Astinenza forzata per il boss mafioso che vuole un incontro riservato con la moglie (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 24 gennaio 2023, n. 3035).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BONI Monica – Presidente –

Dott. POSCIA Giorgio – Consigliere –

Dott. MAGI Raffaello – Rel. Consigliere –

Dott. ALIFFI Francesco – Consigliere –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) FRANCESCO nato a MESAGNE il 14/01/19xx;

avverso l’ordinanza del 01/10/2021 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;

lette le conclusioni del PG, Dott.ssa Kate TASSONE, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con ordinanza emessa in data 1 ottobre 2021 il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha respinto il reclamo introdotto da (OMISSIS) Francesco avverso il diniego opposto dal MdS alla esecuzione di un incontro riservato tra il (OMISSIS) e la moglie (a seguito di matrimonio celebrato in carcere) all’interno del carcere di Milano Opera.

1.1 Premesso che (OMISSIS) Francesco è sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41 bis ord.pen., il Tribunale evidenzia che la vigente legislazione non prevede simile modalità di esecuzione del colloquio e che la questione di legittimità costituzionale, introdotta dal reclamante, è manifestamente infondata.

Si compie riferimento ai contenuti espressi, sul tema, da Corte cost. n. 301 del 2012.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – (OMISSIS) Francesco, deducendo erronea applicazione di legge e con riproposizione del dubbio di legittimità costituzionale.

Dopo ampia premessa in fatto il ricorrente osserva che:

a) è innegabile la lesione del diritto alla sessualità e affettività garantiti al detenuto come ad ogni individuo, in ragione di una interpretazione delle disposizioni vigenti che non tiene conto di importanti sviluppi sovranazionali sul tema;

b) la stessa Corte Costituzionale, nella decisione del 2012 ha riconosciuto la necessità di un intervento legislativo che consenta il concreto esercizio di simile diritto;

c) la previsione espressa contenuta nella legge delega n.103 del del 23 giugno 2017, pur non attuata, dimostra la indifferibilità di simile intervento regolativo;

d) nessun rilievo, rispetto a siffatta esigenza, può essere attribuito alla gravità del reato in espiazione —

Tutto ciò posto, il ricorrente rileva che da un lato la necessità di una interpretazione conforme ai principi contenuti nella Convenzione Edu (art. 8 e art. 3) avrebbe reso possibile l’esercizio del diritto, dall’altro che il Tribunale avrebbe dovuto sollevare nuovamente – dato il tempo trascorso dalla decisione del 2012 – il dubbio di legittimità costituzionale.

3. Il ricorso è infondato, per le ragioni che seguono.

3.1 La ricognizione del vigente quadro normativo porta ad escludere che le disposizioni in tema di colloqui visivi di tutti i soggetti reclusi includano la tutela della affettività sessuale, intesa come intimità fisica – escludente ogni forma di osservazione esterna – tra il soggetto ristretto e il coniuge (o comunque la persona a lui legata da stabile relazione affettiva).

Sul punto, la considerazione espressa dal Tribunale non può che trovare conferma, posto che ai sensi dell’art. 18 legge n. 354 del 1975 e dell’art. 37 comma 5 del dPR n. 230 del 2000 i colloqui si svolgono sotto il controllo «a vista» del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria.

La necessità di una diversa regolamentazione – che non affidi al solo istituto dei permessi premio il soddisfacimento di simile componente della vita relazionale – è di certo avvertita da tempo ed ha trovato considerazione nei principi espressi dalla legge delega di riforma dell’ordinamento penitenziario, come ricordato dal ricorrente.

L’articolo 85 della legge delega n.103 del 2017, alla lettera n) testualmente recita [..] riconoscimento del diritto all’affettività delle persone detenute e internate e disciplina delle condizioni generali per il suo esercizio [..].

La previsione – non realizzata dal legislatore delegato – offre ulteriore conferma della impossibilità di costruire – in via interpretativa – una dimensione di fattibilità delle condizioni per l’esercizio di una attività altamente riservata come è quella oggetto della domanda del ricorrente.

3.2 Da tale prima considerazione deriva la necessità di valutare – anche al di là delle considerazioni espresse dal Tribunale di Sorveglianza – il dedotto profilo di illegittimità costituzionale delle disposizioni vigenti, prima indicate.

E, circa tale aspetto, non può che operarsi riferimento ai contenuti della decisione emessa dal giudice delle leggi, numero 301 del 2012, con cui venne ritenuta inammissibile la questione allora sollevata dal Magistrato di Sorveglianza di Firenze. In detto arresto si è ampiamente attribuita «cittadinanza» alla esigenza di tutela sottesa : [..]

L’ordinanza di rimessione evoca, in effetti, una esigenza reale e fortemente avvertita, quale quella di permettere alle persone sottoposte a restrizione della libertà personale di continuare ad avere relazioni affettive intime, anche a carattere sessuale: esigenza che trova attualmente, nel nostro ordinamento, una risposta solo parziale nel già ricordato istituto dei permessi premio, previsto dall’art. 30-ter della legge n. 354 del 1975, la cui fruizione – stanti i relativi presupposti, soggettivi ed oggettivi – resta in fatto preclusa a larga parte della popolazione carceraria.

Si tratta di un problema che merita ogni attenzione da parte del legislatore, anche alla luce dalle indicazioni provenienti dagli atti sovranazionali richiamati dal rimettente (peraltro non immediatamente vincolanti, come egli stesso ammette) e dell’esperienza comparatistica, che vede un numero sempre crescente di Stati riconoscere, in varie forme e con diversi limiti, il diritto dei detenuti ad una vita affettiva e sessuale intramuraria: movimento di riforma nei cui confronti la Corte europea dei diritti dell’uomo ha reiteratamente espresso il proprio apprezzamento, pur escludendo che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – e in particolare, gli artt. 8, paragrafo 1, e 12 – prescrivano inderogabilmente agli Stati parte di permettere i rapporti sessuali all’interno del carcere, anche tra coppie coniugate (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenze 4 dicembre 2007. Dickson contro Regno Unito, e 29 luglio 2003, Aliev contro Ucraina).

Tuttavia, si è contestualmente affermato che le numerose e complesse variabili di costruzione di una disposizione facoltizzante rendono necessario un intervento del legislatore, non surrogabile tramite una mera demolizione della vigente disposizione incentrata sul ‘controllo visivo’ del colloquio con la persona avente diritto : [..]

Al tempo stesso, l’eliminazione del controllo visivo non basterebbe comunque, di per sé, a realizzare l’obiettivo perseguito, dovendo necessariamente accedere ad una disciplina che stabilisca termini e modalità di esplicazione del diritto di cui si discute: in particolare, occorrerebbe individuare i relativi destinatari, interni ed esterni, definire i presupposti comportamentali per la concessione delle “visite intime”, fissare il loro numero e la loro durata, determinare le misure organizzative.

Tutte operazioni che implicano, all’evidenza, scelte discrezionali, di esclusiva spettanza del legislatore: e ciò, anche a fronte della ineludibile necessità di bilanciare il diritto evocato con esigenze contrapposte, in particolare con quelle legate all’ordine e alla sicurezza nelle carceri e, amplius, all’ordine e alla sicurezza pubblica.

Esigenze, queste, che la richiamata giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha, peraltro, ritenuto idonee a giustificare l’esclusione delle cosiddette «visite coniugali» a favore dei detenuti – ancorché qualificabile come interferenza con il diritto al rispetto per la propria vita familiare, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione – in forza di quanto stabilito dal secondo paragrafo di tale articolo […]

3.3 Ad avviso del Collegio si tratta di una posizione – quella testè ricordata – che tuttora inibisce la riproposizione della questione di legittimità costituzionale, dovendosi escludere che l’evoluzione della giurisprudenza sovranazionale (in riferimento ai contenuti dell’art. 8 Conv. Edu ) abbia «imposto» negli ordinamenti interni strumenti normativi idonei a realizzare la sessualità in carcere (v. Corte Edu Sez. I, 1.7.2021, caso Leslaw WojciK contro Polonia).

L’esistenza delle plurime opzioni di realizzazione dello «spazio per la sessualità» resta un dato obiettivo che prescinde dalla condizione del singolo soggetto e richiede un ponderato intervento legislativo.

4. Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 27 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2023.

SENTENZA – originale -.