REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIOINE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. GIOVANNA VERGA – Presidente –
Dott. MARIAPAOLA BORIO – Consigliere –
Dott. PIERLUIGI CIANFROCCA – Consigliere –
Dott. GIUSEPPE NICASTRO – Relatore –
Dott. FRANCESCO FLORIT – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza del 01/03/2024 del Tribunale di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. GIULIO ROMANO, il quale ha chiesto che l’ordinanza impugnata venga annullata con rinvio limitatamente alla scelta della misura;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NICASTRO.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 01/03/2024, il Tribunale di Firenze, in accoglimento dell’appello che era stato proposto, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., dal pubblico ministero presso il Tribunale di Grosseto contro l’ordinanza del 01/12/2023 del G.i.p. del Tribunale di Grosseto – con la quale era stata rigettata la richiesta dello stesso pubblico ministero presso il Tribunale di Grosseto di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti (omissis) (omissis) -, riformava l’ordinanza appellata e, per l’effetto, applicava al (omissis) la misura della custodia cautelare in carcere per essere egli gravemente indiziato del delitto di truffa pluriaggravata (ai sensi del n. 2 del secondo comma dell’art. 640 cod. pen. e del n. 7 dell’art. 61 cod. pen.) ai danni di (omissis) (omissis), e con riguardo al pericolo che egli potesse commettere altri delitti della stessa specie di quello per cui si stava procedendo (escludendo invece la sussistenza del pericolo che il (omissis) si potesse dare alla fuga).
Secondo il capo d’imputazione provvisorio, il menzionato delitto di truffa pluriaggravata era stato contestato al (omissis) «perché con artifici e raggiri consistiti:
– nel presentarsi presso la casa di (omissis) (omissis), in Grosseto, in via (omissis) (omissis) 28, munito di alcuni fogli con il logo della Procura della Repubblica, trovandovi il figlio di quest’ultimo (omissis) (omissis)
– nel qualificarsi falsamente quale maresciallo della Guardia di Finanza nonché amico intimo del padre
– nell’informarlo di una imminente perquisizione domiciliare
– nell’offrirsi di far sparire eventuali soldi in contanti dall’abitazione onde sottrarli all’imminente controllo
induceva in errore (omissis) (omissis). Questi, infatti, convinto di evitare le conseguenze pregiudizievoli della fantomatica perquisizione e quindi il sequestro dei soldi, gli consegnava un contenitore in latta con all’interno la somma di circa 300.000 euro in contanti di proprietà di (omissis) (omissis). Così facendo, si procurava un ingiusto vantaggio con pari danno per la persona offesa».
2. Avverso tale ordinanza del 01/03/2024 del Tribunale di Firenze, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, (omissis) (omissis).
Ancorché il ricorso, che è introdotto da un riassunto della vicenda cautelare (pagg. 1-5), non sia chiaramente articolato in motivi, il Collegio ritiene di poterne enucleare i seguenti tre.
2.1. Con il primo motivo – che è relativo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza -, il ricorrente deduce: in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 273, commi 1 e 1-bis, dello stesso codice, «in ordine alla valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza», e degli artt. 61, n. 7), e 640, secondo comma, n. 2), cod. pen., «in ordine alla valutazione della ricorrenza delle aggravanti contenute nella proto imputazione»; in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il carattere «lacunoso» della motivazione «circa la valutazione delle dichiarazioni rese da parte sia della P.O. che del figlio», in quanto il Tribunale di Firenze non avrebbe «spiega[to] in modo coerente perché i due siano da considerarsi attendibili benché le loro dichiarazioni siano gravemente contraddittorie sia in senso intrinseco che estrinseco».
2.2. Con il secondo motivo – che è relativo alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si stava procedendo -, il ricorrente deduce: in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 274, comma 1, lett. c), dello stesso codice; in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il carattere «lacunoso» della motivazione «sulle questioni di cui al vizio di violazione di legge».
2.3. Con il terzo motivo – che è relativo alla scelta della misura della custodia cautelare in carcere -, il ricorrente deduce: in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 275 dello stesso codice, «specie per quanto attiene al comma 2»; in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione.
A quest’ultimo proposito, il ricorrente contesta la motivazione con la quale il Tribunale di Firenze ha ritenuto l’inidoneità della misura degli arresti domiciliari con il controllo mediante i mezzi elettronici di cui all’art. 275-bis, comma 1, cod. proc. pen. (cosiddetto braccialetto elettronico).
Tale motivazione sarebbe anzitutto illogica, in quanto, mentre sarebbe stato comprensibile ritenere l’inidoneità della suddetta meno afflittiva misura a soddisfare l’esigenza cautelare del pericolo di fuga, «[n]on si comprende, invece, quali contro indicazioni potrebbe avere la medesima misura, accompagnata da una forma di controllo a distanza, per scongiurare il pericolo di recidivanza».
Il ricorrente deduce che «appare difficile ritenere che l’indagato (che non vuole fuggire, come dice l’ordinanza del riesame) sia allettato ad allontanarsi dal domicilio, al solo scopo, e per il tempo strettamente necessario, al compimento di un reato contro il patrimonio. Con la conseguente certezza di un intervento delle forze di polizia allertate dallo strumento di controllo a distanza».
La stessa motivazione sarebbe inoltre, in secondo luogo, contraddittoria «nella parte in cui, da un lato, ritiene il (omissis) affidabile nella parte in cui conclude che non sussista il pericolo di fuga, ma dall’altro non lo sia per rispettare la misura degli arresti domiciliari».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo non è consentito perché è del tutto generico.
1.1. La Corte di cassazione ha chiarito che, in caso di ribaltamento, da parte del tribunale del riesame in funzione di giudice dell’appello de libertate, della precedente decisione del primo giudice di rigetto della domanda cautelare, non è richiesta una motivazione rafforzata, in ragione del diverso “standard cognitivo” che governa il procedimento incidentale, ma è necessario un confronto critico con il contenuto della pronunzia riformata, non potendosi ignorare le ragioni giustificative del rigetto, che devono essere, per contro, vagliate e superate con argomentazioni autonomamente accettabili, tratte dall’intero compendio processuale (Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, Necchi, Rv. 284982-04).
1.2. Il Tribunale di Firenze ha operato il necessario confronto critico con il contenuto dell’ordinanza del 01/12/2023 del G.i.p. del Tribunale di Grosseto, avendo vagliato e superato le ragioni che avevano indotto tale giudice a rigettare la richiesta di applicazione della misura cautelare.
Il Tribunale ha osservato anzitutto come il suddetto G.i.p. non avesse tenuto adeguatamente conto sia del fatto che l’effettuata attività investigativa aveva consentito di accertare la presenza dell’autovettura in uso al (omissis) nel luogo del fatto e in orario compatibile con esso, sia del fatto che l’indagato era stato riconosciuto non solo da (omissis) (omissis), ma anche dal vicino di casa della persona offesa (omissis) (omissis), soggetto del tutto estraneo alla vicenda, il quale aveva incrociato il finto finanziere nel condominio nel quale abitavano i (omissis).
Si doveva pertanto escludere che potessero residuare dubbi sul fatto che il (omissis) fosse stato presente presso l’abitazione delle persone offese la mattina del giorno, il 11/11/2023, in cui si erano svolti i fatti.
In secondo luogo, il Tribunale di Firenze si è confrontato con il contenuto dell’impugnata pronuncia del G.i.p. anche là dove questi aveva rilevato delle discrepanze tra il racconto dei fatti che era stato fornito da (omissis) (omissis) e il racconto dei fatti che era stato reso da suo figlio (omissis) (omissis).
Il Tribunale ha esposto in particolare come sia il padre ((omissis) (omissis)) sia il figlio ((omissis) (omissis)) fossero stati entrambi nuovamente sentiti dalla polizia giudiziaria il 06/12/2023 e come, il 05/12/2023, fosse stata sentita anche la moglie di (omissis) (omissis) (omissis) (omissis), la quale aveva riconosciuto il (omissis) come il soggetto che, qualche settimana prima del fatto, si era presentato a casa sua per avere una consulenza veterinaria dal marito (evenienza che comprovava come il (omissis) avesse svolto delle verifiche preventive per comprendere le abitudini della famiglia (omissis)).
Dopo avere esposto il contenuto di tali ulteriori dichiarazioni di (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), il Tribunale di Firenze ha ritenuto fugati i dubbi che erano stati espressi dal G.i.p. in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni dei due (omissis), motivando anche in proposito come lo stato di agitazione in cui versava (omissis) (omissis) quando, subito dopo il fatto, aveva raggiunto il padre (omissis) (omissis) presso il suo ambulatorio veterinario, fosse ampiamente in grado di spiegare le imprecisioni del racconto che lo stesso (omissis) (omissis) aveva fatto al padre e che questi, dopo circa un’ora, aveva riferito alla polizia giudiziaria in sede di denuncia.
Il Tribunale di Firenze ha altresì motivato che non si comprenderebbe per quale motivo (omissis) (omissis), veterinario sessantenne, avrebbe dovuto inventare di avere subito la spoliazione di € 300.000,00, considerato anche che egli non aveva alcuna copertura assicurativa, e come si dovesse ritenere inverosimile che padre e figlio si fossero messi d’accordo per riferire il falso alla polizia giudiziaria per poi rendere due versioni dei fatti non coincidenti.
Il Tribunale valorizzava anche l’ulteriore elemento che, a seguito della perquisizione che era stata eseguita nell’abitazione dell’indagato, erano state rinvenute due mazzette di banconote, per un totale di € 5.000,00, che (omissis) (omissis) aveva riconosciuto come proprie in ragione sia degli elastici usati per fermarle, i quali erano dello stesso tipo di quelli che erano da lui utilizzati, sia dell’odore di muffa che esse emanavano (per essere state custodite in un armadio a muro che aveva “preso” acqua, tanto che, poi, si era reso necessario custodirle all’interno di un contenitore in metallo per l’olio).
Il Tribunale di Firenze motivava ancora come:
a) dalle ritenute attendibili dichiarazioni di (omissis) (omissis) emergessero gravi indizi della sussistenza della circostanza aggravante dell’avere ingenerato nello stesso (omissis) (omissis) il timore di un pericolo immaginario, atteso che le sollecitazioni del finto finanziere, che gli aveva anche già mostrato un finto tesserino e alcuni fogli con il logo della Repubblica Italiana, lo avevano indotto a credere che, se non avesse collaborato, anche rispetto all’intimazione di dire dove si trovassero i soldi, sarebbe incorso in conseguenze penali;
b) dalle ritenute attendibili dichiarazioni di (omissis) (omissis) e di (omissis) (omissis) emergessero gravi indizi della sussistenza della circostanza aggravante dell’avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità, tenuto conto che, secondo le stesse dichiarazioni, la somma di cui (omissis) (omissis) era stato spogliato ammontava a circa € 300.000,00.
1.3. A fronte di tale ampia motivazione – la quale, come si è detto, non ha mancato di operare il necessario confronto critico con il contenuto dell’ordinanza del 01/12/2023 del G.i.p. del Tribunale di Grosseto con la quale era stata rigettata la richiesta di applicazione della misura – le doglianze del ricorrente risultano del tutto generiche, atteso che il (omissis) ha completamente omesso di confrontarsi realmente con la stessa motivazione, rivolgendo a essa delle puntuali censure, ma si è in sostanza limitato, in modo del tutto aspecifico, ad affermare che essa: a) violerebbe delle norme di legge (l’art. 273, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., e gli artt. 61, n. 7, e 640, secondo comma, n. 2, cod. pen.), senza tuttavia spiegare il perché; b) sarebbe «lacunos[a]» con riguardo alla ritenuta attendibilità di (omissis) ed (omissis) (omissis), senza tuttavia minimamente considerare le ulteriori dichiarazioni che erano state rese da costoro il 06/12/2023 (oltre che da (omissis) (omissis) il 05/12/2023) e sulle quali il Tribunale di Firenze ha fondato la ritenuta loro attendibilità.
2. Il secondo motivo non è consentito perché è del tutto generico.
2.1. Il Tribunale di Firenze ha ampiamente motivato in ordine al pericolo di recidiva, desumendolo, essenzialmente:
a) dalla gravità della condotta del (omissis) – a proposito della quale si deve precisare che l’ultimo periodo della lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen., periodo aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. c), della legge 16 aprile 2015, n. 47, impedisce di desumere il pericolo di reiterazione dalla sola gravità del «titolo di reato», astrattamente considerato, ma non già dalla valutazione della gravità del fatto nelle sue concrete manifestazioni -, ritenuta evidentemente sintomatica di un’incapacità dell’indagato di autolimitarsi nella commissione di ulteriori condotte criminose della stessa specie;
b) dalla personalità del (omissis), a carico del quale risultavano numerosi precedenti penali, tra cui uno per associazione a delinquere di tipo mafioso, e anche per reati contro il patrimonio, oltre a un precedente per evasione;
c) dal fatto che il (omissis) non aveva dimostrato di possedere lecite fonti di sostentamento, cosicché appariva del tutto verosimile che egli traesse i mezzi per vivere dall’attività criminosa, segnatamente, dalla commissione di delitti contro il patrimonio.
2.2. A fronte di tale ampia motivazione, le doglianze del ricorrente risultano del tutto generiche, atteso che il (omissis) ha completamente omesso di confrontarsi con la stessa motivazione, rivolgendo a essa delle puntuali censure, ma si è limitato, in modo del tutto aspecifico, ad affermare che essa violerebbe delle norme di legge (l’art. 274, comma 1, lett. c, cod. proc. pen.) e sarebbe «lacunos[a] sulle questioni di cui al vizio di violazione di legge», senza tuttavia, minimamente spiegare il perché.
3. Il terzo motivo è in parte non consentito perché generico e in parte manifestamente infondato.
3.1. Il motivo non è consentito nella parte in cui, con esso, a fronte della motivazione che è stata fornita dal Tribunale di Firenze anche in ordine alla proporzionalità dell’applicata misura della custodia cautelare in carcere rispetto sia all’entità del fatto sia alla sanzione che si riteneva potesse essere irrogata (pag. 12 dell’ordinanza impugnata), si lamenta – ancora una volta, però, del tutto genericamente, senza in alcun modo indicarne le ragioni – la violazione dell’art. 275, comma 2, cod. proc. pen.
3.2. Le censure di illogicità e contraddittorietà della motivazione con la quale il Tribunale di Firenze ha ritenuto l’inidoneità della misura degli arresti domiciliari, anche con l’ausilio del cosiddetto braccialetto elettronico, a soddisfare le esigenze cautelari nel caso concreto, sono, invece, manifestamente infondate.
Il Tribunale di Firenze ha ritenuto tale inidoneità per la ragione che, posto che la misura degli arresti domiciliari, anche con l’ausilio del cosiddetto braccialetto elettronico, è almeno in parte rimessa alla capacità di autodeterminazione dell’indagato, su di essa non si poteva, nella specie, fare affidamento, sia in quanto le precedenti condanne subite dal (omissis) non avevano sortito alcun effetto deterrente rispetto a ulteriori iniziative criminose, sia in quanto lo stesso (omissis) aveva riportato anche una condanna per evasione la quale, ancorché risalente nel tempo, si doveva anch’essa ritenere sintomatica della sua incapacità di rispettare misura cautelari che erano in parte rimesse alla sua capacità di autodeterminazione.
Tale motivazione dell’inadeguatezza di misure basate, almeno in parte, sull’affidamento fiduciario, appare priva di contraddizioni e di illogicità manifeste e resiste, in particolare, alle censure di illogicità e contraddittorietà che sono state avanzate dal ricorrente.
Quanto alla censura di illogicità, si deve osservare che la tesi sostenuta dal ricorrente implicherebbe che, in tutti i casi in cui non sia stata ravvisata l’esigenza cautelare del pericolo di fuga, la misura degli arresti domiciliari con l’ausilio del cosiddetto braccialetto elettronico si dovrebbe considerare per definizione idonea a prevenire il pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio. Il che, tuttavia, non è previsto dalla legge, la quale invece ben consente al giudice di ritenere – indicandone, come ha fatto il Tribunale di Firenze, le specifiche ragioni l’inidoneità, nel caso concreto, della menzionata meno afflittiva misura a soddisfare le esigenze cautelari, ivi compresa quella di evitare la reiterazione di reati contro il patrimonio.
Quanto all’avanzata censura di contraddittorietà, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, non sussiste alcuna contraddizione tra l’escludere che vi sia il pericolo che l’indagato si possa dare alla fuga e il ritenere che lo stesso indagato possa non rispettare la misura degli arresti domiciliari, atteso che l’esclusione del suddetto pericolo di fuga non esclude anche, logicamente, che l’indagato, senza con ciò fuggire, si possa temporaneamente allontanare dalla propria abitazione.
4. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 31/05/2024.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2024.