Abitualità del reato di furto ed esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 19 maggio 2023, n. 21648).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Edoardo – Presidente

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. SGUBBI Vincenzo – Consigliere

Dott. CUOCO Michele – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) (OMISSIS) nata in (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 14 luglio 2022, della Corte d’appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere dott. MICHELE CUOCO;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa KATE TASSONE, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 14 luglio 2022, la Corte d’appello di Roma, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto reato di tentato furto aggravato, perché, in concorso con (OMISSIS) (OMISSIS) avrebbe sottratto merce varia (per un complessivo valore di 640 euro) dagli scaffali dell’esercizio commerciali (OMISSIS).

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata, articolando due autonomi motivi di censura, entrambi formulati sotto i profili del vizio di motivazione e della violazione di legge.

Con il primo, si censura la ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede.

La corte territoriale, secondo la difesa, non avrebbe considerato l’accurata descrizione fornita dall’addetto alla sicurezza, che non avendo mai perso di vista la ricorrente, avrebbe esercitato sulle cose sottratte un continuo e costante controllo.

Con il secondo, invece, si censura l’omesso riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., esclusa dalla corte territoriale alla luce di una motivazione mancante (in quanto non avrebbe tenuto conto della natura e del valore dei beni sottratti) e, comunque, manifestamente illogica (avendo escluso la recidiva e, contestualmente, ritenuto l’abitualità della condotta).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è inammissibile.

L’aggravante dell’esposizione a pubblica fede non è esclusa né dalla mera presenza di dispositivi di videosorveglianza, né dalla presenza di dispositivi di antitaccheggio. Questi ultimi, in sé, non sono mai idonei ad escludere l’aggravante contestata in quanto consentono solo la mera rilevazione acustica della merce occultata al varco, ma non assicurano la possibilità di controllo a distanza (Sez. 5, n. 17 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 278383).

I primi sono idonei ad escludere l’aggravante solo in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci, in quanto idonei ad impedire la sottrazione della res, ostacolandone la facilità di raggiungimento (Sez. 5, n. 6351 del 08/01/2021, Rv. 280493).

La corte territoriale, tuttavia, ha dato atto che la merce sottratta era esposta sulle apposite scaffalature e il dipendente dell’esercizio commerciale si era limitato a vedere l’imputata, tramite il servizio di videosorveglianza, prelevare i prodotti ed occultarli all’interno della borsa. Tant’è che i controlli erano stati effettuati solo dopo che l’imputata aveva superato le casse e a seguito dei sistemi di allarme acustico.

La ricorrente deduce che dalla deposizione dell’addetto alla sicurezza emergerebbe che quest’ultimo avrebbe esercitato un controllo continuo e costante non perdendo mai di vista la ricorrente.

La deduzione, tuttavia, rappresenta solo una diversa valutazione dei dati fattuali, alla luce di differenti criteri, peraltro riproduttiva di argomentazioni già proposte in sede di appello e disattese dalla corte territoriale. Ed è incompatibile con il sindacato demandato a questa Corte, che, com’è noto, è limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata.

2. Il secondo motivo è, invece, fondato.

La corte territoriale ha escluso l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. alla luce di un solo precedente emerso a carico dell’imputata, commesso solo qualche mese prima. E tanto, secondo la corte d’appello, condurrebbe a ritenere la condotta abituale.

Tanto contrasta, tuttavia, con l’esplicito dato normativo, alla luce del quale il limite dell’abitualità può ipotizzarsi in presenza di almeno altri due illeciti, diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis. La norma è tassativa e non lascia spazio per diverse valutazioni.

Cosicché, solo il terzo illecito della medesima indole dà legalmente luogo alla serialità, che osta all’applicazione dell’istituto (Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593, in motivazione).

Tanto impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, limitatamente all’art. 131-bis cod. proc. pen.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso il 28 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2023.

SENTENZA -.