Anche la Cassazione può incorrere in un errore causato da una svista o da un equivoco nella lettura degli atti interni al giudizio stesso (Corte di Cassazione, Sezione II penale, Sentenza 20 febbraio 2020, n. 6752).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D’AMBROSIO GIORGIO nato il xx/xx/xxxx a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 30/01/2019 della CORTE DI CASSAZIONE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Piero MESSINI D’AGOSTINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Renato FINOCCHI GHERSI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore avv. Cataldo Domenico INTRIERI, anche in sostituzione dell’avv. Giuseppe AMICARELLI, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 16852/19, emessa in data 30/1/2019, la Sesta Sezione di questa Corte dichiarava inammissibile il ricorso proposto da Giorgio D’Ambrosio (e da altro ricorrente) contro la sentenza del 6/5/2016 con la quale – per quanto qui rileva – la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto l’imputato colpevole anche del reato di corruzione contestato al capo R).

2. Giorgio D’Ambrosio, a mezzo dei propri difensori, propone ricorso per cassazione ex art. 625 bis cod. proc. pen.

La difesa osserva che la Suprema Corte, con la sentenza impugnata, ha disatteso il primo motivo con il quale si era lamentata la mancata rinnovazione della istruzione dibattimentale, secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite, affermando che non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, quando la deposizione è valutata in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, ma il suo significato probatorio sia diversamente apprezzato nel rapporto con le altre prove ovvero vi sia una differente interpretazione della fattispecie concreta, fondata su una complessiva valutazione dell’intero compendio probatorio.

Richiamati questi principi, la sentenza ha rilevato che, in relazione al capo R), la Corte di appello “ha valutato la deposizione del Rossi in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, diversificando soltanto l’apprezzamento della rilevanza penale di quanto emergente dal compendio probatorio”.

Confrontando in via sistematica la diversa valutazione operata nei due giudizi di merito della deposizione resa dal teste Rossi, emerge una incontrovertibile asimmetria sotto il profilo contenutistico, rilevante nella prospettiva del ricorrente in quanto intervenuta su di una prova dichiarativa che aveva contribuito a determinare in modo decisivo, attraverso un diverso giudizio di attendibilità, la condanna dell’imputato per il reato di corruzione di cui al capo R), per il quale in primo grado vi era stata assoluzione.

La Suprema Corte, dunque, è caduta in un errore percettivo, avendo in primo luogo “travisato il reale contenuto delle dichiarazioni del teste Rossi”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto privo di ogni fondamento.

2. Secondo il diritto vivente, l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dalla inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso.

Pertanto, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, così come sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie (Sez. U, n. 13199 del 21/07/2016, dep. 2017, Nunziata, Rv. 269789, in motivazione; Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280).

3. Nel caso di specie il ricorrente lamenta un travisamento della prova nella sentenza di legittimità, che non può essere fatto valere e nel contempo evidenzia di fatto l’assenza di un errore percettivo, in quanto la Corte di cassazione ha espressamente considerato la deposizione del teste Rossi, evidentemente filtrata dalle motivazioni delle sentenze e dai motivi di ricorso, ritenendo, con un giudizio insindacabile, che i due giudici di merito non avessero diversamente valutato l’attendibilità del testimone.

Si consideri, peraltro, che il ricorrente ha richiamato un brano della decisione di primo grado ove il Tribunale sintetizzava in poche righe, su un punto, la deposizione del teste (pag. 16), mentre ha estrapolato una valutazione della Corte di appello in ordine all’attività svolta dallo stesso Rossi, espressa senza specifico riferimento alla sua deposizione (pag. 10).

Il ricorso, poi, ha riportato la motivazione della sentenza impugnata in modo incompleto.

Nella sentenza si legge, infatti, che «in relazione al capo R), la deduzione difensiva è genericamente formulata. In ogni caso, la Corte di appello ha ritenuto rilevante, ad integrare l’utilità del corrotto, la prova – indiscussa già in primo grado – della dazione degli assegni, non essendo invece dirimente la restituzione della somma.

In tale prospettiva la riassunzione del CT non era quindi decisiva ai fini della riforma nel senso sopra indicato.

Così parimenti la Corte di appello ha [affermato che] risultavano dirimenti a fini di prova le captazioni in ordine ai favori effettuati per gli esami, mentre ha valutato la deposizione del Rossi in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, diversificando soltanto l’apprezzamento della rilevanza penale di quanto emergente dal compendio probatorio».

Esaminando l’intera argomentazione, risulta evidente – nella valutazione della Corte, ovviamente insindacabile – la incidenza del requisito della decisività richiamato in precedenza nella stessa sentenza impugnata («non è da ritenersi “decisivo” un apporto dichiarativo il cui valore probatorio, che in sé considerato non possa formare oggetto di diversificate valutazioni tra primo e secondo grado, si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste, nella valutazione del giudice di appello, un significato risolutivo ai fini dell’affermazione della responsabilità»).

Non è quindi riscontrabile alcun errore di fatto, non vi è stato alcuno “sviamento” del giudizio, che ricorre solo e «quando la decisione [sia] fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità [sia] positivamente stabilita – nell’uno e nell’altro caso – dal testo della sentenza impugnata, ictu oculi» (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, cit.).

4. Alla inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro duemila, così equitativamente fissata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.