Abbandono di rifiuti: sequestrato il furgone aziendale anche se i rifiuti non erano dell’attività (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 8 maggio 2024, n. 18046).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da

Dott. Luca Ramacci                     – Presidente –

Dott. Aldo Aceto                         – Relatore –

Dott. Antonio Corbo                    – Consigliere –

Dott. Alessandro Maria Andronio  – Consigliere –

Dott. Beatrice Magro                   – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) (omissis) nato a (omissis) (omissis) il 04/(13/1982;

avverso l’ordinanza del 28/06/2023 del TRIB. LIBERTA’ di COSENZA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALDO ACETO;

lette le richieste del PG, Dott. LUIGI ORSI che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Ricorso trattato ai sensi dell’art. 23 comma 8 D.L. 137/2020.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. (omissis) (omissis) (omissis) ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 28 giugno 2023 del Tribunale di Cosenza che ha rigettato la richiesta di riesame del decreto del 12 giugno 2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Paola che, ritenuta la sussistenza indiziaria del reato di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 256, commi 1, lett. a), e 2, d.lgs. n. 152 del 2006, ha disposto il sequestro preventivo del furgone di sua proprietà utilizzato per il trasporto di un carico di rifiuti (pericolosi e non) smaltiti mediante abbandono incontrollato.

1.1. Con unico motivo deduce l’insussistenza del fumus del reato lamentando che il Tribunale del riesame ha negletto la circostanza che egli è titolare di impresa esercente attività di carpenteria metallica, in legno e cemento, attività che nulla ha a che vedere con la tipologia e provenienza dei rifiuti abbandonati (resti di porte, pannelli in truciolato, lastre di vetro, tubi di plastica, un frigorifero).

Oggetto della condotta, dunque, sono rifiuti domestici che il ricorrente ha abbandonato quale persona fisica, non quale persona esercente attività di impresa, non provenendo detti rifiuti dall’esercizio di tale attività.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è infondato.

3. Non è in contestazione che il ricorrente avesse effettuato, per due volte, lo smaltimento non autorizzato di rifiuti abbandonandoli sulla nuda terra, che tali rifiuti fossero stati trasportati mediante il furgone di sua proprietà, che egli fosse socio accomandatario della società «(omissis) Costruzioni di (omissis) (omissis) (omissis) & C. S.a.s.» esercente attività di carpenteria metallica, in legno e cemento.

3.1. Il ricorrente deduce, in fatto, la non provenienza dei rifiuti dalla propria attività di impresa, deduzione fondata sul dato formale della eterogeneità dei rifiuti rispetto all’attività stessa, e lamenta l’omessa valutazione di tale circostanza a suo dire decisiva.

Lamenta, in particolare, l’errore nel quale è incorso il Tribunale del riesame secondo il quale la società da lui legalmente rappresentata esercita attività di costruzioni laddove, in realtà, esercita attività di carpenteria metallica, in legno e cemento, cadendo così nell’errore di considerare i rifiuti come provenienti dall’attività di costruzioni.

Precisa, al riguardo, che se è vero che la società si chiama «(omissis) Costruzioni», è altrettanto vero che l’attività concretamente esercitata è solo quella di carpenteria metallica, in legno e cemento, finalizzata alla realizzazione di fabbricati.

3.2. In disparte la natura labiale di tale precisazione, non fondata su alcun elemento di prova nemmeno allegato in sede cautelare e comunque generica (e dunque non decisiva) perché non si vede la ragione per la quale i rifiuti illecitamente smaltiti non possano provenire dai cantieri nei quali il ricorrente deduce di esercitare l’attività di impresa, né sotto quale profilo sarebbe concretamente possibile tracciare il confine tra l’attività di costruzione dei fabbricati (ritenuta dai Giudici del riesame) e quella di carpenteria finalizzata alla realizzazione di fabbricati (rivendicata dal ricorrente), tale precisazione postula, in diritto, la possibilità che l’imprenditore possa abbandonare rifiuti non derivanti dalla propria attività senza incorrere nella violazione del precetto penalmente sanzionato dall’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, la cui fattispecie, per vero, non richiede, come si vedrà, quale elemento costitutivo del reato, la provenienza del rifiuto dalla specifica attività di impresa svolta dall’agente.

3.3. Il rilievo difensivo è perciò doppiamente infondato sia perché – come si vedrà – espunge dalla fattispecie penale in questione la condotta dell’imprenditore che abbandona rifiuti prodotti da altri, sia perché fa dipendere la penale rilevanza della condotta dalla natura del rifiuto abbandonato: l’abbandono di rifiuti domestici sarebbe, in tesi difensiva, penalmente irrilevante.

3.4. Sennonché il precetto violato non sok) non pretende che l’imprenditore sia anche il produttore del rifiuto abbandonato ma ritiene perfettamente compatibile con la penale rilevanza dell’abbandono la possibilità che oggetto materiale della condotta siano rifiuti domestici, come si evince dal richiamo al comma 1 che diversifica la sanzione a seconda della natura del rifiuto abbandonato. Ed, invero, secondo il dato testuale oggetto materiale dell’abbandono vietato sono i “rifiuti” tout court, rilevando la distinzione tra rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi ai soli fini sanzionatori.

I rifiuti domestici costituiscono una species del genus “rifiuti urbani”, definiti dall’art. 183, comma 1, lett. b ter, nn. 1) e 2), d.lgs. n. 152 del 2006, e come meglio indicati nell’allegato L alla parte quarta del decreto legislativo, e sono chiaramente distinti dai “rifiuti da costruzione e demolizione” di cui alla lettera b quater, dell’art. 183, comma 1, cit., che sono classificati come “speciali” dall’art. 184, comma 3, lett. d, d. Igs. n. 152 del 2006.

Lo smaltimento dei “rifiuti urbani” è, di norma, prerogativa dei Comuni che per questo servizio sono costituti esattori della tassa sullo smaltimento dei rifiuti.

Va dunque ribadito che oggetto materiale della condotta di abbandono penalmente sanzionata dall’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, possono essere anche i “rifiuti domestici”.

3.5. Quanto alla provenienza del rifiuto e alla qualifica soggettiva dell’autore dell’abbandono, la Corte di cassazione ha costantemente affermato che il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, pur avendo in comune con l’illecito amministrativo previsto dall’art. 255, comma 1, del medesimo decreto le condotte di abbandono, deposito incontrollato e immissione, si trova con tale ultima norma in rapporto di specialità in ragione delle peculiari qualifiche soggettive rivestite dai suoi destinatari che possono essere solo i titolari di imprese o i responsabili di enti (Sez. 3, n. 15234 del 23/01/2020, Lo Bartolo, Rv. 278853 – 01; Sez. 3, n. 5042 del 17/01/2012, Golfrè, Rv. 252131 – 01; Sez. 3, n. 33766 del 10/05/2007, Marlo, Rv. 238859 – 01; Sez. :3, n. 42377 del 19/09/2003, Sfrappini, Rv. 226585 – 01).

3.6. Tale principio deve essere ribadito anche a seguito della modifica dell’art. 255, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, operata dall’art. 6-ter di. 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, che ha reso penalmente rilevanti le condotte di abbandono ivi previste siccome punite, per i fatti commessi dal 10 ottobre 2023, con la pena dell’ammenda da mille a diecimila euro, pena che può essere raddoppiata in caso di abbandono di rifiuti pericolosi.

La novella ha solo trasformato l’illecito amministrativo in un reato ma non ha modificato il precetto né i rapporti strutturali tra le due fattispecie (quella regolata dall’art. 255, comma 1, e quella prevista dall’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006) che restano regolati dal criterio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen. e dai principi più volte affermati da questa Corte in materia.

3.7. E’ stato precisato che integra la contravvenzione di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la condotta del titolare di un’impresa o del responsabile di un ente che abbandoni o depositi in modo incontrollato rifiuti derivanti dallo svolgimento di attività comunque riconducibili all’impresa o all’ente, in quanto dagli stessi esercitabili anche in maniera occasionale ed illegale, essendo esclusa la configurabilità dell’illecito penale nel solo caso in cui i rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato siano estranei a qualunque attività che, anche episodicamente, potrebbe svolgere l’impresa o l’ente (Sez. 3, n. 33423 del 01/06/2023, Rv. 284999 – 01, che, in fattispecie relativa allo sversamento ripetuto e incontrollato, da parte del titolare di un’impresa esercente attività edile, di quantitativi non irrilevanti di materiali provenienti da demolizioni, di legnami e di metalli, ha valutato corretta la decisione che aveva ritenuto la configurabilità della contravvenzione).

3.8. Si tratta di principio che deve essere meglio precisato nella parte in cui sembra affermare che l’imprenditore che abbandona rifiuti non propri sconti (oggi) una pena decisamente inferiore a quella prevista dall’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 e fosse soggetto solo a sanzione amministrativa per le condotte precedenti la riforma.

3.9. In realtà non è così, perché non è sulla qualifica dei rifiuti e sulla loro provenienza che si traccia il confine tra l’illecito di cui all’art. 255, comma 1, d.igs. n. 152 del 2006 e quello di cui al comma 2 dell’art. 256.

3.10. Come ben spiegato in motivazione dalla risalente (ma mai superata) Sez. 3, n. 35710 del 22/06/2004, Carbone, Rv. 229562-01., «il deposito o l’abbandono incontrollato di rifiuti, ove posti in essere da titolari d’imprese e responsabili di enti, integrano la contravvenzione di cui all’art. 51 co. 2 in rel. [al co.] 1 D. Lgs. 22/97, indipendentemente dalla circostanza che i materiali provengano [dall]’esercizio di attività di raccolta, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione di rifiuti, da parte dei soggetti attivi.

L’esercizio di dette attività connota in termini di “reato proprio” solo le ipotesi contravvenzionali, di esercizio abusivo di attività, previste nel primo comma dell’articolo citato, mentre i soggetti attivi delle distinte ipotesi configurate nel secondo comma sono tutti, indistintamente, i titolari di impresa o responsabili di enti, che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti, non solo di propria produzione (come previsto nell’originaria formulazione della disposizione), ma anche di diversa provenienza.

Il collegamento tra le fattispecie previste dai due diversi commi riguarda il solo trattamento sanzionatorio, e non anche la parte precettiva, che solo nel primo è indirizzata agli esercenti (abusivi) di specifiche attività; l’inclusione, d’altra parte, tra i soggetti attivi della contravvenzione di cui al secondo comma, dei responsabili di enti, evidenzia anche l’implausibiltà della tesi proposta, non essendo ipotizzabili da parte degli stessi attività imprenditoriali correlate alla raccolta, smaltimento di rifiuti et similia.

La ratio dell’assoggettamento a trattamento penale delle condotte previste dal comma secondo, ove commessa da titolari di impresa o responsabili di enti, è evidente e risiede nella maggior gravità e pericolosità ambientale dell’abbandono o deposito incontrollato di rifiuti provenienti dall’esercizio di attività produttive, di qualsiasi genere, organizzate o comunque ricollegabili alla gestione di enti collettivi, rispetto alle analoghe condotte riferibili a singoli soggetti privati, operanti uti cives, i cui comportamenti il legislatore, sulla considerazione del minor disvalore sociale e del presumibile limitato impatto ambientale di siffatte episodiche condotte, ha ritenuto di dover sanzionare solo in termini di illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 50 D. Lgs. 22/97» (nello stesso senso, più recentemente, Sez. 7, n. 15025 del 29/11/2017, dep. 2018, Cerchecci, non mass.; Sez. 3, n. 19969 del 14/12/2016, dep. 2017, Boldrin, non mass. sul punto; Sez. 3, n. 8652 del 18/11/2015, dep. 2016, Prudentino, non mass.; Sez. 3, n. 47662 del 08/10/2014, Pelizzari, non mass. sul punto).

3.11. Ed invero, l’art. 51, comma 2, d.lgs. n. 22 del 1997 (cd. decreto Ronchi), abrogato e sostituito dall’odierno comma 2 dell’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006, nella sua originaria formulazione qualificava i rifiuti abbandonati dai titolari di imprese e responsabili di enti come “propri” («Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i propri rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 14, commi 1 e 2, ovvero effettuano attività di gestione dei rifiuti senza le prescritte autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33»).

3.12. La parola “propri” è stata soppressa dall’art. 1, comma 24, legge 9 dicembre 1998, n. 426, che ha eliminato dalla fattispecie anche l’ultimo periodo: «ovvero effettuano attività di gestione dei rifiuti senza le prescritte autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33», così che la norma, prima della sua abrogazione, era testualmente sovrapponibile a quella che l’ha sostituita (l’odierno art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006).

3.13. Ne consegue che non è richiesto, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, che i rifiuti abbandonati dal titolare dell’impresa siano i propri.

3.14. Deve perciò essere affermato il seguente principio di diritto: «ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, è necessaria e sufficiente la qualifica soggettiva dell’autore della condotta, non essendo altresì richiesto che i rifiuti abbandonati derivino dalla specifica attività di impresa, posto che il reato in esame può essere commesso dai titolari di impresa o responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato non solo i rifiuti di propria produzione, ma anche quelli di diversa provenienza e ciò in quanto il collegamento tra le fattispecie previste dal primo e dal secondo comma dell’art. 256, comma 2, riguarda il solo trattamento sanzionatorio e non anche la parte precettiva».

3.15. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

3.16. Il ricorrente, infatti, postula la provenienza dei rifiuti abbandonati (resti di porte, pannelli di truciolato, lastre di vetro, tubi in plastica, un frigorifero) da un’attività diversa da quella svolta dalla società di cui è socio accomandatario (che esercita attività di carpenteria metallica, in legno e cemento), nonché la qualifica di soggetto “privato” da lui rivestita all’atto dell’abbandono e la qualifica di rifiuti domestici delle cose abbandonate.

3.17. Fermo quanto già osservato al § 3.2, non è chiaro, nel libello difensivo, se la qualifica di soggetto privato derivi al ricorrente dalla natura domestica dei rifiuti abbandonati ma si tratta, in ogni caso, di tesi francamente insostenibile alla luce di quanto già detto circa la possibilità che oggetto materiale della condotta di abbandono penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, siano anche rifiuti domestici (§ 3.4).

Sotto altro profilo, non si comprende quale recondito ed insondabile foro interno determini la scissione tra soggetto privato e titolare di impresa rilevante ai fini della diversa disciplina della medesima condotta oggettiva di abbandono di rifiuti.

3.18. La qualifica di “privato” che esclude l’applicazione della fattispecie sanzionata dall’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, postula che la condotta venga posta in essere al di fuori di qualsiasi attività imprenditoriale, che non vi sia cioè alcun collegamento, nemmeno occasionale, con l’attività svolta dal titolare dell’impresa (telt, per esempio, il caso dell’imprenditore che abbandoni sulla pubblica via i rifiuti ingombranti di casa sua, così rispondendo del reato di cui all’art. 255, comma 1).

3.19. Non può invece essere considerato “privato” (per stare alla terminologia cara al ricorrente) l’imprenditore che si presti ad abbandonare rifiuti altrui, tanto più se, come nel caso di specie, si tratta di rifiuti perfettamente compatibili non solo con l’attività di cantiere nel quale era impegnata anche la società del ricorrente, ma anche con l’attività di quest’ultima.

3.20. Fermo restando quanto sin qui detto, va in ogni caso osservato che:

a) oggetto di abbandono erano anche RAEE (tal’è il frigorifero ai sensi dell’allegato II, punto 1.1, al d.lgs. n. 49 del 2014), soggetto a speciali forme di smaltimento in attuazione della direttiva DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE);

b) le condotte di abbandono erano due, sì da potersi configurare nella fattispecie una vera e propria forma di gestione non occasionale e non autorizzata di rifiuti provenienti da attività di cantiere.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 18/01/2024.

Depositato in Cancelleria, oggi 8 maggio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.