Attendono il momento propizio per agire e derubare un bancomat: condannati per tentato furto pluriaggravato (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 28 ottobre 2022, n. 40888).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Rel. Consigliere

Dott. CANANZI Francesco – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) SALVATORE nato a NAPOLI il 05/05/19xx;

(OMISSIS) GIUSEPPE nato a CITTA’ SANT’ANGELO il 22/05/19xx;

(OMISSIS) PASQUALE nato a NAPOLI il 07/11/19xx;

(OMISSIS) GIOVANNI nato a NAPOLI il 11/05/19xx;

avverso la sentenza del 17/05/2021 della CORTE di APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Maria Teresa BELMONTE;

udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale, Dott. Luigi GIORDANO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

L’avv. (OMISSIS) si riporta integralmente ai motivi per le posizioni (OMISSIS) e (OMISSIS); per la posizione (OMISSIS) espone i motivi di gravame ed insiste per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Firenze in parziale riforma della decisione del Tribunale di Empoli- che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato Salvatore (OMISSIS), Giuseppe (OMISSIS), Pasquale (OMISSIS) e Giovanni (OMISSIS) colpevoli di tentato furto pluriaggravato (art. 625 nn. 2 e 5 cod. pen. ) ai danni dell’agenzia del Monte dei Paschi di Siena – frazione Pontorme del comune di Empoli – per avere compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco ad impossessarsi del denaro detenuto all’interno del bancomat -ha rideterminato il trattamento sanzionatorio, riducendo la pena a loro inflitta ad anni uno, mesi cinque e giorni 23 di reclusione.

1.1. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, poco dopo la mezzanotte del 3 ottobre 2012, alle 00.20, un agente di polizia penitenziaria, dalla finestra della propria abitazione, aveva notato nel parcheggio pubblico sottostante quattro uomini che, dopo aver confabulato, erano saliti, due su un furgone bianco, e due su un’auto scura; da quest’ultimo veicolo era poi sceso un uomo anziano con il capo coperto da un cappellino, che aveva fatto il giro dell’isolato passando necessariamente dinanzi all’istituto bancario; al suo ritorno, i due che erano nel furgone bianco ne erano scesi, ponendosi a conversazione con l’uomo anziano, che gesticolava in direzione di un vicino distributore di carburante, come ad indicare la presenza di telecamere; i due uomini erano risaliti sul furgone e si erano allontanati, facendo ritorno dopo un paio di minuti e riprendendo a conservare con gli altri due; l’anziano aveva nuovamente compiuto il giro dell’isolato e, al ritorno, conversando con gli altri, gesticolava come a volerli invitare ad attendere; i due uomini a bordo del furgone entravano, quindi, nel cassone dello stesso, richiudendovisi, e poi tornavano nella cabina.

Di lì a poco (erano le 00.50) giungeva la polizia, allertata dal testimone oculare, e rinveniva (OMISSIS) e (OMISSIS) a bordo del furgone chiaro; (OMISSIS) e (OMISSIS) seduti nell’auto nera.

Il controllo dei veicoli portava al rinvenimento di strumenti idonei a scassinare casseforti senza lasciare impronte, a nascondere il volto alle telecamere (una lancia termica con tre bombole di propano e di ossigeno, piedi di porco, guanti e cappellini, una chiave inglese e torce), un navigatore satellitare con la cartografia della frazione Pontorme; inoltre, veniva rinvenuta una sedia appoggiata sotto una delle finestre posteriori della banca, che affacciava sul parcheggio in cui si trovavano gli imputati.

Risultava, dalla visione delle immagini riprese dalle telecamere di videosorveglianza esterne della banca, che nessuno degli arrestati aveva avuto accesso al servizio bancomat, mentre alle 00.20 un anziano si era soffermato per circa un minuto dinanzi alla vetrata della banca osservando la sala occupata dal bancomat per poi allontanarsi in direzione compatibile con quanto descritto dal testimone oculare.

Arrestati in flagranza, durante l’interrogatorio di garanzia, tutti e quattro gli imputati negavano i passaggi dinanzi alla banca, dichiaravano di essersi fermati nel parcheggio solo per riposare e di essere stati trovati addormentati all’arrivo della Polizia, senza spiegare le ragioni delle cose trovate in loro possesso.

La Corte di appello è pervenuta all’affermazione di responsabilità aderendo all’orientamento secondo cui assumono rilievo, ai fini della configurabilità del tentativo, non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quelli cc.dd. pretipici, costituenti un antecedente logico necessario della condotta delittuosa avuta di mira, che, pur classificabili come preparatori, facciano cioè fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo. Escludeva, altresì, la pure invocata desistenza volontaria.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati, con il ministero del rispettivo difensore di fiducia.

2.1. Tutti i ricorrenti hanno formulato analoga doglianza quanto alla rilevanza penale delle condotte tenute dagli imputati, sostenendo – attraverso il richiamo agli approdi dottrinari e giurisprudenziali in ordine al tema della configurabilità del tentativo di delitto – che la condotta non abbia avuto connotazioni di univocità tali da consentire di ritenere integrato il delitto tentato contestato, neppure seguendo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, fondato sulla tesi c.d. probabilistica.

2.1.1. (OMISSIS): anche seguendo tale linea interpretativa – in cui rileva, oltre alla idoneità dell’azione, l’univocità della direzione teleologica della volontà dell’agente, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto e alle modalità della condotta, essendo irrilevante che il fatto non si compia per cause indipendenti dalla volontà dell’agente – sottolineano i difensori che, nel caso di specie, a differenza di altri casi esaminati dalla giurisprudenza nelle pronunce evocate dai giudici di merito, gli imputati non si erano nemmeno portati nei pressi della porta di ingresso della banca, né erano entrati nei locali della banca, essendosi limitati a fare dei sopralluoghi. Ciò che non consentirebbe di ritenere integrati gli atti idonei e diretti in modo non equivoco alla commissione del furto dai danni dell’istituto bancario.

2.1.2. (OMISSIS): alla ritenuta idoneità dell’azione, ancorata al rinvenimento nella disponibilità degli imputati, di strumenti atti allo scasso, non si affianca l’ulteriore requisito della univocità degli atti, giacché – anche a volere considerare l’ora notturna, la vicinanza dell’istituto di credito, il sopralluogo effettuato dagli imputati, e al di là del discrimen tra atti preparatori e atti esecutivi – rileva la circostanza che, al momento dell’arrivo delle forze dell’ordine, gli imputati si trovavano tutti all’interno delle proprie autovetture, dormienti, ciò che elide la univocità in assenza di elementi che facciano ragionevolmente presumere l’imminenza della realizzazione del furto, o che esso, programmato in ogni dettaglio, avesse alta probabilità di successo. Non vi sono elementi concreti che consentano di ritenere superato il momento della progettazione.

2.1.3. (OMISSIS): e tanto perché anche l’orientamento giurisprudenziale prevalente, che considera superata la soglia di punibilità allorquando si sia in presenza di atti pur non ancora esecutivi, bensì solo preparatori, richiede che sia conclamata la loro univocità tanto da consentire di affermare che il delitto, elaborato in ogni dettaglio, sia prossimo alla commissione e che esso sarebbe stato commesso in assenza di impedimenti estemporanei.

Nel caso di specie, invece, l’intero iter criminis è il prodotto di una ricostruzione deduttiva che involge finanche il bersaglio dell’azione, cosicché non può dirsi acquisita né l’univocità né l’imminenza del delitto, e l’addebito si fonda su ricostruzioni di tipo probabilistico, incompatibili con il canone dell’al di là del ragionevole dubbio. Invero, anche a volere ritenere acquisito il dato probabilistico dell’intenzione di perpetrare un furto, risulta del tutto apodittica l’affermazione che si fosse nell’imminenza di commetterlo e che il bersaglio dell’azione fosse la banca, elemento affidato a elaborazioni del tutto congetturali.

2.1.4. (OMISSIS): sottolinea la difesa dell’indagato come non vi sia stato neppure l’inizio dell’azione di effrazione, giacché gli imputati sono stati fermati quando si trovavano all’interno dei propri veicoli in prossimità di una banca, e quindi senza avere mai conseguito neppure momentaneamente la disponibilità della res, né essa è mai stata in pericolo.

2.2. I difensori di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) contestano la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha escluso la desistenza, incorrendo in una palese violazione del principio del favor rei, oltre che in una argomentazione congetturale, laddove si esclude la desistenza a fronte di un’azione tipica mai iniziata: l’evidente situazione di incertezza registratasi in un caso giuridicamente estremo avrebbe dovuto condurre al riconoscimento della situazione più favorevole per l’imputato.

Si sottolinea ancora ((OMISSIS)) come non trovi riscontro l’affermazione della Corte di appello secondo cui i quattro stessero attendendo “circostanze più favorevoli” dal momento che l’istruttoria ha accertato l’ora tarda e l’assenza di ostacoli (passanti o altro) che fungessero da deterrente rispetto al furto, tali cioè da impedire o rendere particolarmente arduo l’inizio della condotta tipica.

2.3. Il difensore di (OMISSIS) formula un terzo motivo con cui si duole del diniego delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.., denunciando l’omessa motivazione con riferimento a quest’ultima, invocata anche con note scritte, nulla argomentando la sentenza impugnata circa le ragioni per cui, pur non essendo stato prodotto alcun danno all’istituto di credito, il (OMISSIS) non abbia potuto beneficiare della attenuante.

Illogica la motivazione con cui sono state negate le circostanze generiche per assenza di resipiscenza e per mancato ristoro del danno.

La prima non può, infatti, collidere con il diritto di difesa; il secondo deve tener conto della concreta assenza di danno.

2.4. Il difensore di (OMISSIS) ha formulato un ulteriore motivo con riguardo alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen., di cui vi sarebbe riscontro solo formale nella rubrica dell’imputazione, mentre manca la descrizione in fatto, restando incerto a quale fattispecie – se l’uso della violenza sulle cose, o l’utilizzo del mezzo fraudolento – sia riferibile la contestazione, e, comunque, non potendo essere configurata in termini del tutto ipotetici, atteso la mancata realizzazione della condotta predatoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi non sono fondati.

1. Come premesso, tutti i ricorrenti pongono il problema della rilevanza penale delle condotte tenute dagli imputati.

Le osservazioni svolte dai ricorrenti non hanno, tuttavia, pregio.

1.1. Da tempo, questa Corte ha affermato che «ai fini del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri e propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come atti preparatori, tuttavia, per le circostanze concrete (di luogo — di tempo — di mezzi ecc..) fanno fondatamente ritenere che l’azione — considerata come l’insieme dei suddetti atti — abbia la rilevante probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che l’agente si trovi ormai ad un punto di non ritorno dall’imminente, progettato, delitto e che il medesimo sarà commesso, a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualità, dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volontà del soggetto agente atteso che costui ha solo un modo per dimostrare di avere receduto dal proposito criminoso: ossia la desistenza volontaria (art. 56/3 c.p.) o il recesso attivo (art. 56/4 c.p.)» (Sez. 2, n. 36536 del 21/09/2011 Rv. 251145) Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, Rv. 254106; Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015 Cc. (dep. 12/10/2015 ) Rv. 264589; Sez. 2, n. 25264 del 10/03/2016, Rv. 267006; Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Rv. 269931; Sez. 2, n. 24302 del 04/05/2017,Rv. 269963).

1.2. Secondo l’indirizzo maggioritario, condiviso dal Collegio, l’atto preparatorio può, quindi, integrare gli estremi del tentativo punibile, quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una valutazione ex ante e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto (Sez. 5, n. 43255 del 24/09/2009 Rv. 245720; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 28213 del 15/06/2010 Rv. 247680; Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011 Rv. 250932; Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, Rv. 254106; Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015 Rv. 264589): al di là del tradizionale discrimen tra atti preparatori e atti esecutivi, rileva, ai fini della punibilità del tentativo, l’idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell’obiettivo delittuoso, nonché l’univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta (Sez. 5, n. 7341 del 21/01/2015 Rv. 262768).

Si è, infatti, osservato che, in realtà, la “disputa” sulla rilevanza dei soli atti cd. esecutivi ovvero anche di quelli cd. preparatori perde di significato una volta correttamente inteso il requisito della idoneità degli atti, il quale deve essere valutato in termini oggettivi, nel senso che gli atti, considerati, esaminati nella loro oggettività e nel contesto in cui si inseriscono, devono possedere l’intrinseca attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito, rivelando la sua attuazione (Sez. 6, n. 25065 del 17/02/2011, Alfano e altri, Rv. 250421).

E’ in questa prospettiva che il prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità attribuisce al requisito dell’univocità degli atti una connotazione non già di criterio di mera prova (in questo senso, Sez. 2, n. 3596 del 01/02/1994 – dep. 25/03/1994, P.M. in proc. Evinni, Rv. 197753), ma di “criterio di essenza”: l’univocità degli atti nel delitto tentato, dunque, deve essere considerata come una caratteristica oggettiva della condotta, sicché è necessario che gli atti, in sé stessi, per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura ed essenza, rivelino, secondo le norme di esperienza e l’id quod plerumque accidit, il fine perseguito dall’agente (Sez. 5, n. 43255 del 24/09/2009 Rv. 245721; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 25065 del 17/02/2011, Rv. 250421; Sez. 1, n. 9284 del 10/01/2014, Rv. 259249); in altri termini, per affermare l’univocità degli atti, ancorché la prova del dolo sia stata desunta allunde, è necessario effettuare una seconda verifica per accertare se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettività per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura e la loro essenza, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e secondo l‘id quod plerumque accidit, il fine perseguito dall’agente (Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015 – dep. 29/01/2016, Zaninetta, Rv. 267563).

Discende da tali coordinate che il tentativo è punibile non solo quando l’esecuzione è compiuta, ma anche quando l’agente ha compiuto uno o più atti (non necessariamente esecutivi) che indichino, in modo inequivoco, la sua volontà di voler compiere un determinato delitto; ovvero, in tutti quei casi in cui l’agente abbia approntato e completato il suo piano criminoso in ogni dettaglio ed abbia iniziato ad attuarlo, pur non essendo ancora arrivato alla fase esecutiva vera e propria, ossia alla concreta lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice (Sez. 2, n. 25016 del 08/04/2022).

1.3. Di tali principi la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione, individuando tutti gli indici rivelatori di un’azione univocamente diretta alla consumazione del delitto, ovvero:

– la precisa individuazione dell’obiettivo, raggiunto dopo aver percorso centinaia di chilometri per portarsi con un furgone presso un istituto di credito previamente individuato, dotandosi di un satellitare cartografico per orientarsi nel raggiungimento del luogo e nella successiva fuga;

– è stato sottolineato – a smentire l’obiezione difensiva sul punto – come deponessero per la chiara individuazione dell’obiettivo sia la circostanza che l’agenzia del MPS fosse l’unico istituto bancario presente nelle immediate vicinanze sia i ripetuti sopralluoghi effettuati dallo (OMISSIS);

– la progettazione dettagliata dell’azione, fin nei minimi particolari, anche attraverso ripetuti sopralluoghi compiuti da uno dagli imputati, ripresi dalla telecamera della banca, e seguiti dai conciliaboli con gli altri imputati;

– una notevole progressione nell’organizzazione del reato, con la predisposizione degli strumenti per lo scasso pronti per l’uso, di maschere per il travisamento e di guanti e la preparazione finanche di bombole di ricambio per la lancia termica caricate oltre misura.

La Corte di appello ha, dunque, enucleato gli indici univocamente rivelatori di un’azione criminosa in irreversibile movimento verso l’esecuzione del delitto: individuazione dell’obiettivo; progettazione dell’azione; progressione nell’organizzazione con la predisposizione degli strumenti da scasso e per mascherarsi e la trasferta di centinaia di chilometri, dalla Campania fino al comune toscano.

Condivisibilmente, quindi, la Corte di appello, alla luce di tali chiari “indici univocamente rivelatori di un’azione ormai in movimento verso l’esecuzione del delitto”, ha ravvisato una condotta idonea e univocamente diretta alla commissione del delitto contestato, ponendo in rilievo come il comportamento degli imputati “palesava una pervicace e ferma volontà di consumazione del delitto, un dolo particolarmente forte ed insistente che, a fronte delle condizioni oggettive notate dallo (OMISSIS) e riferite nei successivi conciliaboli direttamente notati dal testimone oculare, li avevano spinti a trattenersi e ad aspettare un momento più propizio per dare inizio alla condotta predatoria con violenza sulle cose”.

2.4. Dopo avere, altresì, correttamente sottolineato come la non imminenza del colpo non costituisca l’unico parametro di riferimento, a fronte di indici univoci di un’azione diretta alla consumazione del delitto (Sez. 2, n. 24302 del 04/05/2017, Rv. 269963, in una fattispecie relativa a tentativo di rapina ad un furgone portavalori, con riferimento alla quale la S.C. ha ritenuto che erroneamente il tribunale del riesame, in riforma dell’ordinanza coercitiva, avesse escluso l’univocità degli atti solo per la non imminenza dell’assalto, senza tener conto degli altri indici utilizzabili per stabilire se l’azione avesse una significativa probabilità di essere portata a compimento, tra cui l’individuazione dell’obiettivo, la progettazione dell’azione nei minimi particolari, la progressione nell’organizzazione – con l’approvvigionamento di una pala gommata, di armi e di maschere per i volti – nonostante la certezza del monitoraggio delle forze dell’ordine, nonché la scelta di un’idonea strada con curve a gomito per l’agguato), i Giudici di merito hanno escluso la possibilità di ravvisare, in un siffatto contesto, una condotta desistente, osservando che “se gli imputati avessero effettivamente desistito dal commettere il furto si sarebbero allontanati dal parcheggio, dove non avevano alcuna ragione per trattenersi” (pg. 8 sentenza primo grado), che si integra con quella conforme di appello (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 – dep. 05/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145), potendo la motivazione essere apprezzata congiuntamente a quella della sentenza oggi impugnata, in presenza di una “doppia conforme” (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), e lucidamente considerando che, in realtà, “le passeggiate” compiute dallo (OMISSIS) “li avevano spinti a trattenersi e ad aspettare un momento più propizio per dare inizio alla condotta predatoria”.

Anche sotto tale ultimo profilo la sentenza impugnata risulta coerente con l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di desistenza dal delitto, la decisione di interrompere l’azione criminosa deve essere il frutto di una scelta volontaria dell’agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volontà o necessitata da fattori esterni (Sez. 3, n. 17518 del 28/11/2018, dep. 2019, Rv. 275647 -01).

La mancata consumazione deve dipendere dalla volontarietà, intesa come scelta di non proseguire nell’azione criminosa, che deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne che rendano irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell’azione criminosa (cfr., tra le molte, in tema specificamente di furto, Sez. 4, n. 12240 del 13/2/2018, Ferdico, Rv. 272535; Sez. 5, n. 22994 del 28/04/2022).

Nel caso di specie, la condotta degli imputati, in particolare la permanenza sul posto, lungi dal l’esprimere desistenza, denota, piuttosto, come condivisibilmente ritenuto nelle sedi di merito, che essi attendevano il momento più favorevole per realizzare il crimine piuttosto che desistere dal proposito criminoso.

E che, rispetto all’orario dell’intervento delle forze dell’ordine (poco dopo la mezzanotte), le prime ore del mattino (dalle 2 alle 5) siano quelle più propizie per la commissione di azioni predatorie, corrisponde a condivisa massima di esperienza, della quale gli stessi imputati si sono dimostrati ben consapevoli, allorché decisero di attendere la notte inoltrata per entrare in azione pressoché indisturbati.

I Giudici di merito, non solo hanno congruamente motivato la individuazione degli elementi fattuali sintomatici dell’imminente realizzazione del furto, ma hanno anche svolto condivisibili osservazioni- a smentire l’assunto che si concentra sull’assenza di univocità degli atti – quando hanno sottolineato che i quattro imputati si erano mossi portando con sé attrezzi atti allo scasso e armi micidiali, che, ove fossero stati intenzionati esclusivamente a fare un sopralluogo in vista di una solo futura realizzazione del colpo, non avrebbero avuto necessità di portare e, soprattutto, non avrebbero corso un inutile rischio di essere fermati con tali armi, essi essendo, tutti, già tutti pregiudicati per reati specifici (cfr. pg . 7 della sentenza di primo grado).

Alla luce di tali stringenti argomentazioni, logicamente supportate, non residua, dunque, spazio per il dubbio veicolato dai ricorrenti, giacche, dalla ricostruzione di merito, emerge chiaramente come gli agenti avessero definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, e che fossero in procinto di conseguire l’obiettivo programmato.

Può dunque affermarsi che “risponde di tentativo di furto l’agente che, avendo individuato in uno sportello bancario l’obiettivo e svolto una programmazione accurata del piano, anche attraverso idonei sopralluoghi, si sia portato, in tarda sera, nei pressi dell’istituto bancario, dotato di attrezzi, anche micidiali, atto allo scasso e al mascheramento, venendo colto dalle forze dell’ordine mentre si trova in auto in attesa di un’ora e un momento propizi”.

3. Non coglie nel segno neppure la deduzione in ordine alla configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen..

Invero – premesso che, come ritenuto dalla Corte di appello, la contestazione in fatto è chiaramente riferita alla violenza sulle cose, atteso che l’unica possibilità di accesso alla banca e di sottrazione del denaro contante custodito nell’ATM passava per la effrazione della porta di ingresso servendosi degli strumenti che gli imputati avevano portato con sé, e, dunque, con violenza sulle cose – quanto alla sua sussistenza, va richiamato l’approdo delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 23243 dei 28/03/2013, Rv. 25552801), che, occupandosi del tentativo di delitto circostanziato, ha chiarito che quest’ultimo si identifica nel tentativo di un delitto che, se fosse giunto a consumazione, sarebbe apparso qualificato da una o più circostanze.

Hanno precisato le Sezioni Unite che “In realtà, la natura esclusivamente dolosa del delitto tentato comporta che determinate circostanze (aggravanti o attenuanti) ben possano essere presenti nel momento ideativo e volitivo del delitto, come modalità e/o finalità dell’azione che si intende compiere.

Naturalmente è richiesto che la volontà criminosa non rimanga allo stadio di semplice intendimento, ma si manifesti attraverso condotte significative, cui sia collegata una apprezzabile probabilità di “successo” (appunto: atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto).

Anche le circostanze non realizzate, dunque, (è l’ipotesi del tentativo di delitto circostanziato, cioè del delitto circostanziato tentato), contribuiscono integrare e a caratterizzare il proposito criminoso.”

Si tratta, certamente, di una valutazione ipotetica, ma, non per questo, inibita al giudice, giacché, al contrario, essa è connaturale all’accertamento del delitto tentato (o dei delitti a consumazione anticipata), posto che al giudicante è richiesto di valutare, non la condotta -in sé -tenuta dall’agente, ma tale condotta in relazione all’obiettivo che l’agente si proponeva di raggiungere, di valutarla, cioè, “come se” l’evento voluto si fosse, in realtà, realizzato (Sez. 5, n. 17087 del 17/02/2022).

A tali principi la Corte di appello si è attenuta, individuando la circostanza aggravante in esame nelle modalità specifiche dell’azione, quale si è manifestata concretamente.

4. Per le medesime considerazioni risulta del tutto infondata la doglianza del difensore di (OMISSIS), per il diniego della circostanza attenuante del danno di lieve entità, stante la presumibile gravità del danno patrimoniale che il furto avrebbe causato ( cfr. sentenza di primo grado pg. 8).

4.1. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, già il Tribunale aveva evidenziato l’inclinazione a delinquere degli imputati, quali si era manifestata con la complessa organizzazione del delitto, nonché per i precedenti di ciascuno, avendo la Corte di appello evidenziato l’assenza di elementi positivamente apprezzabili.

Posto che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).

5. Al rigetto dei ricorsi segue, ex lege, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.