Armi per corrispondenza, venditore responsabile se non ha verificato i titoli (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 6 febbraio 2020, n. 5037).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BARI;

nel procedimento a carico di:

MANZONI BORGHESI GAETANO nato il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 12/04/2018 della CORTE APPELLO di BARI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO GIUSEPPE SANDRINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI BIRRITTERI che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso del Procuratore Generale di Bari e l’annullamento senza rinvio per sopravvenuta prescrizione dei reati contro la fede pubblica e con rinvio per i rimanenti reati.

udito il difensore L’avv. TUFARIELLO Maria Grazia conclude per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 19.11.2015 il Tribunale di Trani condannava Manzoni Borghesi Gaetano alla pena di giustizia per il reato associativo di cui all’art. 416 cod.pen. e per una serie di reati fine (questi ultimi aggravati ex art. 4 legge n. 146 del 2006 dalla loro commissione mediante il contributo apportato da un gruppo criminale organizzato operante su base transnazionale) costituiti da delitti di falso, personale e documentale, e violazioni della disciplina delle armi, unificati in continuazione tra loro, commessi negli anni compresi tra il 2009 e il 2011, mediante condotte consistite nell’aver venduto per corrispondenza, in qualità di titolare di un’armeria (la G.M.B.) situata nella Repubblica di San Marino e previo rilascio di nulla osta da parte della locale gendarmeria, una consistente quantità di armi comuni da sparo (per un totale di 247 unità) a soggetti residenti in Italia e risultati inesistenti, ai quali non erano mai state rilasciate le licenze di porto d’armi allegate in copia alle richieste di acquisto.

I reali destinatari delle armi, che non avevano provveduto a denunciarne la detenzione all’autorità di p.s. italiana, erano stati individuati dagli inquirenti nelle persone di Rustico Luigi e Fortunato Nicola, soggetti residenti in Puglia, i quali avevano speso false generalità e avevano prodotto, per giustificare gli acquisti, copie di falsi documenti realizzati utilizzando come modello una licenza di porto di fucile originariamente rilasciata al Rustico dalla Questura di Bari e successivamente revocata; ciò rivelava che il titolare dell’armeria G.M.B. non aveva mai preso visione di alcun documento in originale idoneo a legittimare le transazioni commerciali.

2. A seguito di appello dell’imputato, la Corte d’appello di Bari, con sentenza pronunciata il 12.04.2018, ha assolto Manzoni Borghesi Gaetano dal reato associativo di cui all’art. 416 cod.pen. per non aver commesso il fatto e dalle residue imputazioni a lui ascritte perché il fatto non costituisce reato.

Con specifico riguardo ai falsi e alle violazioni della disciplina delle armi, la Corte territoriale, pur ritenendo provata la materialità delle condotte e dei fatti ascritti all’imputato, ha escluso che fosse stata acquisita la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo di natura dolosa richiesto per la perfezione dei reati, assumendo – al riguardo – la regolarità formale delle vendite di armi, effettuate dall’armeria di cui era titolare il Manzoni Borghesi previo rilascio di nulla osta da parte della Gendarmeria della Repubblica di San Marino e previa registrazione nei propri libri contabili dei relativi documenti accompagnatori, nel rispetto della normativa di riferimento, mediante spedizioni effettuate a mezzo di corriere conosciuto (che provvedeva al ritiro della merce presso la sede dell’armeria), a fronte di pagamenti eseguiti con bonifici o vaglia postali; la condotta dell’imputato, che aveva collaborato con gli inquirenti contribuendo con le sue dichiarazioni all’individuazione dei reali destinatari delle armi una volta avuta conoscenza (dopo la vendita) della falsità dei documenti inviati dagli apparenti acquirenti, deponeva per la buona fede del Manzoni Borghesi, che non era contraddetta dall’apposizione della dicitura “articoli sportivi” sui pacchi contenenti le armi, ritenuta compatibile con la destinazione ad uso sportivo della maggior parte delle armi cedute e con le esigenze di sicurezza invocate dal vettore incaricato dei relativi trasporti.

3. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Bari, limitatamente all’assoluzione dell’imputato dai reati-scopo di falso e di violazione della disciplina delle armi, deducendo, con unico motivo, violazione di legge nonché carenza e illogicità della motivazione della decisione impugnata.

Il ricorrente censura l’omesso confronto della motivazione assolutoria di secondo grado col ragionamento probatorio seguito dal giudice di primo grado nella valutazione della gravità, della precisione e della coerenza del quadro indiziario acquisito a carico dell’imputato, con riferimento sia alle qualità soggettive e professionali del Manzoni Borghesi, sia alle modalità seriali dell’ordinazione e spedizione delle armi, sia al numero delle armi vendute per corrispondenza che al mancato controllo dell’autenticità dei documenti apparentemente legittimanti i relativi acquisti.

Lamenta la natura assertiva e priva di coerenza logica dell’assoluzione del prevenuto, basata su un omesso apprezzamento della legge n. 40 del 13 marzo 1991 vigente in materia, all’epoca dei fatti, nella Repubblica di San Marino, con particolare riguardo all’obbligo del titolare dell’armeria di identificare l’acquirente tramite un documento personale di riconoscimento e di verificare la titolarità in capo allo stesso di un valido titolo di acquisto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del Procuratore Generale della Repubblica è fondato, per le ragioni che seguono, sotto il profilo assorbente della carenza e della manifesta illogicità della motivazione con cui la sentenza impugnata ha assolto l’imputato per mancanza di dolo dai reati-fine a lui ascritti.

2. Questa Corte ha chiarito, con orientamento consolidato, che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima:

a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia intrinsecamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo”, che siano indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso, così da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (ex plurimis, Sez. 1 n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516; Sez. 6 n. 10951 del 15/03/2006, Rv. 233708).

La motivazione della sentenza del giudice di merito, dunque, per superare il vaglio di legittimità demandato a questa Corte suprema dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., deve risultare coerente e adeguata nel senso di consentire l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova, così da non impedire, per la sua intrinseca oscurità o incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio con riguardo alle acquisizioni processuali e alle prospettazioni formulate dalle parti (Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, Rv. 246172); pur restando certamente esclusa la sindacabilità dei motivi di ricorso che siano fondati su una diversa prospettazione dei fatti o su spiegazioni alternative – per quanto plausibili o logicamente sostenibili – formulate dal ricorrente, la Corte di cassazione è comunque tenuta, in sede di controllo di legittimità della motivazione, ad accertare che alla base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto apprezzamento degli indizi di colpevolezza e che la motivazione non sia puramente assertiva o affetta da palesi incongruenze o vizi logici (Sez. 6,n. 1762 del 15/05/1998, Rv. 210923).

3. Nel caso di specie, dalla lettura della motivazione della decisione assolutoria emessa dalla Corte d’appello di Bari e dal suo raffronto col percorso logico/argomentativo che aveva supportato la sentenza di condanna invece pronunciata, per i medesimi reati, dal Tribunale di Trani, emerge immediatamente il carattere essenzialmente assertivo – e privo di un adeguato e coerente confronto con le risultanze istruttorie valorizzate dal giudice di primo grado – delle affermazioni con cui la sentenza d’appello ha escluso la prova della consapevole volontà del Manzoni Borghesi di concorrere nei delitti di illecita introduzione di armi comuni da sparo nel territorio dello Stato Italiano, e nei falsi personali e documentali che ne hanno costituito il supporto, commessi in concorso coi soggetti autori degli ordinativi e destinatari della consegna delle armi stesse.

La sentenza di primo grado aveva valorizzato, tra l’altro e in particolare, l’inadempimento accertato dell’imputato all’obbligo, previsto dalla legislazione vigente nella Repubblica di San Marino (in forza della legge n. 40 del 1991), di verificare direttamente la reale identità personale degli acquirenti e destinatari delle armi e l’effettiva titolarità in capo agli stessi di validi titoli di acquisto rilasciati dalle competenti autorità italiane di pubblica sicurezza.

La prova dell’inosservanza dei relativi obblighi, da parte del Manzoni Borghesi, è stata tratta dal giudice di prima istanza dalle false generalità (corrispondenti a quelle di persone fisiche inesistenti) spese dagli acquirenti, nonché dall’utilizzo per eseguire gli ordinativi delle armi di titoli di legittimazione contraffatti, realizzati modificando la scansione digitale del medesimo – originario – porto di fucile rilasciato (e poi revocato) a Rustico Luigi, falsità di cui l’imputato, anche in ragione della sua qualità professionale di titolare di un’armeria, si sarebbe agevolmente reso conto se avesse controllato personalmente (come era tenuto a fare, specie a fronte del consistente numero di armi da fuoco – nell’ordine di circa 250 unità – cedute, ad apparente uso sportivo, sempre tramite i medesimi soggetti) gli originali dei documenti di identità e delle licenze di porto d’armi esibite in occasione degli acquisti; così rivelando, col suo comportamento complessivo, e contrariamente all’assunto difensivo, di non aver mai conosciuto o incontrato di persona gli acquirenti, e di non aver mai esaminato in originale i loro documenti.

Con tali argomentazioni logico-giuridiche, fondate sui dati probatori acquisiti, la sentenza d’appello – che non ha contestato la sussistenza materiale dei falsi e delle condotte di introduzione senza licenza di armi nello Stato, ascritte all’imputato in concorso coi complici operanti in territorio pugliese (pagina 3 della motivazione) – ha sostanzialmente omesso di confrontarsi, trascurando anche l’esame puntuale degli obblighi e delle prescrizioni scaturenti a carico del Manzoni Borghesi dalla legge n. 40 del 1991, così incorrendo nei palesi vizi di motivazione denunciati dal ricorrente.

4. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, limitatamente all’assoluzione dell’imputato perché il fatto non costituisce reato dai delitti-fine di cui ai capi B e C della rubrica (la statuizione assolutoria per non aver commesso il fatto dal reato associativo sub A non è stata, invece, investita dal ricorso ed è divenuta definitiva), con rinvio per un nuovo giudizio sul punto – libero nei contenuti e negli esiti, ma sorretto da un’adeguata e coerente motivazione – ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

Al giudice di rinvio deve essere demandata la verifica della sopravvenienza di eventuali cause di estinzione per prescrizione di singoli reati di cui ai capi B e C, sollecitata in questa sede dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni, tenendo conto degli effetti derivanti, sulla misura della pena edittale rilevante agli effetti previsti dagli artt. 157 e seguenti cod.pen., dalla circostanza aggravante ad effetto speciale, ritenuta dal giudice di primo grado, di cui all’art. 4 della legge n. 146 del 2006 (ora art. 61-bis cod.pen.).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bari.

Così deciso in data 17 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria in data 6 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.