Assegno di mantenimento: cosa succede in caso di morte di uno dei coniugi? (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civile, Sentenza 24 giugno 2022, n. 20495)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente di Sezione –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5166-2020 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3110/2019 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 29/11/2019.

Udita la relazione  della causa  svolta  nella camera  di consiglio del 10/05/2022 dal Consigliere, Dott.ssa LOREDANA NAZZICONE;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa RITA SANLORENZO, la quale chiede che le Sezioni Unite della Corte di cassazione – previa affermazione del principio di diritto in base al quale nel caso di decesso di uno degli ex coniugi, che segua alla formazione del giudicato interno che dichiara lo scioglimento del vincolo coniugale, il procedimento per la determinazione del diritto all’assegno deve comunque proseguire riguardando diritti patrimoniali maturati a tale titolo nei confronti del de cuius sino alla data dell’avvenuto decesso – voglia rigettare il ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. – Con decreto del 12 marzo 2019, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha respinto il ricorso proposto dall’ex coniuge, volto alla revoca dell’attribuzione di un assegno divorzile di € 2.240,00 mensile in favore della ex moglie.

In sede di reclamo, la Corte di appello di Messina con decreto del 29 novembre 2019, in parziale riforma, ha ridotto di € 500,00, quindi fissato nella misura di € 1.740,00, il predetto importo, a decorrere dalla pubblicazione del decreto.

Ha ritenuto la corte territoriale che la percezione, da parte della beneficiaria dell’assegno, di una somma rilevante (pari a circa € 400.000,00) integrasse un fatto nuovo, idoneo a modificare in melius le condizioni pregresse, indipendentemente dalla circostanza fatto che una parte della somma sia poi stata donata alle figlie, mentre per il reclamante il fatto nuovo sopravvenuto, del pari idoneo a modificarne in peius la situazione complessiva, è la malattia grave da cui egli è stato colpito, con le relative spese di cura e di viaggio; ha ritenuto assenti, invece, le condizioni per revocare l’assegno, sebbene la richiedente disponesse di una casa con relative pertinenze e nel suo patrimonio fosse entrata un considerevole somma.

2. – Avverso questa decisione proposto ricorso per cassazione, fondato su tre motivi.

Si difende con controricorso l’intimata.

Pervenuta alla Sesta Sezione civile-Sottosezione prima, e depositata memoria dal ricorrente, con ordinanza interlocutoria del 20 gennaio 2022, n. 1814 la causa, in ragione del venir meno del medesimo ricorrente in corso del giudizio di legittimità, è stata rimessa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, sulla questione se il decesso del coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile determini la cessazione della materia del contendere, in un caso in cui egli abbia intrapreso il giudizio per la revisione dell’obbligo di corrispondere l’assegno, o se tale giudizio debba proseguire da parte dei suoi eredi.

Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

La parte ricorrente ha depositato la memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

La causa è stata posta in decisione all’udienza collegiale del 10 maggio 2022.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I Motivi.

Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 5 e 9 I. 1° dicembre 1970, n. 898, in quanto la corte del merito non ha tenuto conto degli insegnamenti di Cass., sez. un., n. 18287 del 2018, non avendo accertato l’inadeguatezza dei mezzi economici della ex coniuge o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive: al contrario, essa ha successivamente ereditato importanti cespiti, e divenuta proprietaria dell’abitazione in cui vive e di un magazzino, che essa lascia artatamente vuoto ed inutilizzato e che potrebbe essere utilmente locato con un buon reddito; la stessa donazione di € 200.000,00 alle figlie, di cui la Corte d’appello dà atto, dimostra che l’ex coniuge non ha nessun problema economico ed anzi gode di notevoli disponibilità.

Con il secondo motivo, lamenta la nullità del decreto impugnato, ai sensi dell’art. 132, comma, n. 4, cod. proc. civ., per assoluta mancanza di motivazione circa il quantum della riduzione operata.

Con il terzo motivo, deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 9 I. n. 898 del 1970, con riguardo alla decorrenza della riduzione, arbitrariamente fissata dall’emissione del decreto e non dal deposito del ricorso introduttivo.

2. – La vicenda.

La vicenda in esame ha visto la pronuncia di una iniziale sentenza sullo status in data 17 dicembre 2012, con prosecuzione del giudizio ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, conclusosi con l’affermazione dell’obbligo, a carico dell’ex marito, di pagare la somma mensile di € 240,00 in favore dell’ex moglie, disposto dal Tribunale con la sentenza del 13 giugno 2013, appellata e confermata dal giudice di secondo grado.

Quindi, con ricorso depositato il 22 dicembre 2017, il coniuge onerato ha agito per la revoca dell’assegno, istanza parzialmente accolta in sede di giudizio di reclamo con la riduzione del medesimo ad € 1.740,00.

Intrapreso il giudizio di cassazione e formulata dalla Sezione VI-1 proposta di accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza, nel mese di novembre 2021 la ex coniuge controricorrente ha depositato istanza di interruzione del giudizio, in ragione del sopravvenuto venir meno del ricorrente.

Oggetto della rimessione alle Sezioni unite sono, pertanto, le questioni concernenti le sorti del processo in simile evenienza, con riguardo alle figure delle parti del giudizio divorzile o di modifica delle condizioni di esso, alla natura delle sentenze pronunciate, alla successione, all’interruzione ed alla riassunzione della causa.

3. – Il procedimento di divorzio.

I commi 12, 13 e 14 dell’art. 4 I. 10 dicembre 1970, n. 898 (art. sostituito dal d.l. 14 marzo 2005, n, 35, conv. in I. 14 maggio 2005 n, 80) prevedono, rispettivamente, che:

a) nel caso  in  cui  il  processo  debba  continuare  per  la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, e che avverso tale sentenza è ammesso solo l’appello immediato; formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’art. 10, dovendosi trasmettere la sentenza in copia autentica, a cura del cancelliere, all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni e le ulteriori incombenze, onde lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio «hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza»;

b) quando sia stata pronunciata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza sull’an circa l’obbligo di somministrazione dell’assegno, può disporne gli effetti sin dalla domanda;

c) «per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva».

In tal modo, si permette la definizione del giudizio sullo status al più presto, con la formazione del giudicato: onde la sentenza si limita alla statuizione sullo status, come sovente accade per l’esigenza, da un lato, di soddisfare il desiderio della rapida riconquista dello status di soggetto non coniugato (non si parla di status di divorziato «che è uno  status  inesistente,  determinando,  piuttosto,  la  pronuncia  di divorzio la riacquisizione dello stato libero»: cosi, in motivazione, Cass. 23 gennaio 2019, n. 1882), e, dall’altro lato, di permettere, per i profili patrimoniali connessi alla condizione di bisogno di uno dei coniugi, il più complesso accertamento.

Il legislatore discorre qui di “sentenza non definitiva” nel senso che il giudice non si spoglia dell’intero processo: si tratta peraltro di una sentenza definitiva parziale, in quanto definisce la questione di status.

4. – Il procedimento di revisione dell’assegno.

A sua volta, l’art. 9 I. n. 898 del 1970 prevede che, qualora sopravvengano «giustificati motivi», dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, con procedimento in camera di consiglio, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni sulla misura e sulle modalità dell’assegno.

La domanda di revoca o riduzione dell’assegno divorzile, già disposto in favore dell’altro coniuge, può dunque sopravvenire anche al giudicato, che viene appunto annoverato nella categoria del giudicato rebus sic stantibus, in quanto per definizione soggetto al perdurante adeguamento alle situazioni sopravvenute. Infatti, il titolo esecutivo in materia di famiglia è sì assistito da definitività equiparabile al giudicato, ma si tratta di un giudicato del tutto peculiare (fra le altre, Cass. 2 luglio 2019, n. 17689; Cass. 30 luglio 2015, n. 16173), riguardo al quale i fatti sopravvenuti possono rilevare attraverso un procedimento ad hoc, quale nella specie dettato dell’art. 9 I. n. 898 del 1970 per il divorzio.

Ciò si lega alla stretta interrelazione con una determinata situazione pregressa suscettibile naturaliter di un’evoluzione imponderabile, perché legata alle vicende personali degli ex coniugi, tanto da fondare l’esigenza di un previo formale intervento, devoluto al  giudice,  sul  titolo  preesistente  nel  superiore  e  pubblicistico interesse della migliore composizione possibile delle esigenze dei componenti della famiglia disciolta.

La  speciale  procedura  di  revisione  dei  provvedimenti  sul contributo al mantenimento dell’ex coniuge, di cui all’art. 9 I. n. 898 del 1970, è volta a rivedere, modificare o neutralizzare l’efficacia propria di titolo esecutivo giudiziale.

Al riguardo, il giudice dovrà compiere la necessaria, complessiva, approfondita e comparativa valutazione tra le situazioni rilevanti di entrambi i coniugi, riferita a molteplici fattori.

La revisione dell’assegno divorzile, di cui alla norma richiamata, postula invero l’accertamento di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi, idoneo a modificare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, quale presupposto fattuale – integrante i «giustificati motivi» di cui è parola nell’art. 9 – necessario per procedere al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali (cfr. Cass. 5 giugno 2020, n. 10467; Cass. 20 gennaio  2020, n. 1119; Cass. 5 marzo 2019, n. 6386; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2953; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2953; Cass. 13 gennaio 2017, n. 787; Cass. 29 dicembre 2011, n. 30033; Cass. 2 maggio 2007, n. 10133; Cass. 25 agosto 2005, n. 17320).

Si deve, dunque, verificare se siano sopravvenuti elementi fattuali, idonei a destabilizzare l’assetto patrimoniale in essere, nel qual caso il giudice di merito dovrà fare applicazione dei nuovi principi, quali emergenti dalle recenti pronunce di questa Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), per modificarlo e adeguarlo all’attualità.

In tali ipotesi, il ricorrente si propone, dunque, la cessazione o la riduzione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno all’ex coniuge, a decorrere sin dalla domanda di revisione, con la conseguente domanda di restituzione dell’indebito, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ.

5. – Il venir meno di un coniuge nel corso del giudizio di revisione dell’assegno.

Posto quanto detto in ordine all’oggetto degli accertamenti giudiziari sulla domanda di revisione, il venir meno di un coniuge – sia egli l’obbligato, sia l’avente titolo all’assegno – non comporta la improseguibilità del giudizio di revisione.

La sentenza sullo status è, in tal caso, ormai definitiva e non più modificabile.

Al contrario, quella sull’assegno è, come visto, rivedibile, in ragione del mutamento delle condizioni e per un «giustificato motivo»: pertanto, il Collegio delle S.U. ha reputato che, venuta meno una delle parti del rapporto di solidarietà post-coniugale, la domanda di accertamento della non debenza dell’assegno dalla data della domanda stessa a quella del decesso prosegua da parte degli eredi dell’obbligato, onde il processo può giungere al suo esito, ai fini dell’accertamento della non debenza e del diritto di credito alla ripetizione dell’indebito per le somme versate sin dalla domanda di revisione, richieste in vita dal coniuge obbligato, di cui gli eredi divengono titolari.

In una situazione come quella di specie, in cui si è verificato il decesso dell’ex coniuge, obbligato ed istante per la revisione del debito, con riguardo alla somma versata ed oggetto di domanda di ripetizione, nel periodo intercorrente dalla domanda di revisione sino al decesso dell’ex coniuge medesimo, è data dunque la possibilità, per gli eredi del de cuius, di pervenire all’accertamento richiesto.

Tale conclusione è indotta dalla considerazione che la perdurante pendenza del solo giudizio sulle domande accessorie può costituire una causa di “scissione” del carattere unitario proprio del giudizio di divorzio, che perverrà così alla pronuncia su di quelle.

Il processo di divorzio ha una finalità e con essa un contenuto compositi, mirando in primo luogo a realizzare il diritto potestativo del coniuge alla elisione dello status matrimoniale, ma con esso, simultaneamente, anche a tutelare una serie di diritti fondamentali relativi alle primarie esigenze della parte eventualmente sul piano economico meno solida, nonché dei figli della coppia.

Riconoscendo e determinando  l’assegno di divorzio, il giudice traduce nel linguaggio della corrispettività quanto i coniugi abbiano compiuto, durante la vita comune, nello spirito della gratuità.

Con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287, le Sezioni Unite hanno stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione, sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

La peculiarità degli accertamenti probatori prescritti per legge sul tema della debenza di un assegno di mantenimento divorzile non impedisce tale conclusione.

L’art. 5, comma 6, I. n. 898 del 1970 tra i parametri sull’an e sul quantum dell’assegno esige lo scrutinio, da parte del tribunale, «delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», nonché del fatto che il richiedente «non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».

Dal suo canto, l’art. 5, comma 9, I. n. 898 del 1970, dispone che i coniugi «devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria».

Si tratta di elementi partecipativi al processo, con precisi obblighi di produzione istruttoria relativa al patrimonio personale e comune, con possibilità da parte del tribunale di disporre indagini sui redditi sui patrimoni e sul tenore di vita, che dovranno essere espletati nei confronti degli eredi.

E sui quali la Corte (Cass. 20 febbraio 1017, n. 4292; Cass. 28 gennaio 2011, n. 2098, fra le altre) ritiene che l’esercizio del potere del giudice di disporre, d’ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria costituisca una deroga alle regole generali sull’onere della prova, potere giudiziale il quale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito.

Occorre, altresì, chiarire che possono esservi obblighi pecuniari già entrati nel patrimonio dell’avente diritto: si tratta dei c.d. arretrati, i quali, in ipotesi concessi in via provvisoria oppure da una sentenza non passata in giudicato, non siano stati corrisposti dal coniuge obbligato da tale provvedimento e sino al suo decesso, e la cui debenza dunque permane.

Infatti, essi restano acquisiti, quale debito, al patrimonio del dante causa, e, come tali, passano agli eredi: onde l’altro coniuge rimasto in vita ben potrà agire, se sia ne mancato il pagamento, direttamente in executivis nei confronti di essi, giovandosi del medesimo titolo.

Ove, dunque, sussista un simile debito come avente titolo in una sentenza sull’assegno impugnata, il quantum liquidato dal giudice, afferente il periodo tra il momento del giudicato della sentenza sullo status (o la diversa decorrenza stabilita, anche da un provvedimento provvisorio) e quello del decesso è un debito maturato in vita dal de cuius e passa agli eredi, così che avverso medesimi potrà essere fatto direttamente valere in via esecutiva.

In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto:

«Nel caso di procedimento per la revisione dell’assegno divorzile, ai sensi dell’art. 9, comma 1, I. n. 898 del 1970, il venir meno del coniuge ricorrente nel corso del medesimo non comporta la declaratoria di improseguibilità dello stesso, ma gli eredi subentrano nella posizione del coniuge richiedente la revisione, al fine dell’accertamento della non debenza dell’assegno a decorrere dalla domanda sino al decesso, subentrando altresì essi nell’azione di ripetizione dell’indebito ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. per la restituzione delle somme non dovute».

6. – Il caso di specie.

Nella specie, l’inapplicabilità dell’istituto dell’interruzione nel giudizio di Cassazione comporta che la causa debba essere decisa con la delibazione dei motivi proposti.

Il primo ed il secondo motivo, miranti nel loro complesso a smentire i presupposti della pronuncia impugnata quanto ai requisiti dell’assegno divorzile, come tale unitariamente scrutinabili, sono fondati, mentre resta assorbito il terzo motivo.

Invero, la decisione impugnata non ha correttamente applicato il disposto dell’art. 5 I. 1° dicembre 1970, n. 898, non avendo affatto motivato in relazione ai presupposti ed agli accertamenti dell’assegno divorzile, come delineati dagli insegnamenti delle Sezioni unite.

Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto all’assegno, «impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari»: invero, il «parametro dell’adeguatezza contiene in sé una funzione equilibratrice e non solo assistenziale-alimentare» (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287, in motiv.).

Nell’indicata finalità deve, in particolare, tenersi conto delle aspettative professionali sacrificate per una funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, non guidata dalla necessità di dare ricomposizione ai tenore di vita endoconiugale, ma dal riconoscimento del ruolo e dei contributo fornito dall’ex coniuge, economicamente più debole, alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (oltre alla citata Cass., sez. un., n. 18287 del 2018, si vedano Cass. 9 agosto 2019, n. 21234; 23 gennaio 2019, n. 1882; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5603, fra le altre).

La corte territoriale non ha richiamato l’orientamento dell’attuale diritto vivente, ma neppure ha valutato gli elementi di fatto e le situazioni pregresse, come invece richiesto dalla norma.

Il decreto impugnato, invero, ha riconosciuto l’attuale diritto all’assegno, senza né motivare sull’eventuale squilibrio patrimoniale, né porlo in relazione con gli altri parametri di legge, in particolare con il contributo fornito alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale del coniuge.

Come precisato da questa Corte, il fondamento costituzionale dei criteri indicati dall’art. 5, comma 6, I. n. 898 del 1971, rappresentato dall’art. 29 Cast., impone una valutazione concreta ed attuale della adeguatezza dei mezzi a disposizione dell’ex coniuge e dell’incapacità dello stesso di procurarseli per ragioni obiettive, fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, ma non disgiunta, bensì collegata causalmente con quella degli altri indicatori contenuti nella norma, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare.

La predetta valutazione risulta altresì coerente con la funzione assistenziale e, a determinate condizioni, compensativo-perequativa attribuita all’assegno, la quale esclude la possibilità di conferire rilievo al solo squilibrio economico tra le parti o all’elevato livello reddituale del coniuge obbligato, tenuto conto anche del superamento del precedente orientamento giurisprudenziale, che, individuando il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio quale parametro di riferimento ai fini della valutazione dell’adeguatezza dei mezzi economici a disposizione dell’ex coniuge istante, considerava coessenziale alla sua ricostruzione la differenza patrimoniale e reddituale esistente tra le parti.

Ma, nella specie, la corte del merito ha omesso di operare tutti gli accertamenti richiesti. Essa si è limitata ad argomentare circa l’ammissibilità della domanda di revisione, avendo accertato che l’interessata ha percepito un ingente importo, pari a circa € 400.000,00, evento in sé idoneo a rendere ammissibile la domanda di revisione dell’assegno, in una con il peggiorato stato di salute dell’obbligato (per il quale egli è poi deceduto).

Tuttavia, nella decisione di non revocare l’assegno, ma ridurlo di appena € 500,00 (e non “ad € 500,00”, come è stato a volte inteso), dunque lasciando permanere l’obbligo di pagamento della non esigua somma di € 1.740,00 mensili, ha omesso qualsiasi motivazione; e ciò, pur dando parimenti atto che la richiedente dispone di un’abitazione, con le relative pertinenze, e che appunto il suo patrimonio sia accresciuto di una considerevole somma.

Nessun effettivo accertamento essa ha operato circa l’inadeguatezza dei mezzi economici, l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, il contributo dato alla vita familiare, il rilievo sulla attuale situazione della richiedente.

Non solo, pertanto, non viene motivata la riduzione nella misura detta, del tutto apoditticamente disposta, ma la scarna motivazione non dà conto di avere operato nessuna valutazione circa i complessi presupposti dell’assegno.

7. – Il decreto impugnato va dunque cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, ai fini di un nuovo accertamento. Ad essa si demanda altresì la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni unite, accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 maggio 2022, nella riconvocazione in data 14 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2022.

SENTENZA – originale -.