Agente della Polizia di Stato si trattiene il contenuto di un portafoglio consegnatogli da un tassista. Condannato per peculato (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 21 febbraio 2023, n. 7572).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSTANZO Angelo – Presidente –

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – Rel. Consigliere –

Dott. SILVASTRI Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) Giovanni, nato a Cassino il 19/04/19xx;

avverso la sentenza del 15/03/2022 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Ercole Aprile;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa Antonietta Picardi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità/il rigetto del ricorso;

udito l’avv. Nicola (OMISSIS), difensore del ricorrente, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado del 18 marzo 2021 con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano aveva condannato Giovanni (OMISSIS) in relazione ai reati:

– di cui all’art. 314 cod. pen., per essersi, il 30 giugno 2019 – quale pubblico ufficiale, in quanto agente della polizia di Stato in servizio presso il corpo di guardia all’ingresso di via Fatebenefratelli della questura di Milano – appropriato del portafoglio Prada di proprietà di Andrea (OMISSIS), di cui aveva la disponibilità in ragione del suo ufficio per averlo ricevuto (tra le 20.52 e le 20.54 di quello stesso giorno) in consegna da Matteo (OMISSIS), che il portafoglio aveva rinvenuto a bordo del proprio taxi (capo a);

– di cui agli artt. 81, 110, 479 in relazione all’art. 476, primo e secondo comma, cod. pen., 61, primo comma, n. 2, cod. peri., per avere, il 1° luglio 2019, nella veste sopra indicata, in concorso con l’agente Piero (OMISSIS) – anche al fine di occultare le condotte di appropriazione, per conseguire l’impunità e assicurarsi il profitto del reato sub capo a) – formato due atti pubblici ideologicamente falsi (un verbale di rinvenimento e conservazione di un portafoglio e un verbale inerente al rinvenimento di un portafoglio) nei quali aveva attestato falsamente di aver rinvenuto, alle 23.40 del giorno precedente, in prossimità dell’ingresso della questura, il portafoglio del (OMISSIS) contenente i documenti e 10 euro, laddove il portafoglio, che gli era stato consegnato in altro orario dal suddetto tassista, conteneva la somma di 250 euro (capo b);

– ed ancora, di cui agli artt. 110, 375, primo comma, lett. a), e secondo comma, 61, primo comma, n. 2, cod. pen., per avere, lo stesso 1° luglio 2019, sempre nella qualità indicata e in concorso con il (OMISSIS), immutato il corpo di reato sostituendo il portafoglio marca Prada di proprietà del (OMISSIS) con altro portafoglio di marca Fossil, nonché falsificato il contenuto dei due atti pubblici innanzi descritti, al fine di impedire, ostacolare o sviare le indagini a loro carico in ordine agli altri due reati commessi (capo c).

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il (OMISSIS), con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti motivi.

2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 15 e 375 cod. pen., 649 cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna anche in relazione al reato del capo d’imputazione c), benché non vi fossero indagini già in corso ovvero indagini connesse alla sua qualità di agente della polizia di Stato (considerato che il portafoglio in questione non era corpo del reato e che il (OMISSIS) non stava svolgendo investigazioni rispetto alle quali si sarebbe potuto ipotizzare un ‘depistaggio’); nonché per avere ritenuto erroneamente il concorso tra i fatti contestati in tale capo c) e i falsi ideologici addebitati al capo b).

2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen., 111 Cost., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento delle prove, per avere la Corte distrettuale, senza neppure integrare il materiale probatorio, omesso di rispettare il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, valutando a carico dell’imputato, con argomentazioni ipotetiche e congetturali, elementi indiziari qualificati da scarsa capacità dimostrativa; nonché dando per scontate circostanze non confermate (quale la preordinazione dell’operazione da parte dell’agente e la disponibilità esclusiva del portafoglio da parte dell’imputato), nel contempo sminuendo la portata di dati informativi certi favorevoli al prevenuto (quali la mancanza di un obbligo di identificazione dei visitatori della questura e le immagini riprese dalla telecamera di servizio, che avevano certificato come il (OMISSIS) avesse lasciato il portafoglio nel gabbiotto di guardia dove vi erano altri agenti).

2.3. Violazione di legge, in relazione all’art. 192 e 309 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di merito tradito il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio nel valutare diversamente posizioni analoghe; nonché per avere omesso di rispondere alle censure difensive inerenti alla pozione dell’agente Mario (OMISSIS), che per un’intera notte aveva avuto la materiale disponibilità del portafoglio in questione e che della relativa marca non aveva fatto menzione negli atti di servizio a sua firma: non potendosi, dunque, escludere che il portafoglio consegnato al (OMISSIS) fosse quello Prada e non anche quello Fossil.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell’interesse di Giovanni (OMISSIS) sia inammissibile.

2. Il primo motivo del ricorso è inammissibile perché in parte avente ad oggetto una questione di diritto – quella di un asserito rapporto di specialità tra le fattispecie contestate nei capi d’imputazione b) e c) – che, nei termini formulati nell’atto di impugnazione oggi in esame, risultano non dedotte con l’atto di appello, con il quale l’imputato si era limitato, nelle conclusioni, molto genericamente a chiedere l’assoluzione anche dal reato del capo d’imputazione c).

L’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un capo o ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.

Per il resto il primo motivo del ricorso, nella parte in cui è stata denunciata una errata qualificazione giuridica del fatto – questione non dedotta nell’atto di appello, ma comunque rilevabile anche d’ufficio – è manifestamente infondato.

Del tutto prive di pregio appaiono, infatti, le affermazioni difensive secondo le quali il reato di depistaggio previsto dall’art. 375 cod. pen. non potrebbe essere, in ogni caso, configurabile nel caso di specie perché il portafoglio oggetto della sostituzione non era “corpo di reato” in un procedimento penale già in corso, perché l’imputato non era un pubblico ufficiale incaricato delle investigazioni, né queste ultime erano state formalmente ancora avviate.

Nella giurisprudenza di legittimità si è chiarito, in generale, che il delitto di depistaggio materiale postula, sul piano oggettivo, l’esistenza di un nesso tra il fatto realizzato dal soggetto agente e il pubblico ufficio o servizio di cui lo stesso è investito, non essendo però necessario che il pubblico ufficiale sia stato incaricato di specifici accertamenti rispetto a reati (in questo senso Sez. 6, n. 34271 del 27/04/2022, Paccione, Rv. 283727).

Tuttavia, dalla lettera della norma incriminatrice si evince che per la sussistenza del reato in esame non è richiesto espressamente che il depistaggio riguardi una indagine o un procedimento penale già “in corso”: di talché è ragionevole ritenere che mentre le condotte di “ostacolo” o di “sviamento” non possono che riguardare un procedimento penale già avviato, quella di “impedire” – anche mediante la immutazione di un oggetto (nel caso di specie, mediante la sostituzione di quello che era stato indicato come il potenziale corpo di reato del peculato) o la formazione di un falso documento – ben possa riguardare anche un procedimento penale ancora da avviare, ovviamente a condizione che le condotte siano idonee a generare un pericolo di inganno ovvero a condizionare l’accertamento della verità processuale (in questo senso Sez. 6, n. 23375 del 10/07/2020, M., Rv. 279601-02).

Della correttezza di tale impostazione si ha conferma all’esito dell’esegesi dell’art. 374 cod. pen., cui l’art. 375 cod. pen. si riconnette, che disciplina la fattispecie di frode processuale, la cui disposizione precisa che, a differenza della frode in un procedimento civile o amministrativo configurabile solamente se il procedimento è «in corso», nel caso di procedimento penale il reato di frode processuale (che può essere commesso da «chiunque») sussiste anche «anteriormente ad esso»: distinzione che non è espressamente riproposta nel testo dell’art. 375 cod. pen., perché per il reato proprio di depistaggio non vi era necessità di operare quella distinzione rispetto a procedimenti di natura diversa da quello penale, nel quale la formula di legge è molta ampia, e non vi è ragione per assegnare alla relativa norma una portata applicativa più angusta rispetto a quella riconosciuta alla norma dell’art. 374 dello stesso codice.

Sicché mentre è ragionevole ritenere che, in pendenza di indagini già avviate o di un procedimento penale pendente, occorra sempre l’esistenza di una correlazione funzionale tra la funzioni svolte dall’agente e le specifiche investigazioni in corso (cui fa significativamente riferimento, in una peculiare fattispecie, la sentenza Sez. 6, n. 24557 del 30/03/2017, Mastrocinque, non massimata, richiamata nel ricorso oggi in esame), tale requisito non è indispensabile laddove – come nel caso di specie è accaduto – la condotta ‘depistante’ sia posta in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio in occasione dell’esercizio delle funzioni di quell’ufficio o di quel servizio, sia pur anteriormente all’avvio delle indagini ovvero prima della formale apertura di un procedimento penale.

Ed è indubbio che l’immutazione materiale di un bene asseritamente smarrito preso in consegna dall’agente di polizia nell’esercizio delle funzioni e la connessa redazione da parte del prevenuto di verbali contenenti mendaci attestazioni circa i tempi e le modalità di un inesistente casuale rinvenimento di quel bene, sono condotte che, pur non collegabili funzionalmente ad indagini o ad un procedimento penale già in corso, sono comunque correlabili funzionalmente ai compiti assegnati a quel pubblico ufficiale.

3. Il secondo e il terzo motivo del ricorso, tra loro connessi e perciò esaminabili congiuntamente, non superano il vaglio preliminare di ammissibilità, in parte perché manifestamente infondati e in parte perché presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.

3.1. La doglianza difensiva riguardante la violazione di legge dedotta in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. (con il correlato richiamo anche dei principi sanciti dall’art. 111 Cost.) è inammissibile in quanto è pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che la violazione degli artt. 192, 530, 533 o 546 cod. proc. pen., non comporta ex se la operatività di alcune delle sanzioni processuali previste dall’art. 606, comma 1, lett. c) dello stesso codice di rito, mentre in presenza di doglianze che riguardano la ricostruzione del fatto e non anche una reale assenza della motivazione, le relative questioni refluiscono nell’esame dei prospettati vizi di motivazione (in questo senso, tra le tante, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04).

Del tutto fuor di luogo nonché indeterminata è, poi, la prospettata violazione dell’art. 309 cod. proc. pen., che attiene al procedimento di impugnazione incidentale attivato con la presentazione di una richiesta di riesame di un provvedimento applicativo di una misura cautelare personale coercitiva.

3.2. Generica e formulata in maniera solo incidentale è la doglianza relativa alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, peraltro avanzata nell’ambito di un giudizio abbreviato d’appello, nel quale è pacifico come le parti siano titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice “ex officio“: atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (in questo senso, tra le molte, Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, Granato, Rv. 282585).

3.3. Quanto alle doglianze dedotte ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., va rilevato come il ricorrente solo formalmente abbia denunciato una serie di vizi di carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della decisione gravata, senza però prospettare alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né essendo stata lamentata una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza di dati informativi desumibili dalle carte del procedimento capaci di far emergere una decisione finale incongrua.

Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Milano aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite.

E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un reale ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è stato presentato per sostenere in pratica una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.

In altri termini, i rilievi formulati con il ricorso si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all’iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale vi è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all’attenzione della Corte distrettuale.

In particolare, i giudici di merito hanno chiarito, con motivazione che resta esente da qualsivoglia censura di manifesta illogicità, come la prova della colpevolezza del (OMISSIS) in ordine ai delitti a lui contestati fosse desumibile da una pluralità di elementi indiziari che, letti in maniera congiunta, avevano consentito di ritenere dimostrata la sua colpevolezza.

In dettaglio, è stata sottolineata la obiettiva falsificazione ad opera dell’odierno ricorrente dei verbali redatti il 1° luglio 2019, descrittivi in maniera mendace delle modalità di ritrovamento casuale del portafoglio, nei quali, oltre ad un orario difforme da quello reale, era stata omessa la indicazione dell’avvenuta consegna, la sera prima, dello stesso portafoglio da parte del tassista (OMISSIS), in modo tale da evitare che questi potesse essere successivamente sentito: dati indicativi della volontà del (OMISSIS) di evitare di poter essere smentito sulle caratteristiche e sul contenuto dell’oggetto da lui consegnato all’ufficio reperti, dunque indizio logicamente indicativo della esistenza di una sua preordinata volontà di appropriarsi, sperando di non correre particolari rischi, di un portafoglio di valore e della quasi totalità del danaro nello stesso contenuto.

Inoltre, si è convincentemente sottolineato che il (OMISSIS) aveva provato a sostenere di non essersi occupato della consegna del portafoglio all’addetto dell’ufficio reperti, asserendo di essersi limitato a sottoscrivere distrattamente i verbali redatti dal collega (OMISSIS), venendo però significativamente smentito da quell’addetto il quale aveva riferito che il portafoglio gli era stato portato anche dal (OMISSIS): circostanza, questa, sintomatica del maldestro tentativo del prevenuto (unica persona realmente interessata alla falsificazione di quei verbali) di non aver più neppure visto quel portafoglio dopo averlo asseritamente lasciato nel gabbiotto di guardia.

Ricostruzione che, peraltro, l’imputato aveva finito per sconfessare, nel momento in cui, nel corso del suo interrogatorio, aveva ammesso di aver controllato, prima di sottoscriverli, che quei verbali descrivessero analiticamente quanto contenuto nel portafoglio, operazione che era possibile fare solo avendo a disposizione tale oggetto ed avendone verificato il contenuto: sicché, se davvero in buona fede e se, come ha provato a far credere, il portafoglio fosse stato sostituito da altri agenti all’interno del gabbiotto di guardia, il (OMISSIS) si sarebbe accorto in quel momento che il portafoglio non era più quello con la vistosa fascia arancione che gli era stato consegnato dal tassista, ma che lo stesso era stato sostituito con un più dozzinale portafoglio.

Il che lascia ragionevolmente intendere – hanno perspicuamente sottolineato i giudici di merito – che l’imputato avesse già provveduto a sostituire il portafoglio Prada con quello Fossil, nel quale aveva spostato i documenti del (OMISSIS), in maniera da effettuare alla presenza del collega, ai fini della redazione del relativo verbale, una verifica del contenuto di un oggetto oramai diverso da quello di cui era entrato in possesso, che sarebbe stato poi materialmente passato, ben tre ore dopo, all’addetto all’ufficio reperti.

In tale contesto, la Corte territoriale ha, altresì, adeguatamente spiegato come l’assenza di uno specifico obbligo di identificare tutte le persone che si avvicinano alla guardiola della questura fosse elemento irrilevante nel caso di specie, dato che il (OMISSIS) avrebbe dovuto, come da prassi oltre che come da logica, e come comunque prescritto dalle regole di vigilanza della questura, identificare la persona che gli aveva consegnato un oggetto indicato come smarrito e preso in custodia da un pubblico ufficiale; e come il fatto che dalle immagini della videoregistrazione era stato possibile accertare che la sera del 30 giugno 2019 il (OMISSIS), dopo aver ricevuto il portafoglio dal tassista, era entrato nel gabbiotto di guardia, uscendone poco meno di un minuto dopo senza quell’oggetto, non consentisse affatto di ritenere riscontrata la versione difensiva (peraltro offerta in un momento molto avanzato del procedimento) secondo cui l’imputato avrebbe lasciato il portafoglio in quel vano, di cui altri agenti si sarebbero potuti appropriare, pure scambiato il portafoglio: essendo, invece, più che plausibile – hanno efficacemente concluso i giudici di merito – che il portafoglio in questione non fosse mai uscito dalla diretta disponibilità dell’odierno imputato.

4. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 27/01/2023.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.