Applicazione della disciplina a tutela del consumatore anche ai giochi d’azzardo (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 11 giugno – 8 luglio 2015, n. 14288)

Svolgimento del processo

Il sig. R.M. propone istanza di regolamento di competenza ex art. 4 2 c.p.c. avverso l’ordinanza del 10/6/2014, emessa, in relazione a domanda proposta nei confronti dalla società S.NA.I. s.p.a. di condanna al pagamento di somme a titolo di vincita del jackpot della somma di Euro 494.092,60 relativa alla giocata alla video lotteria n. 299199023 effettuata il 16 aprile 2012 all’interno dell’agenzia SNAI di (…), dal G.I. del Tribunale di Fermo in accoglimento dell’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla predetta società, in favore del Tribunale di Lucca.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Con requisitoria scritta del 4/2/2015 il P.G. presso la Corte Suprema di Cassazione ha chiesto affermarsi la competenza del Tribunale di Fermo, quale giudice del luogo dove è sorta l’obbligazione ex art. 20 c.p.c., essendo inapplicabile il foro del consumatore.

Motivi della decisione

Con unico complesso motivo il ricorrente si duole dell’erroneità dell’impugnato provvedimento per avere il giudice di merito escluso l’applicabilità del foro del consumatore, e, gradatamente, del foro ex art. 20 c.p.c. di conclusione del contratto e ove l’obbligazione deve eseguirsi.

Lamenta che “l’attività dei concessionari dei giochi, fra i quali la SNAI, è tipica attività imprenditoriale, e per sua natura basata sul rischio d’impresa, sempre però sotto lo stretto controllo dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato”, a cui fronte “si trova la figura del giocatore che riveste la qualifica di consumatore, e come tale deve beneficiare della tutela a lui garantita dalla vigente normativa”.

Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

Si afferma nell’impugnato provvedimento che nella specie “la competenza non deve essere determinata secondo il foro del consumatore, atteso che manca nei contratti di gioco l’esigenza di tutela che informa la disciplina di cui al d.lgs. n. 206/05, trattandosi nella specie di contratto aleatorio fondato sostanzialmente su una scommessa, concluso a distanza mediante distributore automatico (o simile sistema) e, come tale, escluso dalla detta normativa [art. 51, lett. b), d.lgs. n. 206/05]”.

Si afferma altresì che “in ogni caso, anche a voler ritenere che il contratto di cui si discute non sia sussumibile nella categoria di quelli conclusi a distanza mediante distributore automatico, va rilevato che il settore dei giochi d’azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse, non rientrano nell’ambito oggettivo di applicazione della normativa applicabile alle transazioni on line, ovvero della direttiva n. 97/7/CE sui contratti a distanza, recepita dal d.lgs. n. 185/99, poi confluito nel Codice del consumo di cui al d.lgs. 206/05 (art. 50 e ss.) e della Direttiva n. 2000/31/CE sul commercio elettronico, recepita con il d.lgs. 70/03, richiamato dall’art. 61 del Codice del consumo (nel testo ante d.lgs. 21/02/2014 n. 21): l’art. 1, comma 2, lettera g) del d.lgs. 70/2003 prevede infatti che “non rientrano nel campo di applicazione del presente decreto:… g) i giochi d’azzardo, ove ammessi, che implicano una posta pecuniaria, i giochi di fortuna, compresi il lotto, le lotterie, le scommesse, i concorsi pronostici e gli altri giochi come definiti dalla normativa vigente, nonché quelli nei quali l’elemento aleatorio è prevalente”.

Si sostiene ulteriormente che “nel contratto di scommessa/lotteria non possono configurarsi significativi squilibri dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto a carico del consumatore, in ragione del rischio connesso alla scarsa entità della posta giocata dallo scommettitore a fronte di vincite enormemente superiori, di tal che non può applicarsi il foro esclusivo del consumatore”.

Trattasi di orientamento sostanzialmente condiviso anche dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, ove si esclude l’applicabilità nella specie della “disciplina prevista per la tutela del consumatore”, sottolineandosi come “la normativa di cui al d.lgs. 205/2006 risponda a logiche di protezione solidaristica del mercato con l’obiettivo di favorirne l’efficiente funzionamento secondo regole genuinamente concorrenziali”, e sostenendosi non esservi dubbio che la qualifica di “consumatore” non può essere riconosciuta all’odierno ricorrente, che “puntando una somma di denaro su una combinazione numerica” non intendeva certo “accedere al mercato per acquistare un bene o beneficiare di un servizio ovvero porre in essere un atto di consumo in uno spazio regolato, ma unicamente concludere un contratto aleatorio”, nonché ulteriormente osservandosi che “anche la giurisprudenza fonda le ragioni del foro della prossimità, cioè del foro speciale della residenza o del domicilio del consumatore, previsto dall’art. 33, comma 2, lettera u), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, alla luce delle esigenze di tutela, anche sul terreno processuale, che sono alla base dello statuto del consumatore”.

Orbene, va al riguardo osservato che, se non nella risalente tesi giurisprudenziale e dottrinaria che ravvisava nel giuoco d’azzardo – in particolare quello colpito da sanzioni penali – un atto immorale o contrario al buon costume, e pertanto – si aggiungeva – un contratto illecito (per il quale non vi è conseguentemente ripetizione del pagato a titolo di collegato mutuo concluso esclusivamente per far proseguire il giuoco di azzardo in locale aperto al pubblico: v. Cass., 17/6/X950, n. 1552), il suindicato orientamento trova in effetti riscontro e conforto nella del pari risalente tripartizione classica, di matrice dottrinale, in a) in giochi pienamente tutelati (artt. 1934, 1935 c.c.), b) giochi vietati (penalmente sanzionati) e c) giochi c.d. tollerati (art. 1933 c.c.).

Gli argomenti spesi dal giudice di merito nell’impugnato provvedimento (mancanza di condizione di debolezza necessaria; approvazione amministrativa delle condizioni generali di contratto idonea a garantirne l’equilibrio) ripercorrono in realtà quelli solitamente utilizzati dalla giurisprudenza con riferimento alla disciplina codicistica delle clausole vessatorie ex art. 1341 c.c., peraltro oggetto di incisive e fondate critiche in dottrina.

L’orientamento interpretativo accolto nell’impugnato provvedimento, secondo cui “il gioco delle video lotterie è fuori della tutela del consumatore” in quanto presuppone la ludopatia ed è pertanto “pratica, per sua natura, contraria alla categoria di educato consumo” nonché alla “tutela della salute”, non è tuttavia condivisibile.

Va al riguardo osservato che, come anche in dottrina non si è recentemente mancato di porre in rilievo, il fenomeno del gioco e della scommessa ha ormai raggiunto una diffusione e una rilevanza sociale che devono indurre a riconsiderarne la richiamata tradizionale considerazione.

Occorre prendere atto che la suindicata tripartizione è ormai non più attuale.
Il gioco e la scommessa, tradizionalmente ricondotti nella categoria dei contratti aleatori ed assoggettati a disciplina sostanzialmente identica, sono previsti, promossi e regolati dallo Stato, il quale da essi invero ritrae consistenti introiti.

A tale stregua, anche il giurista deve indursi a modificare la relativa considerazione, la quale non può essere che quella riservata ai giochi legalmente autorizzati e pienamente tutelati (r.d.l. n. 1933 del 1938, conv. in L. n. 973 del 1939, come modif. dalla L. n. 528 del 1982; art. 110 TULPS).

Vale porre in rilievo come questa Corte abbia già avuto modo di affermare che in ambito nazionale e comunitario in realtà non esiste un disfavore nei confronti del gioco d’azzardo in quanto tale, ove esso cioè non sfugga al controllo degli organismi statali e non si esponga alle infiltrazioni criminali (v. Cass., 27/9/2012, n. 16511).

Si è al riguardo sottolineato che le “esigenze erariali” hanno fatto invero “premio su sempre più flebili istanze morali”, e l’area del gioco autorizzato è venuta progressivamente estendendosi.

Vi è stata l’istituzione di casinò, la creazione di varie lotterie e concorsi a premi, basati prevalentemente sulla sorte, fino all’emanazione dell’art. 38, comma 2, D.L. n. 223 del 2006, conv. con modificazioni e integrazioni nella L. n. 248 del 2006, di modifica dell’art. 110, 6 co., r.d. n. 773 del 1931 (T.U.L. P.S.), che ha consentito la proliferazione dei punti di accettazione delle scommesse (v. Cass., 27/9/2012, n. 16511).

Tale orientamento è in effetti in linea con quello emerso nella giurisprudenza comunitaria.

Con particolare riferimento all’art. 4 L. n. 401 del 1989 (sanzionante l’esercizio abusivo di giochi e scommesse), questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo (v. Cass., 27/9/2012, n. 16511) che “laddove le autorità di uno Stato membro inducano ed incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d’azzardo o alle scommesse affinché il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare provvedimenti come quelli oggetto della causa principale” (così Corte Giust., 6/11/2003, n. 243).

A parte l’incompatibilità con il diritto comunitario delle sanzioni penali previste per la raccolta di scommesse da parte di intermediari operanti per conto di società straniere sancita da Corte Giust., 6/3/2007, C-338/04, C. 359/04, C-360/04, Placanica), nel ribadire il principio del primato del diritto comunitario (v. in particolare Corte Giust., 8/9/2010, C-409/06. In ordine al primato del diritto Europeo, così come interpretato dalla Corte di Giustizia, v. altresì Cass., Sez. Un., 5/2/2013, n. 2595), la Corte di Giustizia ha ricondotto la raccolta di scommesse nell’ambito di applicazione dell’art. 49 Trattato CE, ponendo in rilievo come le attività che consentono agli utilizzatori di partecipare, dietro corrispettivo, a un gioco d’azzardo costituiscono prestazione di servizi ai sensi dell’art. 49 CE (v. Corte Giust., 21/10/1999, C-67/98, Zerratti; Corte Giust., 24/3/1994, C-275/92, Schindler).

Rilevato che la disciplina dei giochi d’azzardo rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale, si è sia dalla Corte di giustizia che da questa Corte posto in rilievo come in tali settori spetti a ciascuno Stato membro stabilire la tutela di quali interessi, tra quelli coinvolti, privilegiare (v. Cass., 27/9/2012, n. 16511).

Si è al riguardo affermato che “gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione perseguito”, altresì sottolineandosi come eventuali restrizioni debbano “soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità”. E che “la lotta alla criminalità può costituire un motivo imperativo di interesse generale che può giustificare restrizioni nei confronti degli operatori autorizzati a proporre servizi nel settore del gioco d’azzardo”, atteso che in considerazione della “rilevanza delle somme che essi possono raccogliere e delle vincite che possono offrire ai giocatori, tali giochi comportano rischi elevati di reati e di frodi”, sicché “i limiti che, nel rispetto del principio di sussidiarietà, gli Stati membri possono al riguardo stabilire” trovano fondamento “nell’esigenza non già di contrasto della domanda e dell’offerta di gioco e di scommessa bensì di tutela dell’ordine pubblico e di esigenze imperative di interesse generale, al fine di esercitare un controllo preventivo e successivo, volto da un canto a prevenirne la degenerazione criminale, e per altro verso a massimizzare gli introiti fiscali da essi derivanti, attenendo pertanto allo scopo di tutela dei consumatori contro il rischio di dipendenza, di frode e di criminalità” (v. Corte Giust., 8/9/2009, n. 42, richiamata da Cass., 27/9/2012, n. 16511).

Sotto altro profilo, con particolare riferimento alla nozione di ordine pubblico, al di là di quanto affermatosi con riferimento alla delibazione di sentenze straniere (v. Cass., 27/9/2012, n. 16511, e, conformemente, Cass., 17/1/2013, n. 1163. E già Cass., 6/12/2002, n. 17349. Cfr. altresì, da ultimo, Cass., Sez. Un., 17/7/2014, n. 16379; Cass., Sez. Un., 17/7/2014, n. 16380; Cass., 15/4/2015, n. 7613), si è posto in rilievo come anche la considerazione dell’ordine pubblico interno non possa invero prescindere dalla valutazione delle norme imperative interne alla luce delle norme costituzionali e dei principi del diritto Europeo (v. Cass., 26/11/2004, n. 22332; Cass., 11/11/2000, n. 14662).

Tale concezione, sì è sottolineato, si fonda sull’attuale maggiore partecipazione dei singoli Stati alla vita della comunità delle genti, consentendo di rinvenirne i parametri di conformità in principi corrispondenti ad esigenze comuni ai diversi ordinamenti statali (in tali termini v. Cass., 27/9/2012, n. 16511, e, conformemente, Cass., 17/1/2013, n. 1163. E già Cass., 6/12/2002, n. 17349).

Avuto riguardo al gioco autorizzato, in quanto gestito direttamente dallo Stato o da suoi concessionari, si è ritenuto che risultano a tale stregua “elise” le suindicate ragioni di sicurezza sociale, e che debbono per converso trovare applicazione le ordinarie norme poste a tutela dell’esercizio dell’impresa nonché “delle ragioni creditorie”, che “sorte in un contesto di ordinaria liceità, non possono essere disattese, anche quando poste alla base di una decisione straniera, essendo… sorrette da fondamentali e condivisi principi, quali in particolare la libertà dei mercati e la responsabilità patrimoniale del debitore” (in tali termini v. Cass., 27/9/2012, n. 16511).

Orbene, atteso che il versamento della posta contemplata nel contratto integra un comportamento deponente per la conclusione del contratto con automatica adesione alle relative condizioni, si è nella giurisprudenza di legittimità affermato che il regolamento del gioco deve “ritenersi noto ed accettato dai singoli giocatori-contraenti, sia pure implicitamente con l’acquisto del biglietto” (v., con riferimento alle c.d. lotterie istantanee, Cass., 31/7/2006, n. 17458).

Come sottolineato anche in dottrina, il contenuto del gioco o scommessa rimane peraltro solitamente ignoto al contraente-giocatore, stante la grave difficoltà (se non impossibilità) di reperire il testo e di prenderne cognizione.

Il contraente-giocatore allora “subisce” in realtà tale contenuto, che implicitamente accetta.

Né può al riguardo assegnarsi rilievo alla circostanza che esso trovi fonte in decreti emanati da Ministero delle finanze, giacché le regole ivi poste integrano una regolamentazione contrattuale unilateralmente predisposta (cfr., con riferimento alle lotterie istantanee “Gratta e vinci” e “La fortuna sotto la neve”, Cass., 31/7/2006, n. 17458; Cass., 5/3/2007, n. 5062; Cass., 13/4/2007, n. 8859; Cass., 16/2/2010, n. 3588; Cass., 29/5/2013, n. 13434).

Orbene, stante quanto sopra rilevato ed esposto, e considerato che diversamente da quanto affermato nell’impugnato provvedimento l’attività posta in essere dalla società concessionaria delle video lotterie va propriamente qualificata come prestazione di servizi ex art. 49 Trattato CE [senza sottacersi il sintomatico rilievo che in proposito ulteriormente assume lo specifico riferimento alla tutela dei consumatori e degli utenti dei servizi di gioco d’azzardo on line contenuto nella Raccomandazione della Commissione del 14 luglio 2014 nonché alla finalità di garantire che “ai consumatori sia garantito un ambiente di gioco sicuro e che siano previste misure per far fronte al rischio di danni finanziari o sociali” (v. Considerando 2), come pure ai “termini” e alle “condizioni” del “rapporto contrattuale tra l’operatore e il consumatore” (art. 5)], deve dunque concludersi che l’assunto in base al quale la disciplina di tutela dei consumatori non si applica ai contratti aleatori è invero erronea.

Sotto altro profilo, è d’altro canto appena il caso di osservare che, come questa Corte ha già avuto più volte modo di osservare analogamente a quella – altra e diversa ma concorrente – ex artt. 1341 e 1342 c.c., relativa a contratti unilateralmente predisposti da un contraente in base a moduli o forraulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti (v. Cass., 20/3/2010, n. 6802), la disciplina di tutela del consumatore posta dal d.lgs. n. 206 del 2005 – c.d. Codice del consumo – (e già agli artt. 1469 bis ss. c.c.), che può invero riguardare anche il singolo rapporto, è funzionalmente volta a tutelare il consumatore a fronte della unilaterale predisposizione ed imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista, quale possibile fonte di abuso, sostanziantesi nella preclusione per il consumatore della possibilità di esplicare la propria autonomia contrattuale, nella sua fondamentale espressione rappresentata dalla libertà di determinazione del contenuto del contratto. Con conseguente alterazione, su un piano non già solamente economico, della posizione paritaria delle parti contrattuali idoneo a ridondare, mediante l’imposizione del regolamento negoziale unilateralmente predisposto, sul piano dell’abusivo assoggettamento di una di esse (l’aderente) al potere (anche solo di mero fatto) dell’altra (il predisponente) (v. Cass., 26/9/2008, n. 24262).

Evidente è pertanto come, sia mediante la unilaterale predisposizione di moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti sia in occasione della stipulazione di un singolo contratto redatto per uno specifico affare, mediante l’unilaterale predisposizione ed imposizione del relativo contenuto negoziale il professionista può invero affermare la propria autorità (di fatto) contrattuale sul consumatore.

La lesione dell’autonomia privata del consumatore, riguardata sotto il segnalato particolare aspetto della libertà di determinazione del contenuto dell’accordo, fonda allora sia nell’una che nell’altra ipotesi l’applicazione della disciplina di protezione in argomento (v. Cass., 20/3/2010, n. 6802).

Nel che si coglie la pregnanza e la specificità del relativo portato.

A precludere l’applicabilità della disciplina di tutela del consumatore in argomento è invero necessario che ricorra il presupposto oggettivo della trattativa ex art. 34, comma 4, d.lgs. n. 206 del 2005, (v. Cass., 20/3/2010, n. 6802; Cass., 26/9/2008, n. 24262).

Trattativa la cui sussistenza è pertanto da considerarsi un prius logico rispetto alla verifica della sussistenza del significativo squilibrio in cui riposa l’abusività della clausola o del contratto (v. Cass., 20/3/2010, n. 6802; Cass., 26/9/2008, n. 24262. Cfr. altresì Cass., 28/6/2005, n. 13890).

In presenza di accordo frutto (in tutto o in parte) di trattativa, l’accertamento giudiziale in ordine all’abusività delle clausole contrattuali rimane viceversa (in tutto o in parte) precluso, quand’anche l’assetto di interessi realizzato dalle parti risulti significativamente squilibrato a danno del consumatore.

La preclusione discende infatti in tal caso non già dalla non vessatorietà della clausola, o del contratto fatti oggetto di specifica trattativa, bensì dalla inconfigurabilità della loro unilaterale predisposizione ed imposizione, quali (possibili) fonti di abuso nella vicenda di formazione del contratto (v. Cass., 20/3/2010, n. 6802; Cass., 26/9/2008, n. 24262).

Perché l’applicazione della disciplina di tutela del consumatore in questione possa considerarsi preclusa, la trattativa deve non solo essersi storicamente svolta ma altresì risultare caratterizzata dai requisiti della individualità, serietà, effettività (v. Cass., 26/9/2008, n. 24262).

Il requisito della effettività in particolare si sostanzia non solo nel senso di libertà di concludere il contratto ma anche nel suo significato di libertà e concreta possibilità – anche – per il consumatore di determinare il contenuto del contratto (v. Cass., 26/9/2008, n. 24262).

Emerge evidente, a tale stregua, da un canto, come risulti al riguardo erroneo l’assunto (al di là della relativa intrinseca bontà o meno) del giudice di merito secondo cui non sussisterebbe il significativo squilibrio tra le parti che fonda le esigenze di tutela del consumatore allorquando come asseritamente nella specie a carico del consumatore sussista solamente un modesto “rischio” in ragione della “scarsa entità della posta giocata” dallo scommettitore, a fronte di vincite enormemente superiori, di tal che non può applicarsi il foro esclusivo del consumatore”. Per altro verso, come il c.d. foro del consumatore sia un foro esclusivo e speciale, e pertanto prevalente rispetto ai fori individuati mediante i criteri posti agli artt. 18, 19 e 20 c.p.c. (potendo essere derogato solo a vantaggio e non svantaggio del consumatore: v. Cass., 8/2/2012, n. 1875, e, da ultimo, Cass., 3/4/2013, n. 8167).

Atteso che nella specie trova invero applicazione il d.lgs. n. 206 del 2005 (c.d. Codice del consumo), giacché il d.lgs. 21/2/2014, n. 2 (recante allo stesso modifiche) ha in ogni caso riguardo ai contratti a distanza conclusi dopo il 13 giugno 2014, in accoglimento del 1 motivo, assorbito ogni altro e diverso profilo, va nella specie dichiarata la competenza per territorio del Tribunale di Fermo, quale foro del consumatore.

Spese rimesse.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Dichiara la competenza per territorio del Tribunale di Fermo, quale foro del consumatore. Spese rimesse.