Violenza sessuale tentata o adescamento di minori? Precisato il discrimine.

(Corte di Cassazione penale, sez. III, sentenza 20.04.2015, n. 16329)

Per la sussistenza del reato di adescamento di minori è necessario che non sia ancora configurabile il tentativo o la consumazione del reato-fine, altrimenti si deve procedere solo per tali reati e non per l’adescamento.

E’ quanto emerge dalla sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 20 aprile 2015, n. 16329.

Il caso vedeva un uomo tentare di usare violenza sessuale nei confronti di minori, cercando di circuirli ed ottenerne la fiducia, mediante lo scambio di sms e l’organizzazione di incontri di istruzione musicale e spirituali, allo scopo di eliminare ogni inibizione all’intrattenimento di rapporti sessuali.

Per tali motivi il Gup presso il Tribunale di Cagliari riteneva l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 609-quater c.p.

Mediante ricorso per Cassazione, l’uomo deeduceva l’erronea qualificazione del fatto contestato riconducibile all’interno dell’art. 609-undecies c.p. e la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 609-quater, comma 4, c.p.

La fattispecie di adescamento di minori, contemplata dal nuovo art. 609-undecies c.p., introdotto dalla l. 172/2012, si caratterizza dal dolo specifico ed ha una portata ampia, ricorrendo qualora il soggetto intrattenga con il minore di sedici anni o con l’incapace, anche attraverso l’utilizzo della rete internet o di altri mezzi di comunicazione, una relazione tale da condurre il soggetto passivo ad un incontro.

Si tratta di un reato di pericolo, caratterizzato da una anticipazione della soglia di punibilità resasi necessaria per colpire condotte insidiose e prodromiche all’abuso sessuale ai danni di minori.

In merito al rapporto tra l’adescamento ed i reati-fine, secondo gli ermellini, alla luce della clausola di riserva contenuto nel disposto normativo (“sempre che il fatto non costituisca più grave reato”), per l’applicazione dell’art. 609-undecies c.p., è necessario che non siano ancora configurabili gli estremi del tentativo o della consumazione del reato-fine, in quanto se ciò si realizza si dovrà procedere solo per i predetti illeciti e non per l’adescamento, posto che se ci sono gli estremi del tentativo, contestare anche l’adescamento significherebbe di fatto punire due volte la stessa condotta, violando li principio contenuto nella clausola di riserva di cui sopra.

Nella fattispecie, a detta della Suprema Corte, il reato di cui all’art. 609-quater c.p. non si è concretizzato in quanto l’imputato è stato arrestato prima di portare a termine il programma che aveva architettato, ma si è configurato in termini di tentativo con conseguente non contestazione dell’adescamento.

Quanto alla censura sollevata in merito alla mancata applicazione dell’ipotesi attenuata di cui al comma 4 dell’art. 609-quater, comma 4, c.p., la giurisprudenza di legittimità ha rilevato come la minore gravità del fatto possa ravvisarsi in presenza di una lieve compromissione della libertà sessuale della vittima e dello sviluppo del minore, valutazione che deve tenere in considerazione tutte le componenti del reato, oggettive e soggettive,, nonché degli elementi indicati dall’art. 133 c.p., venendo in rilievo la qualità dell’atto compiuto, il grado di coartazione, anche psicologica, esercitato sulla vittima, le condizioni di quest’ultima, le caratteristiche psicologiche, valutate in particolare in relazione all’età, l’entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla persona offesa, anche in termini psichici (Cass. pen., Sez. III, sentenza 15 ottobre 2013, n. 45179), elementi ravvisati dai giudici di merito nella fattispecie e che hanno determinato il non accoglimento della richiesta di concessione dell’attenuante.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 4 marzo – 20 aprile 2015, n. 16329

Ritenuto in fatto

Il Gup presso il Tribunale di Cagliari, con sentenza del 27/9/2013, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava P.S. responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cpv e 609 quater co. 1 n. 2 cod.pen. commessi in danno di S.E., di anni 10, e di B.G., di anni 13, e di cui agli artt. 81 cpv, 609 quater co. 1, n. 2, cod.pen., commesso in danno di V.M. di anni 15; lo condannava ad anni 6 di reclusione.

La Corte di Appello di Cagliari, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, in parziale riforma del decisum di prime cure, ha ridotto la pena inflitta al P. ad anni 4 e mesi 8 di reclusione.

Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato con i seguenti motivi:

– erronea qualificazione giuridica dei fatti contestati ai capi A) e B) della rubrica, che avrebbero dovuto essere ricondotti, tuttalpiù, nell’alveo della fattispecie di reato di cui all’art. 609 undecies cod.pen. e non all’interno del tentativo di atti sessuali con minorenne, con conseguente applicazione dell’art. 2 co. 1 cod.pen., in quanto il predetto art. 609 undecies è stato introdotto dalla L. 172/2012, successivamente, quindi, all’epoca in cui il prevenuto avrebbe posto in essere le condotte ad esso ascritte;

– vizio di motivazione in ordine al diniego della attenuante di cui al co. 4 dell’art. 609 quater cod.pen.;

– ulteriore vizio di motivazione è ravvisabile, con netta evidenza, in relazione alla affermata colpevolezza del prevenuto per il reato asseritamente commesso in danno di V.M., rubricato al capo C), determinata da una non corretta lettura delle emergenze istruttorie.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.

Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia, consente di rilevare la logicità e la correttezza della argomentazione motivazionale, adottata dal decidente, in ordine alla ritenuta concretizzazione dei reati rubricati e alla ascrivibilità di essi in capo al prevenuto.

Il primo motivo di annullamento, con cui si eccepisce la errata qualificazione giuridica dei fatti, relativamente ai capi A) e B) della imputazione, è del tutto destituito di fondamento.

Sul punto rilevasi che la Corte distrettuale ha proceduto ad una rinnovata disamina degli elementi costituenti la piattaforma probatoria, pervenendo, così, nella convinzione della esatta qualificazione giuridica della condotta posta in essere dall’imputato nei confronti del S. e del B. , rientrante nella sfera del tentativo di violenza sessuale, e della conferma del giudizio di colpevolezza del P. , già formulato dal Tribunale.

Il discorso giustificativo, svolto dal giudice di seconde cure si palesa assolutamente esente da vizi: l’intenzione del prevenuto era quella di circuire i minori, facendo in modo che in essi crescesse la fiducia in lui e che gli stessi superassero ogni remora per intrattenere rapporti sessuali con adulti dello stesso sesso.

S. e B. erano poco più che bambini e, dunque, particolarmente immaturi e vulnerabili, come tali vittime predestinate del P. , il quale su di loro aveva un notevole ascendente, che si era conquistato con il tempo, aumentando progressivamente la confidenza e tessendo quella che il perito ha efficacemente definito “la tela del ragno”, finalizzata ad avere rapporti intimi con gli stessi minori.

I messaggi inviati alle vittime avevano esplicito contenuto sessuale e solo l’intervento dei genitori e della polizia aveva evitato che l’imputato potesse raggiungere il suo obbiettivo, perseguito con uno spasmodico invio di sms, contestuale ad una incessante attività di organizzazione di incontri spirituali o di istruzione musicale, che celavano ben altri scopi.

Osservasi che il nuovo 609 undecies cod.pen. introduce nel nostro ordinamento il delitto di adescamento di minori, punito con la reclusione da uno a tre anni.

La fattispecie del reato, caratterizzata dal dolo specifico, ha una portata assai ampia, ricorrendo allorché il soggetto intrattenga con l’incapace o col minore infrasedicenne, anche attraverso l’utilizzazione della rete internet o di altre reti o di mezzi di comunicazione, una relazione tale da condurre il minore medesimo ad un incontro.

Trattasi di reato di pericolo, caratterizzato da una significativa anticipazione della tutela che si rende necessaria per colpire comportamenti insidiosi, prodromici all’abuso sessuale ai danni degli adolescenti.

Necessita mettere a fuoco, di poi, il rapporto tra il reato di adescamento e i reati-fine: alla luce della clausola di riserva, contenuta nel disposto normativo (“sempre che il fatto non costituisca più grave reato”), per l’applicazione dell’art. 609 undecies cod.pen. è necessario che non siano ancora configurabili gli estremi del tentativo o della consumazione del reato-fine, in quanto se ciò si realizza dovrà procedersi soltanto per i predetti illeciti e non per l’adescamento, rilevato che se ci sono gli estremi del tentativo, contestare anche l’adescamento significherebbe di fatto punire due volte la stessa condotta, vanificando così il significato della clausola di riserva.

A maggior ragione ciò vale qualora il reato-fine sia consumato, perché in tale eventualità la condotta di adescamento, precedentemente tenuta dall’agente, si risolverebbe, a ben vedere, in un antefatto non punibile.

Peraltro, nella specie, il reato di cui all’art. 609 quater cod.pen. non si è concretizzato perché l’imputato è stato arrestato prima di portare a termine il programma che aveva architettato in vista del soggiorno a (omissis) , per la fine del mese di aprile 2012: in tale occasione il P. aveva predisposto l’allocazione in albergo, destinando ad S.E. una camera singola, così da consentire allo stesso di raggiungerlo nel suo alloggio, senza tema di essere visto da altri; in occasione del medesimo ritiro spirituale aveva anche programmato l’incontro con il B. , informando i due bambini di quanto era stato predisposto, come evincesi dagli sms richiamati dal decidente e dalle dichiarazioni delle persone offese.

Del pari immeritevole di accoglimento è da ritenere la censura sollevata con il secondo motivo di annullamento, relativa alla ingiustificata mancata applicazione della ipotesi attenuata di cui al co. 4 dell’art. 609 quater cod.pen.: ad avviso della Corte territoriale la reiterazione e la insistenza delle condotte seduttive, poste in essere dal P. con serialità ed organizzazione programmata, avevano stimolato in E. e G. l’insano desiderio, sempre più forte, di saperne di più sugli atti sessuali, subdolamente loro proposti dall’imputato, da consumare tra soggetti dello stesso sesso, determinando, di certo, un grave danno allo sviluppo psicosomatico degli minori.

Sul punto si specifica come la giurisprudenza di legittimità abbia osservato che, premesso che la minore gravità del fatto può ravvisarsi in presenza di una più lieve compromissione della libertà sessuale della vittima e dello sviluppo del minore, resta fermo che essa è il risultato di una valutazione che deve tenere conto di tutte le componenti del reato, oggettive e soggettive, nonché degli elementi indicati nell’art. 133 cod.pen. (Cass. 3/10/2006, rv. 235031).

Si è, peraltro, precisato che nell’utilizzare i parametri di cui al citato art. 133, ai fini del riconoscimento della attenuante in parola, si deve avere riguardo solo agli elementi di cui al primo comma di detta disposizione codicistica, in quanto quelli di cui al secondo comma possono essere impiegati solo per la commisurazione complessiva della pena (Cass. 4/5/2007, rv. 235730).

Invero, poiché l’attenuante in discussione non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in concreto rapportata al bene giuridico tutelato, assumono particolare importanza: la qualità dell’atto compiuto, il grado di coartazione, anche psicologica, esercitato sulla vittima, le condizioni di quest’ultima, le caratteristiche psicologiche, valutate in particolare in relazione all’età, l’entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla persona offesa, anche in termini psichici (Cass. 15/10/2013, n. 45179; Cass. 29/2/2000, Prillo della Rotonda; Cass. 24/3/2000, Improta); elementi, questi, ravvisati, con compiuta esattezza, nella specie dal giudice di merito e ritenuti, giustamente, ostativi all’accoglimento della richiesta di concessione della attenuante in questione.

Manifestamente infondate sono da ritenere le ulteriori doglianze mosse con il terzo motivo di annullamento, attinenti esclusivamente al reato di violenza sessuale, commesso in danno di V.M. , perché sorrette da deduzioni puramente fattuali, tendenti ad una rilettura degli elementi costituenti la piattaforma probatoria, sui quali al giudice di legittimità è precluso procedere a nuovo esame estimativo: la Corte distrettuale, peraltro, ha vagliato, con assoluta esaustività e puntualità, le emergenze istruttorie, fornendone una interpretazione esente da vizi ed inaggredibile dal punto di vista logico, con effettuazione di puntuali richiami alla particolare fragilità della vittima, ma, nel contempo, alla attendibilità e alla credibilità del narrato offerto dallo stessa, confermato da riscontri estrinseci (dichiarazioni di A.C. , ex fidanzata dell’imputato, destinataria delle confidenze del V. ).

Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il P. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 cod.proc.pen., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.