REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
ANGELO SPIRITO Presidente
DANILO SESTINI Consigliere rel.
ENZO VINCENTI Consigliere
GIUSEPPE CRICENTI Consigliere
SALVATORE SAIJA Consigliere
SENTENZA
sul ricorso 18588/2021 proposto da:
Ministero dello Sviluppo Economico in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in Roma via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui é difeso per legge;
-ricorrente-
contro
(omissis) (omissis) domiciliato ex lege, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
-controricorrenti-
nonché contro
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis)
-controricorrente-
nonché contro
(omissis) (omissis) + 602 investitori;
-controricorrente-
nonché da
Ministero dello Sviluppo Economico in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege ln Roma Via del Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui è difeso per legge:
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 3058/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/04/2021;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/04/2023 dal cons. dott. DANILO SESTINI;
FATTI DI CAUSA
Numerosi risparmiatori convennero in giudizio il Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato per sentirlo dichiarare responsabile della perdita degli investimenti che avevano effettuato conferendo mandati fiduciari a gestire somme di denaro alla società (omissis) spa e alla società (omissis) spa, entrambe facenti capo, di diritto o di fatto, al finanziere (omissis) (omissis)
Contestarono al Ministero di aver omesso o ritardato la vigilanza sulle anzidette società, cui era tenuto ai sensi della l. n. 1966/1939, consentendo alle stesse di raccogliere denaro nonostante gravi irregolarità e concorrendo, in tal modo, a determinare la perdita delle somme investite, che non era stato possibile recuperare dopo che era stata (tardivamente) revocata l’autorizzazione a svolgere attività fiduciaria alla soc. (omissis) dopo che la soc. (omissis) (tramite la quale lo (omissis) aveva potuto continuare l’attività della prima) era stata posta in liquidazione coatta amministrativa.
Il Tribunale di Roma pronunciò sentenza di condanna generica n. 31709/2003 (che -per quanto rilevato dalla sentenza qui impugnata e non contestato dal Ministero- è passata ln giudicato nell’anno 2017, a seguito di sentenza n. 13522 emessa da questa Corte).
Nel separato giudizio instaurato per la liquidazione del danno, il medesimo Tribunale, con sentenza n. 7791/2012, accolse la domanda in relazione a una parte degli attori, mentre la rigettò per altri (sul rilievo della prescrizione o dell’infondatezza delle relative pretese).
Provvedendo in sede di gravame, la Corte di Appello di Roma ha pronunciato sentenza numero 3058/2021 con cui, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accertato e liquidato il danno anche in favore degli investitori che erano stati in precedenza esclusi dal risarcimento.
La Corte ha premesso che «l’esatto ambito del presente giudizio è […] individuabile nell’accertamento e nella quantificazione dei danno conseguito alla perdita dei risparmi per omessa vigilanza – essendo stata la condotta colposa ascrivibile al Ministero già accertata dalla pronuncia di condanna generica n. 31709/2003 passata in giudicato – danno dedotto dai risparmiatori/odierni appellanti, le cui pretese non hanno trovato accoglimento da parte della decisione impugnata, poiché, all’epoca di emissione della stessa coinvolti dalle due sentenze d’appello (422/2008 e 2013/2009), soltanto successivamente cassate»; di talché l’oggetto del giudizio ad essa sottoposto non era l’accertamento della responsabilità del Ministero, già acclarata, ma la sola quantificazione del risarcimento, da effettuare a condizione che risultasse fornita la prova della stipula dei contratti fiduciari e dei versamenti eseguiti da ciascun risparmiatore.
Richiamata la pronuncia numero 7531/2009 di questa Corte – che aveva ritenuto che la liquidazione del danno subito dai clienti delle fiduciarie andasse parametrata al solo valore nominale del capitale versato, senza possibilità di riconoscere alcunché a titolo di mancati utili – il giudice di appello ha affermato che «la liquidazione può avvenire soltanto ove risulti la prova della stipula dei contratti fiduciari e dei relativi versamenti; in ipotesi di mancata produzione di copia dei contratti il processo di accertamento del capitale investito può anche basarsi sull’esistenza di documentazione (contabile ed extra contabile), ove dalla stessa possa comunque ricavarsi la prova dell’avvenuta stipula e dei relativi versamenti»; ha aggiunto che, «una volta acquisita tale prova, il danno da perdita dei risparmi va quantificato esclusivamente nell’ammontare del capitale versato […] alla data della l.c.a. della società (omissis) – che ha segnato la definitiva ed integrale perdita dei capitali (16.10.1985) – detratti i frutti medio tempore incassati dai risparmiatori»; ha inoltre ritenuto che gli importi andassero rivalutati all’attualità e che sugli stessi dovessero essere applicati gli interessi legali.
Tanto premesso e rilevato, la Corte ha dichiarato di condividere (tranne che per la voce relativa ai presumibili utili ricavabili dai capitali versati) i metodi di accertamento e di valutazione seguiti dai consulenti d’ufficio (che avevano già svolto una ctu contabile in primo grado e che erano stati incaricati di un supplemento in sede di appello) e, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il Ministero al pagamento delle somme specificamente indicate in dispositivo per ciascun attore.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dello Sviluppo Economico, con atto notificato il 30.6.2021 e affidato a cinque motivi.
Un successivo ricorso è stato proposto, con atto notificato il 26.11.2021 da (omissis) e altri 602 investitori, che si sono affidati anch’essi a cinque motivi.
Al primo ricorso hanno resistito, con controricorso, la (omissis) e gli altri 602 investitori nonché, con separati controricorsi, (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) e (omissis) (omissis) il secondo ricorso ha resistito, con controricorso il Ministero dello Sviluppo Economico.
Fissata l’odierna pubblica udienza, il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso del Ministero e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto dalla ed altri.
Sono state depositate memorie dalla (omissis) altri e dai (omissis)
RAGIONI DELLA DECISIONE
IL RICORSO PRINCIPALE DEL MINISTERO
1. La questione della tardività del ricorso (eccepita da (omissis) e altri per il fatto che la notifica è stata effettuata il 30 giugno, mentre il termine scadeva il 29 giugno, non più festivo) è superata dai precedenti richiamati dal P.G. (Cass. 5320/2020 e 5895/2015), dato che il giorno di (omissis) deve considerarsi festivo per il comune dl (omissis) e tale da comportare l’applicazione dell’art. 155, co. 4 c.p.c..
2. Con il primo motivo, il Ministero denuncia la violazione e la falsa applicazione degli 2043, 2056, 1223 c.c. e censura la Corte di appello per non avere approfondito i contenuti della sentenza di condanna generica del 2003 e per non aver tenuto conto delle non contestate deduzioni di fatto del Ministero appellato, con la conseguenza che l’accertamento del nesso causale è rimasto generico soprattutto per quanto riguarda la precisazione delle scansioni temporali della vicenda, quindi l’individuazione del momento concreto in cui poteva dirsi insorto un obbligo giuridico di agire, invece omesso dal Ministero; con il che sarebbe mancata l’analisi in concreto della stessa causalità materiale e, comunque, della causalità giuridica.
3. Con il secondo motivo, il Ministero denuncia «violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 2 n. 4 c.p.c., in relazione all’art 360 n. 4 c.p.c. (omissione totale di motivazione)», deducendo, in subordine rispetto al primo motivo, che la sentenza impugnata è viziata da motivazione apparente nel capo relativo al nesso di causalità; assume che la Corte si è limitata ad un generico richiamo al contenuto della sentenza del tribunale del 2003, senza tuttavia spiegare perché ha ritenuto sussistente un nesso di causalità giuridica tra l’intero operato Ministero e il danno subito dai fiducianti, benché fossero emersi elementi che «avrebbero potuto condurre ad escludere o a ridurre ad una limitata frazione temporale la sussistenza di obblighi del Ministero di impedire l’attività delle due società fiduciarie e con essa il nesso causale».
4. Con il terzo motivo, il Ministero deduce la violazione e la falsa applicazione degli 2043, 2697, 2704, 2719, 2909 c.c. e dell’art. 183, co. 6, n. 2) c.p.c.: lamenta che la liquidazione del risarcimento è stata compiuta in violazione delle norme sull’onere della prova, essendo state ammesse come prove -della stipula dei contratti e, soprattutto, dei versamenti- «documenti che non possono avere questa portata»; richiama la comparsa conclusionale depositata in appello con cui aveva contestato le risultanze delle CC.TT.U. (evidenziando che i consulenti non avevano individuato i documenti in base ai quali si era addivenuti ad indicare l’importo versato per il singolo attore e escludendo la possibilità dl utilizzare i dati dl una tabella “B” che era stata redatta sulla base di documenti non ritualmente acquisiti al processo e dunque non utilizzabili a fini probatori) e assume che la Corte d’appello non ha confutato espressamente tutte le anzidette contestazioni, incorrendo nella violazione delle norme richiamate in rubrica; e ciò -segnatamente- per avere violato il giudicato sulla inutilizzabilità dei documenti di cui alla tabella B e, comunque, per aver basato la propria decisione su documenti non ritualmente prodotti entro il termine ultimo fissato dall’art 183, co. 6, n. 2 c.p.c. e – altresì- per aver utilizzato copie fotografiche di scritture di cui era stata disconosciuta la conformità all’originale e di cui non era certa la data.
5. Col quarto motivo, il ricorrente denuncia, in subordine, «violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c. 2 n. 4 c.p.c., in relazione all’art 360 n. 4 c.p.c. (omissione totale di motivazione)», assumendo che, la sentenza «è viziata da omissione totale di motivazione in ordine a tutti i punti di fatto evidenziati dal Ministero allo scopo di contestare l’insufficienza probatoria del documentazione utilizzata dalle consulenti»; premesso che «il Ministero aveva dedotto che la documentazione consisteva in gran parte di mere fotocopie di contratti o dl assegni, o dl “prospetti riepilogativi” e che non vi era alcuna prova né dell’esistenza dell’originale e della rispondenza delle fotocopie a tali presunti originali né della data dei documenti in questione», sostiene che la Corte, in un siffatto contesto, avrebbe dovuto esaminare con la dovuta precisione le contestazioni mosse dal Ministero e motivare chiaramente le ragioni di fatto e di diritto per cui le riteneva superabili; il che non era avvenuto in quanto la Corte si era limitata ad una generica affermazione di condivisibilità del metodo di accertamento utilizzato dai consulenti senza spiegare «perché, anche considerato lo stato di disordine e di irregolarità della contabilità sociale delle due fiduciarie, da tali documenti potesse evincersi una prova da far valere contro un terzo “con ragionevole certezza”».
6. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli 1223, 2043 e 2056 c.c., censurando il capo della sentenza relativo alla individuazione del criterio utilizzato per la quantificazione del risarcimento, ossia il riferimento all’intera somma di cui era risultato provato il versamento, con detrazione dei soli rendimenti promessi; rileva che la Corte ha inteso il precedente di cui a Cass 7531/2009 come se prescrivesse in modo automatico e generalizzato di includere nell’ammontare del risarcimento l’intero capitale versato, anziché considerarlo come parametro di base rispetto al quale si sarebbe dovuto tener conto della elevata rischiosità degli investimenti, che escludeva ogni garanzia di rimborso integrale del capitale.
7. Il ricorso merita accoglimento, nei termini di seguito indicati.
A ragione, il Ministero ricorrente lamenta una carenza di motivazione sugli elementi documentali (e, segnatamente, sulla loro utilizzabilità e significatività) in base ai quali i consulenti d’ufficio e la Corte di Appello (che, sul punto, ha integralmente recepito la relazione di ctu) sono pervenuti a determinare gli importi versati dai singoli risparmiatori.
A fronte delle specifiche contestazioni mosse ai risultati della ctu (che il ricorrente principale riporta a pagg. 24-33 del ricorso, riproducendo ampi stralci della comparsa conclusionale), la motivazione della sentenza è limitata ad una generica affermazione di condivisibilità espressa -in due soli periodi- a pag. 40 (16 righe in tutto), con i quali la Corte di Appello omette del tutto di prendere in considerazione le contestazioni del Ministero (o, comunque, di motivarne l’infondatezza), né esplicita le ragioni per cui il metodo di accertamento seguito dai consulenti avrebbe comportato la «ragionevole certezza» dell’avvenuto versamento delle somme da parte dei fiducianti.
La evidenziata apparenza della motivazione comporta la cassazione della sentenza, con assorbimento degli ulteriori profili di censura svolti con i primi quattro motivi.
Egualmente fondata è la censura -compiuta col quinto motivo- relativa al criterio da adottare per la concreta determinazione del danno correlato al difetto di vigilanza del Ministero.
Al riguardo, la sentenza impugnata ha ritenuto che dovesse farsi riferimento, tout court, all’ammontare del capitale versato (in unica soluzione o con più versamenti) alla data della messa in l.c.a. della soc. (omissis) detratti i frutti medio tempore incassati dai risparmiatori, e con esclusione degli utili che sarebbero maturati se le somme versate fossero state investite «nell’acquisto dl BOT piuttosto che in operazioni finanziarie sul mercato azionario ed obbligazionario privato».
Tuttavia, il nesso di conseguenzialità immediata e diretta che, a norma dell’art. 1223 c.c., deve sussistere fra la condotta lesiva e li danno risarcibile impone di tener conto del “valore dell’investimento” all’epoca ln cui si è verificata la condotta lesiva (nel caso, il difetto di vigilanza da parte del Ministero e la mancata adozione delle necessarie misure a tutela dei risparmiatori), che non necessariamente corrisponde a quello dei versamenti effettuati, non potendosi escludere che lo stesso potesse essersi nel frattempo ridotto per effetto degli investimenti compiuti dalla società fiduciaria prima che sorgesse l’obbligo dei Ministero di attivarsi per impedire la prosecuzione dell’attività di raccolta del risparmio.
E’ questo, a ben vedere, li criterio indicato da Cass. n. 7531/2009, laddove afferma (a pag. 58) che «il danno, dunque, che può essere legittimamente legato alla condotta illegittima (lesiva degli altrui diritti) dell’Amministrazione, può essere solo quello della perdita del valore, alla data del fatto produttivo del danno, delle quote di investimento che le società fiduciarie avrebbero dovuto restituire»; rispetto ad esso, la successiva precisazione (secondo cui, «in mancanza, la liquidazione del danno non può che essere parametrata al valore nominale del capitale versato») vale ad individuare un criterio evidentemente residuale.
Nello specifico, invece, la Corte di Appello ha adottato senz’altro il criterio residuale, senza preoccuparsi di accertare preliminarmente se, in relazione alle singole posizioni esaminate, sussistesse la possibilità dl fare riferimento all’eventuaie minor “valore delle quote da restituire” al momento in cui è intervenuta la condotta lesiva dell’Ammlnlstrazlone, ossia di applicare il criterio principale individuato dalla cit. Cass. n. 7531/2009.
Ad un siffatto accertamento dovrà pertanto procedere la Corte di rinvio.
IL RICORSO INCIDENTALE
8. Il ricorso proposto da (omissis) + 602 altri risparmiatori (in forma autonoma, ma da considerare incidentale) è inammissibile, per le ragioni espresse dal P.M., in quanto notificato oltre i quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale (cfr. Cass., S.U. 7074/2017: «in tema processo litisconsortile, in virtù del principio di unità dell’impugnazione, il ricorso proposto irritualmente in forma autonoma da chi, ai sensi degli artt. 333 e 371 c.p.c., avrebbe potuto proporre soltanto impugnazione incidentale, per convertirsi in quest’ultima deve averne i requisiti temporali, onde la conversione risulta ammissibile solo se la notificazione del relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell’impugnazione principale; né la decadenza conseguente all’inosservanza di detto termine può ritenersi superata dall’eventuale rispetto del termine “esterno” di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., giacché la tardività o la tempestività, in relazione a quest’ultimo, assume rilievo ai soli fini della determinazione della sorte dell’impugnazione stessa in caso di inammissibilità di quella principale, ex art. 334 c.p.c.»).
Peraltro, le questioni dedotte con i cinque motivi (tutte attinenti alla liquidazione delle spese dl lite) risultano assorbite dall’accoglimento del ricorso principale.
9. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.
10. Sussistono, in relazione al ricorso incidentale, le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater dei D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, il ricorso principale, dichiarando l’inammissibilità del ricorso incidentale; cassa e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
Al sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’uiteriore importo a titolo dl contributo unificato pari a quello dovuto per il relativo ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma, 19.4.2023.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2023.