Art. 605 c.p. – Sequestro di persona. Le riprese di una telecamera di un Bar, che immortalano il momento del reato, sono fondamentali ai fini della prova (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 2 gennaio 2020, n. 34).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente

Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Santo nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 16/01/2018 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Angelo CAPUTO;

uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. Felicetta MARINELLI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la parte civile, l’avv. Francesco Patti, in sostituzione dell’avv. Caterina Galati Rando, che ha depositato conclusioni scritte, alle quali si è riportato, e nota spese; e, per il ricorrente, l’avv. Sandro Costanzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza deliberata il 16/01/2018, la Corte di appello di Caltanissetta, per quanto è qui di interesse, ha confermato la sentenza del 14/01/2015 con la quale il Tribunale di Enna, sempre per quanto è qui di interesse, aveva dichiarato Santo (OMISSIS) responsabile, in concorso con altri e in più persone riunite (alcune non identificate), dei reati di lesioni gravi, aggravate anche dalla premeditazione e dalla minorata difesa, e di sequestro di persona aggravato in danno di Giuseppe (OMISSIS) e lo aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Caltanissetta ha proposto ricorso per cassazione Santo (OMISSIS), attraverso il difensore avv. Sandro Costanzo Piccinino, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

Il primo motivo denuncia vizi di motivazione, avendo la Corte di appello confermato la sentenza di primo grado sulla base della sola deposizione della persona offesa, malgrado la sua palese inattendibilità e l’atto di appello concernente la descrizione delle scarpe indossate da uno degli aggressori, che tendeva a dimostrare l’assoluta estraneità dell’imputato.

La Corte di appello ha evidenziato che dalle riprese in un bar si vedeva l’imputato indossare scarpe di colore nero scuro, laddove la sentenza impugnata ha omesso di motivare sul fatto che (OMISSIS) ha sempre fatto riferimento a scarpe lucide nere eleganti a strappo, mentre la sera in cui fu arrestato (OMISSIS) calzava scarpe del tutto diverse marca Adidas.

Il secondo motivo denuncia mancata assunzione di prove decisive, ossia di una perizia volta a rendere più chiare le immagini delle telecamere del bar.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. A fondamento della conferma della decisione di condanna in primo grado, la Corte di appello ha valorizzato la circostanza che (OMISSIS) fu fermato alle 23,00 della sera dei fatti presso i luoghi in cui era avvenuto il sequestro a bordo di un’auto bianca, del tutto simile a quella descritta da Eliseo (OMISSIS) (che era in compagnia della vittima quando questa fu sequestrata): l’auto presentava al suo interno non solo tracce di sangue, ma addirittura il giubbotto di Giuseppe (OMISSIS).

2.1 La Corte di appello ha poi argomentato in ordine alla conferma del giudizio di inattendibilità di un teste della difesa, rilevando, altresì, che dalle immagini delle scarpe riprese dalle telecamere del bar (poco prima dei fatti, come precisa la sentenza di primo grado) si vede chiaramente l’imputato indossare scarpe di colore scuro.

2.2. A fronte della motivazione della Corte di appello, il ricorso si sottrae in toto alla disamina critica del nucleo essenziale del compendio probatorio valorizzato dai giudici di merito, ossia il ritrovamento dell’imputato nell’auto sporca di sangue, con il giubbotto della vittima e nei pressi dei luoghi dei fatti: il ricorso, pertanto, risulta, in entrambi i motivi, del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849).

3. Del pari nessun rilievo critico è svolto con riguardo al giudizio di inattendibilità del testimone della difesa, laddove, quanto alla questione delle scarpe, il ricorso si affida a censure in fatto (le scarpe indossate dall’imputato al momento dell’arresto), non correlate alla completa e specifica individuazione degli atti processuali fatti valere (Sez. 6, n 9923 del 05/12/2011 – dep. 2012, S., Rv. 252349).

4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, che, vista la nota spese depositata, devono essere liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Condanna altresì l’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 2800,00, oltre accessori come per legge, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario.

Così deciso, in Roma, il giorno 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il giorno 2 gennaio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.