbe stata caratterizzata né da violenza né da costrizione ma, piuttosto, dal consenso della vittima, rintracciabile da tutta una serie di elementi, quali le portiere dell’auto perfettamente apribili dall’interno per cui la ragazza sarebbe potuta uscire dall’auto (luogo di consumazione dell’asserita violenza), gli indumenti intimi e i leggins indossati della ragazza perfettamente integri nonostante la giovane avesse riferito che le fossero stati abbassati con violenza, l’impossibilità di apprezzare alcun segno di violenza esterna sul corpo della ragazza all’atto della vista ginecologica avvenuta il mattino dopo l’episodio.

Il Giudice aveva ritenuto che il momento di conflitto interiore della ragazza fosse riconducibile alla fase finale del rapporto, connotato dall’avvenuta eiaculazione del giovane all’interno della vagina, evento che «aveva in realtà suscitato nella ragazza un senso di rammarico rispetto a quel modo di completamento dell’atto sessuale, sicché il consenso iniziale al rapporto sessuale (…) non poteva considerarsi venuto meno solo per effetto di quella particolare conclusione dell’amplesso».

A ciò addiveniva il giudicante nonostante le parole scambiate dai due soggetti in un momento successivo al congiungimento, in particolare la frase “Mi sei arrivato dentro contro voglia ed io non volevo farlo” contenuta nella memoria del cellulare e la frase “Ora ti ho rovinata” proferita dal ragazzo al termine del rapporto. Frasi, entrambe, riportate nell’ordinanza impugnata.

La censura nomofilattica: l’oggetto di tutela e la declinazione del consenso durante il rapporto sessuale

La Suprema Corte ha ritenuto per nulla condivisibile l’argomentazione del Tribunale, in quanto «non solo manifestamente illogica e contraddittoria, ma anche assai poco rispettosa dei criteri interpretativi enunciati (…) sul tema della violenza sessuale e degli elementi costitutivi del reato nonché sulle modalità e limiti del consenso al rapporto».

Gli Ermellini sono addivenuti a tale conclusione procedendo dall’oggetto giuridico che il Legislatore ha inteso tutelare con il delitto di violenza sessuale, vale a dire la libertà sessuale intesa come «libertà di espressione e di autodeterminazione afferente alla sfera esistenziale della persona – e dunque inviolabile». Le relazioni sessuali «costituiscono uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, rientranti tra i diritti inviolabili tutelabili costituzionalmente».

Tale libertà tuttavia «non è indisponibile, occorrendo una forma di collaborazione reciproca tra soggetti che vengono in relazione (sessuale) tra loro: collaborazione che deve però permanere senza soluzioni di continuità e incertezze comportamentali per l’intera durata del rapporto».

La III Sezione ha individuato come riferimento essenziale per apprezzare la presenza o meno del consenso da parte di uno dei soggetti il rapporto sessuale inteso nella sua globalità, scevro da possibili quanto ipotizzabili frammentazioni, postulante la «presenza necessaria del consenso durante l’intero arco del rapporto sessuale da parte della vittima senza interruzioni ed esitazioni o resistenze di sorta».

Perciò la Corte ha ritenuto per nulla condivisibile «l’affermazione del Tribunale secondo la quale l’avvenuta eiaculazione interna avesse causato nella ragazza soltanto un sorta di rammarico che nulla toglieva alla natura consensuale iniziale del rapporto sessuale, perché così facendo, si frammenta il concetto di atto sessuale che va riguardato in modo globale ed ogni sua componente per essere giudicato non voluto o meno».

Invero, «è indubbio che il modo di conclusione del rapporto può assumere un significato invasivo tale da incidere sulla iniziale libertà di autodeterminazione del partner», potendo ciò prospettare un comportamento prevaricatorio volto a legare a sé un altro soggetto anche attraverso la prefiguarazione di un’eventuale gravidanza, conseguenza di quella conclusione dell’atto sessuale.

Infatti, come spiega il Consesso, «l’eiaculazione interna rappresenta (…)una delle tante modalità di conclusione di un rapporto sessuale che può incidere sulla sua spontaneità e libertà reciproca fino a trasformarlo in atto sessuale contrario alla volontà di uno dei due protagonisti», per nulla riducibile «ad un segmento “neutro” dell’atto sessuale», posto che «può avere conseguenze significative tali da trasformare un rapporto sessuale voluto in uno non voluto»

A nulla vale neppure l’inconsapevolezza di quanto avvenuto da parte soggetto “ricevente” se comunque un tale epilogo dell’atto sessuale non rappresentava quanto da egli voluto.

A tal proposito, la Suprema Corte ha valorizzato anche la contestualizzazione dei fatti nel delitto di violenza sessuale, posto che in ogni caso «un congiungimento sessuale tra due persone aventi opposte finalità (…) è ben diverso da un qualsiasi rapporto sessuale tra due persone desiderose di averlo e di viverlo congiuntamente»[3], dovendosi poi tener conto anche dei rapporti che caratterizzavano i periodi di tempo antecedenti ai fatti da accertare, specie in presenza della volontà di uno dei soggetti di interrompere, come aveva fatto, il legame sentimentale e della volontà dell’altro di ricucire ad ogni costo il rapporto.

I precedenti arresti della Suprema Corte richiamati dalla Sezione III

Inoltre, la Corte tiene a mente il consolidato orientamento nomofilattico secondo cui «sul tema dell’abuso sessuale determinato da un mutamento dell’originario consenso iniziale, fanno sì che anche una conclusione del rapporto sessuale, magari inizialmente voluto ma proseguito con modalità sgradite o comunque non accettate dal partner, rientri a pieno titolo nel delitto di violenza sessuale».

A tal proposito, la III Sezione richiama alcuni suoi precedenti che depongono in tale senso.

La sentenza 4532/2007 ha affermato che integra il reato di violenza sessuale la condotta di colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento ovvero della non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto, ciò in quanto il consenso della vittima agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità.

La decisione 39428/2007 invece ha chiarito che il consenso iniziale all’atto sessuale non è sufficiente quando quest’ultimo si trasformi, “in itinere”, in atto violento, consumando il rapporto con forme e modalità non volute dalla vittima.

Inoltre, la decisione 6214/1996 prendeva appunto posizione su un caso analogo, in riferimento ad un rapporto sessuale inizialmente consentito ma completato con l’eiaculazione in vagina non condivisa dalla donna

Ciò a riprova che forma oggetto di un orientamento costante la necessità di un consenso scevro di qualsivoglia interruzione durante l’intero rapporto sessuale e che deve involgere tutte le possibili forme e modalità con cui lo stesso si svolge od evolve.

Al contrario, venendo meno il consenso anche solo con riferimento all’atto finale di un rapporto caratterizzato ab origine dalla libera partecipazione delle parti, la condotta integra gli elementi tipici del  delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis cod. pen.

Le conseguenze dell’opposta argomentazione proposta dal Tribunale del riesame

Di fatto il Tribunale aveva formulato un pericoloso principio generale, che traeva origine dall’argomento secondo cui l’eiaculazione non voluta all’interno della vagina non svilisce il consenso prestato dalla ragazza a fronte di un rapporto invece inizialmente voluto.

Traslando tale assunto, mutatis mutandis, si potrebbe agevolmente concludere che all’interno del rapporto sessuale possono considerarsi leciti sviluppi o pratiche non volute da uno dei soggetti interessati se la genesi del rapporto sia stato oggetto di deliberato consenso.

Non per nulla, la Corte ha ritenuto la valutazione del Tribunale «assiomatica ed assertiva», oltre che «semplicistica ed errata in diritto».

Suprema Corte di Cassazione

Sezione III Penale

Sentenza 18 marzo 2015 – 7 marzo 2016, n. 9221

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente –

Dott. GRILLO Renato – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI;

nei confronti di:

P.O. N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 316/2014 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del 28/10/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;

sentite le conclusioni del PG Dott. Aldo Policastro, annullamento con rinvio.

Svolgimento del processo

1.1 Con ordinanza del 28 ottobre 2014 il Tribunale di Napoli – Sezione per il Riesame accoglieva la richiesta di riesame presentata nell’interesse di P.O., soggetto indagato per i reati di cui agli artt. 612 bis e 6909 bis cod. pen., avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e dai suoi prossimi congiunti, emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Avellino in data 6 ottobre 2014.

1.2 Ricorre per l’annullamento del detto provvedimento il Procuratore della Repubblica dolendosi – quanto al reato di violenza sessuale di cui alla contestazione provvisoria – della decisione del Tribunale di ritenere insussistente il reato perchè la condotta dell’indagato non sarebbe stata caratterizzata nè da violenza nè da costrizione ma, piuttosto, dal consenso della vittima ed, al riguardo, lamenta l’inosservanza della legge penale.

1.3. Il ricorrente Pubblico Ministero si duole poi della contraddittorietà e manifesta illogicità della decisione anche con riferimento al contestato reato di atti persecutori in danno della vittima, con specifico riferimento alla omessa valutazione da parte del Tribunale di una serie di circostanze che, se debitamente prese in esame, avrebbero dovuto indurre il Tribunale a respingere la richiesta di riesame non solo in riferimento alla ipotesi accusatoria di cui all’art. 609 bis cod. pen., ma anche, e soprattutto, al reato di atti persecutori.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le considerazioni che seguono.

2. Quale premessa fattuale di ordine generale necessaria al fine di meglio comprendere le ragioni che il Pubblico Ministero ricorrente pone a base del proprio ricorso va ricordato, per quanto è dato leggere nel testo dell’ordinanza impugnata, che la vicenda giudiziaria si colloca in un contesto di rapporto conflittuale tra due fidanzati – PI.Fi. (la fidanzata, odierna persona offesa) e P.O. (fidanzato della ragazza ed odierno indagato) progressivamente deterioratosi fino ad essere troncato per volontà della ragazza a causa della morbosa e pressante gelosia del giovane.

Questi, in risposta alla volontà della ex fidanzata, aveva iniziato a farla oggetto di ripetute pressioni, nonchè minacce continue seguite anche da messaggi telefonici di tenore minaccioso che avevano determinato la ragazza a mutare le proprie abitudini di vita tanto da essere costretta ad uscire sempre in compagnia di amiche per evitare rischi per la propria incolumità.

In occasione di un incontro chiarificatore richiesto dal P., a cui la ragazza aveva aderito, il P. approfittava delle circostanze di tempo e di luogo, fino a costringere la ragazza, dopo una vivace colluttazione, a subire un rapporto sessuale completo all’interno della parte posteriore dell’autovettura ove i due giovani si trovavano seduti.

3 Fin qui i fatti che il Tribunale ha ritenuto inidonei sotto il profilo della necessaria gravità indiziaria per giustificare il provvedimento cautelare richiesto dal Pubblico Ministero procedente.

Il Tribunale, infatti, per quanto riguarda il reato di cui all’art. 609 bis ha ritenuto che una serie di dati collidevano con la tesi della violenza sessuale in relazione al fatto che le portiere dell’auto, nonostante la chiusura centralizzata, erano perfettamente apribili dall’interno e che quindi la ragazza alla preme avancese sarebbe potuta uscire dall’auto;

che gli indumenti intimi della ragazza, poi consegnati alla Polizia al momento della denuncia, erano perfettamente integri così come i leggins indossati che la giovane aveva riferito esserle stati abbassati con violenza al pari degli slip;

che nessun segno di violenza esterna era riscontrabile sul corpo della ragazza all’atto della vista ginecologica avvenuta il mattino dopo l’episodio;

che l’eiaculazione del giovane all’interno della vagina, al termine del rapporto, aveva in realtà suscitato nella ragazza un senso di rammarico rispetto a quel modo di completamento dell’atto sessuale, sicchè il consenso iniziale al rapporto sessuale, ritenuto dal Tribunale, non poteva dirsi venuto meno solo per effetto di quella particolare conclusione dell’amplesso.

3.1 Con riferimento, poi, all’ipotizzato reato di atti persecutori, a giudizio del Tribunale, mancavano gli elementi costitutivi del reato, in quanto la giovane, pur potendo reagire in modo diverso ai continui messaggi telefonici del P. interrompendo ogni forma di dialogo, proseguiva nello scambio di messaggi telefonici con l’ex fidanzato, di guisa che le minacce da costui profferite all’indirizzo della ragazza, anche in presenza di amici, dovevano inquadrarsi in reati diversi (minacce, ingiurie etc.) perseguibili a querela di parte, ma non nel reato di atti persecutori che esige una reiterazione dei comportamenti minacciosi nei riguardi di soggetto che si opponga in modo reciso ad essi, mentre nel caso in esame la ragazza, proseguendo nel dialogo telefonico persino dopo l’episodio della riferita violenza sessuale con l’ex fidanzato, si sarebbe prestata ad una sorta di complicità implicita incompatibile con la struttura del reato ipotizzato dalla Pubblica Accusa.

4. Ritiene il Collegio che la decisione del Tribunale in punto di ritenuta esclusione della gravità indiziaria del reato di violenza sessuale non sia per nulla condivisibile risultando – come prospettato dal Pubblico Ministero ricorrente – non solo manifestamente illogica e contraddittoria, ma anche assai poco rispettosa dei criteri interpretativi enunciati da questa Corte Suprema sul tema della violenza sessuale e degli elementi costitutivi del reato nonchè sulle modalità e limiti del consenso al rapporto.

E ciò indipendentemente dalla ritenuta inattendibilità della ragazza che in effetti, per come risulta dal testo della ordinanza impugnata, ha descritto l’episodio nei minimi particolari facendo chiaramente intendere che il rapporto sessuale era avvenuto contro la sua volontà, quanto meno nella parte finale.

4.1 La conclusione del Tribunale secondo la quale l’eiaculazione interna al culmine del rapporto non era sufficiente ad escludere il vizio del consenso inizialmente prestato, oltre ad essere assiomatica ed assertiva come sostenuto dal Pubblico Ministero ricorrente, si profila, soprattutto, semplicistica ed errata in diritto in quanto mostra di non tenere in alcun conto gli arresti giurisprudenziali, pur menzionati, ma evidentemente non elaborati a sufficienza dal punto di vista interpretativo, che pongono l’accento sulla presenza necessaria del consenso durante l’intero arco del rapporto sessuale da parte della vittima senza interruzioni ed esitazioni o resistenze di sorta.

Non può, dunque, condividersi l’affermazione del Tribunale secondo la quale l’avvenuta eiaculazione interna avesse causato nella ragazza soltanto un sorta di rammarico che nulla toglieva alla natura consensuale iniziale del rapporto sessuale, perchè così facendo, si frammenta il concetto di atto sessuale che va riguardato in modo globale ed ogni sua componente per essere giudicato non voluto o meno.

4.2 Ancora, la decisione impugnata pecca di sommarietà in quanto mostra di non avere per nulla contestualizzato l’episodio, accaduto, sì al culmine di una lite che il giovane, con l’ausilio dell’atteggiamento conciliante della ragazza, aveva cercato di stemperare attraverso gesti affettuosi comunque non particolarmente graditi dalla ragazza, tanto che egli reagiva, per come è dato leggere nell’ordinanza impugnata, alle resistenze opposte dalla giovane con una progressiva azione violenta culminata nel congiungimento sessuale: invero non può essere tralasciato il fatto, ammesso dallo stesso Tribunale, di un clima di conflittualità palese ed avente radici lontane ma profonde, vista la decisione presa da tempo (e manifestata expressis verbis al P.) di troncare la relazione.

Anche a voler ammettere, per mera ipotesi di scuola, l’iniziale consenso sulla base di quei dati passati in rassegna dal Tribunale e considerati lo specchio della inattendibilità della ragazza, non può non considerarsi l’epilogo dell’atto sessuale che la ragazza non ha mai condiviso e del quale vi è ampia traccia in atti.

E’ infatti lo stesso Tribunale a riportare la frase contenuta nella memoria del telefono, attribuita alla ragazza con la quale costei manifesta la sua totale disapprovazione “Mi sei arrivato dentro contro voglia ed io non volevo farlo”: così come l’espressione attribuita al giovane al termine del rapporto sessuale (“Ora ti ho rovinata”) riportata fedelmente nell’ordinanza impugnata è stata valutata in modo assai superficiale dal Tribunale che mostra chiaramente di non avere contestualizzato l’episodio.

4.3 In altri termini, un congiungimento sessuale tra due persone aventi opposte finalità (la ragazza quella di non riprendere in alcun modo la relazione sentimentale ed il ragazzo determinato a riprenderla a qualunque costo anche attraverso gesti eclatanti che suonavano come una sorta di ricatto compromissivo della libertà della ragazza agli occhi degli altri) è ben diverso da un qualsiasi rapporto sessuale tra due persone desiderose di averlo e di viverlo congiuntamente. L’antefatto della lite viene considerato dal Tribunale come una circostanza del tutto contingente sganciata dall’episodio successivo, tanto da ritenere l’atteggiamento conciliante del giovane e la disponibilità al dialogo della ragazza come un modo per neutralizzare le conseguenze della lite e riprendere il filo comune interrotto.

Quel rapporto sessuale viene visto dal Tribunale come una palese manifestazione della comune volontà dei due giovani di riprendere, dopo la “burrasca emotiva”, quella dimestichezza sessuale cui erano abituati in costanza di una relazione sentimentale stabile.

Ora se nelle relazioni sentimentali caratterizzate da stabilità e normalità può accadere qualcosa che turbi momentaneamente l’equilibrio di coppia, facendo scattare meccanismi di autodifesa da parte di chi, in quel momento, non desidera il rapporto sessuale, nel caso in cui il contesto è decisamente conflittuale da tempo e caratterizzato, per un verso, dalla decisione di un partner di interrompere la relazione e, per altro verso, dalla decisione dell’altro partner di proseguire ad ogni costo il rapporto interrotto, l’eventuale congiungimento sessuale va riguardato in modo più prudente sotto l’aspetto del consenso.

4.4 Si profila, così, assolutamente arbitraria, e persino mortificante per la libertà di autodeterminazione della persona offesa, l’affermazione del Tribunale secondo cui l’eiaculazione interna avrebbe provocato solo un senso di rammarico nella ragazza, quasi che il rapporto sessuale non tenesse conto anche del modo di conclusione: non può negarsi che rientri nella libertà di autodeterminazione di uno dei partners quello di concludere il rapporto sessuale senza l’eiaculazione interna, pur desiderando l’amplesso, sicchè è evidente che laddove l’eiaculazione avvenga contro la volontà del partner dissenziente, questo caratterizza in negativo il rapporto sessuale che il partner aveva accettato (o anche desiderato) a determinate condizioni. Ammettere il contrario, e dunque ricondurre un rapporto sessuale di tal fatta nell’alveo della normalità, significa vanificare la libertà di autodeterminazione del partner, laddove è proprio il bene della libertà della persona a costituire, rispetto al passato, il bene giuridico protetto dalla norma.

5. Il Tribunale, nel richiamare i precedenti giurisprudenziali in tema di rapporto sessuale, consenso iniziale e durata ininterrotta di esso fino al termine del rapporto, mostra di non avere tenuto conto del significato profondo dei principi affermati da questa Corte Suprema.

5.1 E’ noto che le relazioni sessuali, per la loro variegabilità, costituiscono uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, rientranti tra i diritti inviolabili tutelabili costituzionalmente. Se da un lato la libertà sessuale va intesa come libertà di espressione e di autodeterminazione afferente alla sfera esistenziale della persona – e dunque inviolabile – è del pari innegabile che tale libertà non è indisponibile, occorrendo una forma di collaborazione reciproca tra soggetti che vengono in relazione (sessuale) tra loro: collaborazione che deve però permanere senza soluzioni di continuità e incertezze comportamentali per l’intera durata del rapporto.

Le costanti precisazioni di questa Corte Suprema sul tema dell’abuso sessuale determinato da un mutamento dell’originario consenso iniziale, fanno sì che anche una conclusione del rapporto sessuale, magari inizialmente voluto (il che non pare essere accaduto nella specie per quanto si osserverà a breve), ma proseguito con modalità sgradite o comunque non accettate dal partner, rientri a pieno titolo nel delitto di violenza sessuale (in termini oltre a Sez. 3, 11.12.2007 n. 4532, Bonavita; Sez. 3, 21.9.2007 n. 39428, Ortiz Mejia, Rv.237930; vds. anche Sez. 3, 10.5.1996 n. 6214, P.M. in proc. Chiancone, Rv. 205292 in riferimento ad un rapporto sessuale inizialmente consentito ma completato con l’eiaculazione in vagina non condivisa dalla donna).

5.2 L’eiaculazione interna rappresenta, peraltro, una delle tante modalità di conclusione di un rapporto sessuale che può incidere sulla sua spontaneità e libertà reciproca fino a trasformarlo in atto sessuale contrario alla volontà di uno dei due protagonisti.

Nè può ridursi il momento dell’eiaculazione ad un segmento “neutro” dell’atto sessuale, soprattutto se non desiderato o comunque condiviso dal partner, in quanto l’eiaculazione in vagina, in determinati contesti spazio-temporali, può avere conseguenze significative tali da trasformare un rapporto sessuale voluto in uno non voluto: ed è indubbio che il modo di conclusione del rapporto può assumere un significato invasivo tale da incidere sulla iniziale libertà di autodeterminazione del partner.

Non per nulla – vista la frase scritta dal giovane dopo il fatto “Ora ti ho rovinata” – si evidenzia in modo manifesto l’atteggiamento prevaricatore di un soggetto che intendeva legare a sè la donna magari prospettandole il rischio di una gravidanza che avrebbe potuto indurre la giovane a ripensare alla definitiva interruzione del rapporto, riprendendolo:

ma se così fosse, non può non rilevarsi la mancanza di consenso sopravvenuta che non può essere posta nel nulla sol perchè sul momento la ragazza non si sia resa conto di quanto accaduto. Le proteste successive esplicitate attraverso il messaggio telefonico mostrato alla P.G. nella immediatezza del fatto, costituiscono, infatti, lo specchio fedele di una volontà deviata della ragazza, ammesso di dare per scontato il suo consenso iniziale.

6. Dubita, però, il Collegio della correttezza della decisione anche su questo versante posto che alcuni dei dati presi a base dal Tribunale (l’assenza di segni di violenza; gli slip e i leggins intatti) non assumono affatto la valenza univoca sul piano indiziario attribuita frettolosamente dal Tribunale.

La ragazza non ha mai detto di avere avuto strappati con violenza i vestiti e gli slip ma di averli avuti, sia pure forzatamente, abbassati: il che è compatibile con la mancanza di strappi. La ragazza ha chiaramente detto di non avere voluto non solo il rapporto ma persino quegli approcci preliminari maldestramente posti in essere dal giovane nel goffo tentativo di riportare il sereno nella coppia ormai disgregata;

sicchè, al di là del particolare comunque non adeguatamente chiarito dal Tribunale, della possibilità per la ragazza di aprire dall’interno le portiere dell’auto nonostante l’attivazione della chiusura centralizzata (è noto che soprattutto gli sportelli posteriori contengono un meccanismo di chiusura per impedire l’uscita dei bambini che rende impossibile l’apertura dall’interno); al di là del fatto che il Tribunale non si è soffermato su tale particolare, attratto solo dalla circostanza che la ragazza non presentava segni esteriori di violenza che peraltro la ragazza non ha descritto, resta l’ostacolo di fondo costituito da un rapporto sentimentale in crisi strutturale, che la ragazza aveva metabolizzato da tempo e che la aveva indotta da tempo a mettere fine al rapporto anche perchè assillata dai continui tentativi di ripresa del giovane ossessionato, come ricorda il Tribunale, da una gelosia morbosa e parossistica.

7. Ne consegue che, sul punto, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame sul punto in aderenza ai principi di diritto fissati da questa Corte. Dovrà, infatti, il Tribunale in sede di rinvio inquadrare l’episodio descritto dalla ragazza nel contesto dei rapporti conflittuali tra i due giovani e riguardare le modalità del rapporto nella loro globalità anche con riferimento al momento di conclusione dell’amplesso, rivedendo anche i dati posti a base della ritenuta inattendibilità parziale del racconto della persona offesa alla luce delle osservazioni di questa Corte.

8. Il ricorso del Pubblico Ministero è, invece, infondato con riferimento all’ipotizzato reato di atti persecutori, non apparendo illogica la precisazione del Tribunale secondo la quale la prosecuzione dei dialoghi telefonici tra la PI. e il P. appare poco compatibile con il quadro di assillante pressione di tipo anche smaccatamente minaccioso del giovane esercitato dal giovane dopo la decisione della ragazza di interrompere la relazione sentimentale peraltro non breve.

9. L’art. 612 bis cod. pen. intitolato “Atti persecutori” recita testualmente: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

9.1 In relazione al testo normativo, se può dirsi presente il requisito della reiterazione della condotta richiesto dalla norma incriminatrice, sicchè anche due sole condotte in successione tra loro, anche se intervallate nel tempo, bastano ad integrare sotto il profilo temporale la fattispecie, per quanto riguarda l’aspetto materiale (in termini Sez. 5, 21.1.2010, n. 6417, Oliviero, Rv.

245881; Sez. 3, 23.5.2013 n. 45648, U., Rv. 257287), non va tralasciato il fatto che le condotte molestatrici debbono risultare assillanti: espressione, quest’ultima, che, al di là del mero riferimento temporale, attiene soprattutto alle conseguenze cagionate alla vittima.

La configurabilità del reato di atti persecutori è caratterizzata sotto l’aspetto materiale non solo dall’elemento tempo, ma dall’evento in termini di pregiudizio alla persona da porre in stretta correlazione con il dato della ripetitività: in altri termini, una condotta che fosse circoscritta ad una serie di atti di disturbo, non seguita dall’evento-danno sulla persona, non integrerebbe la fattispecie, così come non la integrerebbe una condotta tale da provocare un senso di paura o di stress non preceduto o caratterizzato da una ripetitività dell’azione.

Se a questo si aggiunge il comportamento della vittima che, in qualche modo, non si frappone come ostacolo invalicabile alle molestie ma asseconda il comportamento del soggetto agente inducendolo a persistere in quegli atteggiamenti minacciosi, viene meno il requisito del pregiudizio alla psiche della persona offesa in termini tale da impedire alla vittima di vivere liberamente la propria quotidianità. (v. Sez. 3, 23.10.2013 n. 46179, Bernardi, Rv. 257632).

9.2 Il legislatore ha attribuito al delitto in esame natura di illecito che pregiudica il bene giuridico costituito dalla libertà morale. Gli atti persecutori, consistono, quindi, in condotte di tipo vessatorio che determinano la mortificazione delle condizioni soggettive della vittima, tanto da incidere sul modo di conformare il proprio comportamento in termini di completa autonomia e da turbare quegli aspetti, complementari ma indispensabili, di quiete e di tranquillità, sui quali una siffatta autonomia necessariamente si fonda (v. Sez. 3, 7.3.2014 n. 23485, U. Rv. 260083; Sez. 5, 19.5.2011, n. 29872 L., Rv. 250399 in relazione alla alternatività delle condotte e degli eventi).

9.3 Se è più agevole acquisire la prova degli atti persecutori laddove essi si concretino nei casi in cui si verifica l’evento di far mutare al soggetto passivo le abitudini di vita secondo un schema assai vicino a quello della violenza privata, meno agevole si avverte la stessa lesione in quei casi in cui gli atti persecutori cagionano una grave e perdurante stato d’ansia o di paura od un fondato timore per l’incolumità, con risvolti che attengono all’equilibrio psico- fisico della persona.

9.4 La comune esperienza insegna che nei confronti delle persone prese di mira le minacce e le molestie vengono realizzate spesso attraverso lettere anonime o comunicazioni telefoniche, anche se minacce e molestie possono essere caratterizzate da atteggiamenti e condotte diverse, quali gli appostamenti, i pedinamenti, le fastidiose ed insistenti presenze, gli stazionamenti nei pressi dell’abitazione, della scuola, del luogo di lavoro, il compimento di atti vandalici allusivi e di dispetti, la collocazione di oggetti dal significato inquietante e altre simili condotte. Si tratta quindi una gamma assai variegata di comportamenti aventi caratteristiche di elevata invasività e capaci di instillare nella vittima un senso di oppressione, di tensione e di paura.

9.5 La gravità richiesta dalla norma punitiva dipende, in genere, dalla intensità intrinseca delle minacce ricevute, dalla pericolosità dell’agente e dalle circostanze che nel concreto ne fanno apprezzare la estrema probabilità di verificazione del danno ingiusto. La protrazione dello stato soggettivo può durare per quanto si susseguono le azioni disturbatrici, ma pare più conforme alla lettera della norma punitiva ritenere che essa corrisponda ad una alterazione irreversibile e patologica.

9.6 Il mutamento di abitudini di vita è fatto constatato dall’esperienza come comportamento necessitato cui la vittima di atti di persecuzione ricorre per cercare di sottrarsi agli stessi: sicchè accade molto di frequente che vittime di appostamenti e pedinamenti cambino il percorso che le conduce a scuola, a casa od al lavoro;

ovvero che non rispondano più al telefono e chiedano agli enti gestori il distacco degli apparecchi e l’eliminazione del loro nominativo dagli elenchi; ovvero, ancora, che si facciano accompagnare da terze persone per la paura di rimanere da sole con chi le molesta o le intimidisce. Si tratta, in genere, di precauzioni adottate per non fornire ulteriori occasioni di essere disturbati, a prezzo, però, di alterare e modificare i propri ritmi di vita quotidiana, le proprie forme di distrazione, le scelte minute che ordinariamente regolano l’assetto relazionale con l’esterno.

9.7 Ne consegue che laddove il comportamento del soggetto passivo in qualche modo assecondi il comportamento del soggetto agente, viene meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima.

10. Orbene, il Tribunale, nel valutare il racconto della persona offesa, pur prendendo atto delle minacce continue, ed anche gravi, poste in essere dal P. anche al cospetto di estranei, non ha potuto far a meno di verificare comportamenti per lo meno incongrui posti in essere dalla destinataria di tali minacce, consistiti nel proseguire i rapporti telefonici rispondendo al proprio interlocutore anzichè prenderne le distanze; ovvero ancora nell’accettare quell’incontro “chiarificatore” nei propositi del P., poi degenerato nella denunciata violenza sessuale.

La valutazione operata dal Tribunale sul piano della consistenza indiziaria necessaria per la integrazione della fattispecie non appare dunque nè manifestamente illogica, nè contraddittoria ed è anche coerente con i rigidi parametri normativi per il corretto inquadramento della fattispecie.

11. Sotto tale specifico profilo la decisione del Tribunale va condivisa ed il ricorso del Pubblico Ministero deve essere rigettato.

P.Q.M.


Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di violenza sessuale e rinvia al Tribunale di Napoli.

Rigetta nel resto il ricorso del P.M.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2016.