Affitta l’appartamento senza contratto e poi ne esporta gli infissi perché l’inquilino non paga: è furto? (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 7 giugno 2022, n. 21846).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente –

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere –

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere –

Dott. BRUNO Mariarosaria – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) FELICE nato a MESSINA il 06/08/19xx;

avverso la sentenza del 27/11/2020 della CORTE APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa MARIAROSARIA BRUNO.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 27/11/2020, in parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Messina, ha rideterminato la pena inflitta a (OMISSIS) Felice in quella di anni due e mesi tre di reclusione, condannando l’imputato alla rifusione delle spese di costituzione in giudizio della parte civile.

L’imputato era stato ritenuto responsabile dei reati di violenza privata, furto in abitazione, lesioni e minacce in danno dell’inquilino di un immobile di sua proprietà, a cui aveva concesso in locazione l’immobile, senza tuttavia provvedere a registrare il contratto di locazione.

2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo di difensore, articolando i seguenti motivi di doglianza:

I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 392 cod. pen. per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Riguardo alla rimozione ed asportazione degli infissi della casa, la difesa lamenta che non avrebbe potuto configurarsi al fattispecie del furto in capo all’imputato, bensì quella dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

La Corte di merito offrirebbe sul punto una risposta non corretta, dovendo invece ritenersi che l’imputato fosse titolare di un diritto astrattamente tutelabile innanzi al giudice civile.

Ed invero, se il contratto di locazione non esiste, l’occupazione è sine titulo ed il proprietario può agire in giudizio per ottenere un provvedimento di rilascio.

II) Violazione dell’art. 624-bis cod. pen.; omessa motivazione.

La difesa aveva rappresentato, in ordine al furto dei gioielli, che il fatto risultava commesso in data 26/5/2014.

Tuttavia, di tale episodio non vi era traccia nella denuncia sporta in data 28/5/2014.

Si menziona il furto solo in data 29/5/2014.

La corte di appello non si confronta con tali circostanze, trascurando anche di considerare che nessuna indagine è stata compiuta sul punto.

III) e IV) Violazione e falsa applicazione dell’art. 393 cod. pen.; manifesta illogicità della motivazione.

Anche il reato sub capo f) della rubrica (lesioni personali) avrebbe dovuto essere qualificato ai sensi dell’art. 393 cod. pen., con assorbimento delle lesioni nella fattispecie invocata.

V) Violazione e falsa applicazione dell’art. 614 cod. pen.

Anche il fatto sub capo c) della rubrica andava riqualificato ai sensi degli artt. 56 e 392 cod. pen.

3. Nei termini di legge ha rassegnato conclusioni scritte per l’udienza camerale senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020) il P.G., che ha richiesto l’inammissibilità del ricorso.

La difesa dell’imputato ha depositato memoria di replica alle conclusioni del P.G., rappresentando quanto segue.

In relazione al primo motivo di ricorso [violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo b) – limitatamente all’asportazione della porta di ingresso e degli infissi esterni ed interni – erroneamente qualificato come furto in abitazione aggravato anziché come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose], il PG richiama Cass. pen. Sez. 5 n. 2819 del 24/11/2014, Rv. 263589, che, tuttavia, ha riguardato una fattispecie del tutto diversa da quella in esame.

Con tale sentenza, la Suprema Corte affronta il caso in cui dei soggetti, incaricati della realizzazione di alcuni cancelli, dopo averli collocati, non essendo state loro corrisposte le somme dovute, li avrebbero rimossi.

La Suprema Corte, con la sentenza sopra richiamata, afferma che “la risoluzione del contratto a titolo oneroso comporta, oltre al risarcimento del danno a favore della parte non inadempiente, la restituzione delle prestazioni eseguite da entrambe le parti, a condizione – però – che le restituzioni siano possibili.

Ove le restituzioni non siano attuabili giuridicamente o materialmente – il che avviene frequentemente nei contratti d’appalto e in quelli d’opera, in cui l’oggetto del contratto è dato da un opus che entra, con l’esecuzione, a far parte della sfera patrimoniale del committente e viene incorporato nella sua proprietà – la parte inadempiente, nell’impossibilità di restituire l’acceptum, deve corrisponderne il valore al momento della pronuncia di risoluzione, oltre a risarcire il danno provocato dall’inadempimento”.

In altre parole, a seguito del contratto d’opera, il bene fornito entra nella proprietà del committente ed il prestatore d’opera può solo richiedere il prezzo e non anche la restituzione del bene.

Nella specie, viceversa, il ricorrente poteva senz’altro rientrare nel possesso del suo bene (l’abitazione).

Non essendo stato stipulato un contratto di locazione, non è sostenibile che lo Spartà avesse perso la disponibilità dell’immobile di sua proprietà.

L’assunto sostenuto dalla Corte di merito, secondo cui non sussiste il presupposto che legittimava il ricorrente ad ottenere la restituzione del bene è palesemente erroneo e stride con i consolidati principi giuridici delle Sezioni Unite Civili della suprema Corte (sul punto si rimanda alla nota sentenza delle Sezioni Unite Civili n° 7305/2014, secondo cui “non è azione di restituzione ma di rivendicazione quella con cui l’attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l’occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto”).

Pertanto, nella specie, lo (OMISSIS) Felice ben avrebbe potuto ricorrere al Giudice civile al fine di vedersi riconosciuto il diritto a rientrare nel possesso dell’immobile e sfrattare l’inquilino che voleva locupletare a suo danno, pretendendo di rimanere nell’immobile senza corrispondergli il canone.

Il secondo motivo, riguardante l’assenta asportazione dei gioielli, contrariamente a quanto sostenuto dal Procuratore Generale, non è inammissibile.

L’abusivo detentore dell’immobile, attraverso la tardiva denunzia della sparizione di non meglio specificati gioielli (i quali non si sa nemmeno se appartenessero alla Tarantino o al (OMISSIS)) ha voluto vendicarsi dello “sgarbo” subito.

La Corte territoriale non si è confrontata con le specifiche doglianze contenute nel corrispondente motivo di appello.

Relativamente ai restanti motivi di ricorso, basterà osservare come la Corte territoriale muova dal presupposto erroneo che la pretesa fatta valere dal sig. (OMISSIS) non sia azionabile in giudizio.

Si richiamano, in senso contrario, gli arresti giurisprudenziali delle Sezioni penali della Suprema Corte, tra cui Sez. 6, n. 1421 del 09/12/1998, Rv. 212553 – 01 che ha ritenuto la sussistenza del reato di ragion fattasi nel comportamento di colui che agisca mediante violenza sugli occupanti di un immobile al fine di recuperarne la disponibilità ed in conseguenza del persistente stato di morosità del conduttore; Sez. 6, n. 10066 del 18/01/2005, Rv. 230886 – 01, secondo cui «risponde del reato di cui all’art. 392 cod. pen. il proprietario di un immobile che, una volta scaduto il contratto di locazione, di fronte all’inottemperanza del conduttore dell’obbligo di rilascio, anziché ricorrere al giudice con l’azione di sfratto, si fa ragione da sé, sostituendo la serratura della porta di accesso e apponendovi un lucchetto»; Sez. 6, n. 41675 del 08/05/2012, Rv. 253717 – 01, secondo cui «integra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, la condotta del proprietario che disdica i contratti di fornitura delle utenze domestiche -a lui intestate- relative ad un appartamento dato in locazione, al fine di accelerare le attività di rilascio dell’immobile da parte del conduttore, in quanto detta condotta realizza la violenza sulla cosa attraverso un mutamento di destinazione dei beni portati dalle dette utenze, ed è attuata nonostante la possibilità di azionare il diritto al rilascio dell’appartamento attraverso il ricorso al giudice»; Sez. 6, n. 3348 del 14/11/2017, Rv. 272122 – 01, così massimata: «integra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta del locatore che, a seguito del decesso del conduttore e della mancata restituzione dell’immobile da parte dell’erede, riacquisti il possesso dell’immobile sostituendo la serratura della porta d’ingresso, anziché esperire l’azione di rilascio per occupazione “sine titulo” nei confronti del successore del conduttore, divenuto detentore precario del bene».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è parzialmente fondato e la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Messina per le ragioni di seguito illustrate.

Occorre preliminarmente richiamare lo svolgimento dei fatti per una migliore comprensione della vicenda e inquadramento delle questioni di diritto poste in rilievo nel ricorso.

(OMISSIS) Felice aveva concesso in locazione un immobile di sua proprietà ad un affittuario, (OMISSIS) Giuseppe, mancando di registrare il contratto.

L’inquilino, appresa la notizia della mancata registrazione, si rifiutò di corrispondere il canone pattuito, permanendo nell’immobile.

Da questo stato di cose scaturirono una serie di reazioni violente e minacciose da parte del proprietario, il quale, sulla base di quanto accertato a seguito della compiuta istruttoria dibattimentale, oltre ad aggredire e minacciare l’inquilino, entrò in casa sottraendo alcuni oggetti di valore di proprietà di quest’ultimo ed asportando gli infissi presenti nell’abitazione.

Il Tribunale di Messina ritenne l’imputato responsabile dei delitti di minaccia [capi a) e d) dell’imputazione]; furto in abitazione aggravato ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 2) cod. pen. [capo b) della imputazione in cui era contestato, oltre all’impossessamento di gioielli, anche l’asportazione degli infissi interni ed esterni dell’appartamento); tentata violazione di domicilio [capo c) dell’imputazione]; lesioni aggravate dall’uso di un’arma impropria [capo f) dell’imputazione].

La Corte d’appello ha confermato la pronuncia di primo grado in punto di responsabilità, riformando esclusivamente il trattamento sanzionatorio in senso più favorevole all’imputato.

Tutto ciò premesso, risulta parzialmente fondato il primo motivo di ricorso in relazione alla condotta di asportazione degli infissi presenti nella casa concessa in locazione.

E’ acclarato, sulla base delle prove raccolte, di cui forniscono ampia giustificazione i giudici di merito, che il ricorrente abbia asportato gli infissi presenti nell’abitazione locata al (OMISSIS).

Ebbene, con riferimento a tale segmento di condotta, la Corte d’appello, conformemente al giudice di primo grado, ha ritenuto di ravvisare in atti la fattispecie del reato di furto, rigettando la richiesta della difesa di riqualificare la condotta ai sensi dell’art. 392 cod. pen.

Si legge in motivazione che la proprietà del bene in capo all’autore del fatto non sarebbe elemento dirimente al fine di escludere il reato di furto.

Ed invero, si afferma, il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà, ma anche nel semplice possesso, a prescindere dalla esistenza di uno specifico titolo giuridico.

La motivazione offerta sul punto, tuttavia, non è convincente.

Altre sentenze di questa Corte hanno tracciato gli elementi distintivi fra il reato di furto e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma sempre sul presupposto che si trattasse di cose altrui (Sez. 5, n. 55026 del 26/09/2016, Degasperi, Rv. 268907; Sez. 5, n. 32383 del 19/02/2015, Castagna, Rv. 264349; Sez. 5, n. 4975 del 13/12/2006, dep. 2007, Gobetti, Rv. 236316).

La pronuncia pertinente al caso di specie è quella delle Sezioni unite “Sciuscio” (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255975).

Chiamate a dirimere due questioni controverse nella giurisprudenza di legittimità, non rilevanti in questa sede, le Sezioni unite hanno osservato che «l’evocazione dell’altruità del bene vale ad escludere la rilevanza penale della sottrazione della res propria.

Tale soluzione di un tema classicamente controverso trova peraltro conforto anche nell’art. 627 cod. pen. che punisce la sottrazione di cosa comune con una pena più lieve di quella prevista per il reato di furto di cui all’art. 624 cod. pen.; e sarebbe irrazionale punire con la più severa sanzione prevista da tale ultima fattispecie una condotta sicuramente meno grave, costituita dalla sottrazione compiuta da chi ha la piena proprietà della cosa [….] La fattispecie protegge ad un tempo la detenzione qualificata, nonché la proprietà e le altre situazioni giuridiche cui si è già ripetutamente fatto cenno.

Tale duplicità viene in evidenza, per quel che qui interessa, quando situazioni giuridiche soggettive e situazioni fattuali fanno capo a diverse persone.

In tal caso, la lesione del bene giuridico è duplice: proprietario e possessore in senso penalistico sono persone offese e legittimate a proporre querela» (sulla base di tale principio è stata riconosciuta al responsabile di un supermercato la legittimazione a proporre querela).

In altra precedente sentenza questa Corte aveva già escluso che il proprietario che non abbia il possesso della cosa possa commettere furto (Sez. 5, n. 46308 del 24/10/2007, Giove, Rv. 238292: “Difetta il requisito dell’altruità della cosa, richiesto per la configurabilità del reato di furto, qualora l’agente, proprietario di prodotti semilavorati consegnati per l’ulteriore lavorazione ad altro soggetto, li sottragga a quest’ultimo dopo che la detta lavorazione sia stata effettuata”).

Pertanto, diversamente da quanto ritenuto in sentenza deve escludersi che la sottrazione della res di proprietà dell’autore possa configurare la fattispecie del furto.

L’avvenuta sottrazione deve essere inquadrata nel più ampio contesto in cui venne a realizzarsi il fatto, tenendo conto che la reale intenzione del ricorrente, all’atto dello spoglio, era quella di rendere inabitabile l’appartamento, ottenendo, in tal modo, il suo rilascio.

Vengono qui in rilievo diverse fattispecie concrete di cui si è occupata questa Corte in varie pronunce assimilabili al caso in esame, nelle quali è stata individuata la ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 392 cod. pen.; si citano, in proposito, Sez. 6, n. 10066 del 18/01/2005, Rv. 230886: «risponde del reato di cui all’art. 392 cod. pen. il proprietario di un immobile che, una volta scaduto il contratto di locazione, di fronte all’inottemperanza del conduttore dell’obbligo di rilascio, anziché ricorrere al giudice con l’azione di sfratto, si fa ragione da sé, sostituendo la serratura della porta di accesso e apponendovi un lucchetto», Sez. 6, n. 3348 del 14/11/2017, Rv. 272122: «integra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta del locatore che, a seguito del decesso del conduttore e della mancata restituzione dell’immobile da parte dell’erede, riacquisti il possesso dell’immobile sostituendo la serratura della porta d’ingresso, anziché esperire l’azione di rilascio per occupazione “sine titulo” nei confronti del successore del conduttore, divenuto detentore precario del bene».

Quanto alla possibilità di far valere in giudizio la pretesa del locatore di ottenere in restituzione l’immobile occorre puntualizzare quanto segue.

In tema di locazione abitativa le Sezioni Unite civili di questa Corte hanno stabilito il seguente principio:

Il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta ex art. 1, comma 4, della I. n. 431 del 1998 è affetto da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, attesa la “ratio” pubblicistica del contrasto all’evasione fiscale; fa eccezione l’ipotesi prevista dal successivo art. 13, comma 5, in cui la forma verbale sia stata abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso il contratto è affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore” (Sez. U, n. 18214 del 17/09/2015 (Rv. 636227 – 01).

Il principio è stato poi ripreso da altra recente pronuncia (Sez. III civile n. 9475/21), in cui si è precisato che l’art. 13, comma 6, della legge n. 431 del 1998, come sostituito dall’art. 1, comma 59, della legge n. 208 del 2015, si applica anche ai contratti stipulati in data antecedente al 1° gennaio 2016 e si ribadisce che, ove la condizione della forma verbale sia stata imposta dal locatore, il contratto è affetto da invalidità relativa, azionabile dal solo conduttore.

In base a tanto, poiché risulta che la mancata formalizzazione del contratto è stata imposta dal locatore, la nullità del contratto non poteva essere azionata in giudizio dal ricorrente.

E’ vero, però, che l’occupazione dell’immobile da parte dell’inquilino con la mancata corresponsione dei canoni di locazione pattuiti dà luogo alla possibilità giudiziale di ottenere presso il giudice civile il rilascio dell’immobile.

Pertanto, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, esisteva una pretesa astrattamente tutelabile da parte del ricorrente.

Da quanto precede consegue l’annullamento della sentenza limitatamente alla condotta contestata al capo B) della rubrica riguardante l’asportazione degli infissi dell’abitazione.

2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile: la Corte di merito ha illustrato in modo puntuale le ragioni fondanti il convincimento dell’attendibilità della persona offesa, ponendo in evidenza come la stessa abbia analiticamente descritto i gioielli mancanti ed abbia immediatamente rappresentato all’Appuntato (OMISSIS), intervenuto sul posto, l’accertata sottrazione.

I rilievi difensivi sono generici e ripropositivi di doglianze del tutto correttamente vagliate dai giudici di merito.

2.1 Del pari inammissibili sono il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

La Corte di merito, nel rigettare la richiesta di diversa qualificazione del fatto, ha ben argomentato sul punto, facendo rilevare come le lesioni cagionate alla persona offesa (“trauma cranico minore con ferita I.c. regione parieto-occipitale dx, trauma reg. orbitaria sx con ematoma palpebrale ed emorragia sottocongiuntivale, frattura dell’arco zigomatico di sx, trauma contusivo reg. scapolare sx, feria Ic. da morso umano 3° medio braccio dx, escoriazione gomito e ginocchio dx e sx, lesioni da graffio reg. lombare dx”), giudicate guaribili in giorni 20 salvo complicazioni, siano dotate di propria autonomia, concorrendo con il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (cfr. ex multis Sez. 5, n. 13546 del 10/02/2015, Rv. 263083:”Sussiste l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. nell’ipotesi in cui si verifichino delle lesioni nello esplicarsi della violenza posta in essere per commettere il reato di cui all’art. 393 cod. pen. e finalizzata a cagionare l’evento delle lesioni stesse, poiché in tal caso non si attua alcun assorbimento dell’un reato nell’altro”; Sez. 6, n. 12411 del 27/09/1985, Rv. 171439: “In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la violenza alle persone che ecceda i limiti del delitto di percosse e produca lesioni personali, dà luogo ad altro reato autonomo, concorrente con quello di cui all’art. 393 cod. pen.”).

2.2 Egualmente inammissibile è il quinto motivo di ricorso: il diritto di escludere la presenza di altri all’interno del domicilio spetta anche all’occupante sine titulo [cfr. Sez. 5, n. 30742 del 12/04/2019 Rv. 276907 — 01: «Ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio, l’occupazione non coperta da valido titolo non esclude in capo all’occupante l’esercizio dello “ius excludendi“, quando le particolari modalità con cui si è svolto il rapporto con il titolare del diritto sull’immobile consentono di ritenere quel luogo come l’effettivo domicilio dell’occupante medesimo (Fattispecie nella quale l’occupante non aveva liberato l’immobile su richiesta del proprietario il quale, dopo avere acconsentito per un certo periodo all’uso del medesimo quale abitazione dell’occupante, vi si era introdotto, gettando in strada i suoi oggetti e aveva chiuso con un lucchetto il cancello d’ingresso)»].

Inoltre, è del tutto inconferente il richiamo all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non comprendendosi il legame esistente tra la condotta dell’introduzione nell’abitazione della persona offesa ed il preteso diritto vantato (cfr. Sez. 6, n. 9530 del 20/01/2009, Rv. 244285: «L’assorbimento del reato di violazione di domicilio in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si verifica solo quando l’esercizio del preteso diritto si concreta nel semplice ingresso e nella sola permanenza “invito domino” nell’altrui abitazione, ovvero negli altri luoghi indicati nell’art. 614 cod. pen., mentre se l’agente vi si introduce con violenza sulle cose o sulle persone, e contro la volontà del titolare del diritto di esclusione, al fine di asportare cose su cui egli vanta un diritto, viola entrambe le ipotesi delittuose su menzionate»).

3. In ragione di quanto illustrato in precedenza la sentenza impugnata è annullata in relazione al capo b) della rubrica limitatamente alla condotta concernente l’asportazione degli infissi dall’immobile con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Messina.

Il ricorso è dichiarato inammissibile nel resto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata relativamente al capo B, nei termini di cui in motivazione, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Messina.

Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Così deciso in data 1 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.