REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
Dott. Aldo Aceto – Presidente –
Dott. Emanuela Gai – Consigliere –
Dott. Alessio Scarcella – Relatore –
Dott. Antonio Corbo – Consigliere –
Dott. Alberto Galanti – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato a BRINDISI il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 20/02/2023 del TRIBUNALE di BRINDISI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. LUIGI GIORDANO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20 febbraio 2023, il Tribunale di Brindisi dichiarava (omissis) (omissis) colpevole del reato di trasporto abusivo di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi nonché di averli abbandonati successivamente a ridosso di un canneto, in relazione a fatti contestati come commessi in data 30.12.2020, condannandolo alla pena di 3000 euro di ammenda, oltre alla confisca del veicolo e dei rifiuti in sequestro ed alla distruzione di questi ultimi.
2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico motivo, di seguito sommariamente indicato.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 256 TUA ed il correlato vizio di motivazione. In sintesi, si sostiene che l’istruttoria svolta non avrebbe dimostrato l’illiceità della condotta contestata.
Richiamata la giurisprudenza formatasi in relazione alla distinzione tra l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 256, comma 1, e la previgente disciplina dettata dall’art. 255, comma 1, TUA (sanzionato amministrativamente prima delle modifiche introdotte dall’art. 6-ter, comma 1 del D.L. 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla L. 9 ottobre 2023, n. 137, che ha attribuito rilevanza penale al fatto), sostiene la difesa del ricorrente che è la stessa sentenza ad affermare che l’imputato stesse trasportando autonomamente i rifiuti descritti nell’imputazione. Difetterebbe pertanto la qualifica soggettiva, in quanto l’imputato non è risultato essere in base agli elementi di prova acquisiti, titolare di impresa o responsabile di enti.
Non sarebbe quindi possibile pervenire ad un’affermazione di responsabilità del ricorrente, che andava invero assolto per non essere il fatto previsto dalla legge come reato. Infine, si sostiene che i limiti quantitativi entro cui i rifiuti devono essere raccolti ed avviati ad operazioni di recupero o di smaltimento non potrebbero ritenersi superati.
Non vi sarebbe infatti alcun riferimento alle modalità di calcolo del volume dei rifiuti, essendo stato utilizzato un valore di riferimento a misura senza alcuna precisa indicazione di stima.
La circostanza che non sia stata precisata la quantità cubica del cumulo di rifiuti in sequestro indurrebbe a ritenere la mancanza di certezza circa l’effettiva consistenza del rifiuto.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 14 marzo 2024, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Secondo il PG, deve ritenersi certamente generica la doglianza come sviluppata dal ricorrente.
La difesa, in vero, non si confronta con lo schema motivazionale del provvedimento limitando a statuire acriticamente che il (omissis) non sarebbe responsabile della contravvenzione.
È evidente dalla lettura del ricorso che alcun concreto e puntuale motivo è indicato sull’insussistenza della responsabilità del ricorrente.
Deve quindi affermarsi che “il ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato.” (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268822 — 01).
Secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, comunque, il reato di cui all’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’esercizio, anche di fatto, di una attività economica, indipendentemente dalla qualifica formale dell’agente o della natura dell’attività medesima (Sez. 3, n. 56275 del 24/10/2017, Marcolini, Rv. 272356 – 01; Sez. 3, n. 30133 del 05/04/2017, Saldutti, Rv. 270323 – 01, che ha ribadito che il reato può essere commesso da qualsiasi impresa avente le caratteristiche di cui all’art. 2082 c.c., o di ente, con personalità giuridica o operante di fatto; Sez. 3, n. 19969 del 14/12/2016, dep. 2017, Boldrin, Rv. 269768 – 01; Sez. 3, n. 38364 del 27/06/2013, Beltipo, Rv. 256387 – 01; Sez. 3, n. 22035 del 13/04/2020, Rv. 247626 – 01).
Non è soltanto la qualifica formale di imprenditore a tracciare il confine tra il reato e l’illecito amministrativo, bensì anche lo svolgimento di fatto di attività sostanzialmente imprenditoriali (nel senso che, anche ai fini civilistici, la sostanza prevale sulla forma, cfr. artt. 2238, comma 1, e 2639 c.c.,.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, ai sensi dell’art. 24, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, è inammissibile.
2. È anzitutto generico per aspecificità perché non si confronta con la motivazione dell’impugnata sentenza che ha chiarito in maniera adeguata le ragioni per le quali il fatto andasse sussunto sotto l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 256, d.Igs. n. 152 del 2006.
Risulta infatti che l’imputato venne seguito da una pattuglia della stazione CC forestale il 30 dicembre 2020 mentre, alla guida di un autocarro che presentava il cassone carico di materiale ingombrante (un divano, una cucina e dei mobili, un frigorifero, alcuni bustoni in plastica contenenti indumenti, rifiuti inerti da demolizione, alcuni pneumatici fuori uso di pertinenza di velocipedi), si dirigeva lungo una strada sterrata nei pressi di una masseria, dove, ribaltando il cassone, abbandonava i rifiuti sul margine sinistro della strada interpoderale a ridosso di un canneto. Identificato, l’imputato esibiva un documento attestante l’iscrizione all’albo gestori ambientali del veicolo, per mezzo della società cooperativa recuperi francavillesi.
L’autocarro risultava intestato all’imputato e concesso in comodato alla predetta società in base ad un contratto del 27/05/2020, accertando tuttavia gli inquirenti che l’imputato aveva prestato attività lavorativa occasionale nell’interesse della società in base ad un contratto del 10/06/2020.
Il giudice di merito è quindi pervenuto ad affermare la responsabilità penale del ricorrente in base alla considerazione che, essendo l’imputato proprietario dell’autocarro, che era iscritto all’albo gestori ambientali, unitamente alla natura variegata dei rifiuti oggetto della condotta di abbandono, escludeva l’estemporaneità dell’attività di trasporto e di abbandono di rifiuti, corroborando l’ipotesi accusatoria che vedeva di fatti l’imputato esercitare l’attività imprenditoriale di gestione dei rifiuti, con conseguente sussunzione del fatto nell’ipotesi contravvenzionale contestata.
3. Quanto sopra, oltre ad essere scevro da illogicità manifeste, è assoluta- mente immune da censure anche in diritto.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il reato di cui all’art. 256, comma secondo, D.Igs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’esercizio, anche di fatto, di una attività economica, indipendentemente dalla qualifica formale sua o dell’attività medesima (Sez. 3, n. 56275 del 24/10/2017, Rv. 272356 – 01; Sez. 3, n. 38364 del 27/06/2013, Rv. 256387 – 01).
Nel caso di specie, il quadro probatorio delineato dal tribunale non lascia dubbi in merito alla circostanza che il ricorrente stesse trasportando rifiuti, poi abbandonati secondo le descritte modalità, non da comune cittadino, ma da soggetto che stava esercitando di fatto un’attività imprenditoriale di gestione di rifiuti: la quantità e l’eterogeneità dei rifiuti trasportati ed abbandonati, la circostanza che il mezzo fosse iscritto all’albo gestori ambientali per conto di una società operante nel campo dei recuperi ambientali, il fatto che egli ne fosse il proprietario, avendo ceduto in comodato il mezzo alla predetta società, lasciano infatti intendere che, quand’anche occasionale, la condotta gestoria fosse comunque legata ad un’attività di impresa e non svolta come comune cittadino.
4. Quanto sopra rende ragione del corretto giudizio di responsabilità penale cui è pervenuto il tribunale, rispetto al quale non assume, si noti, alcun rilievo la censura svolta dalla difesa del ricorrente secondo il quale, non essendosi accertato il quantitativo di rifiuti, non vi sarebbe certezza sull’effettiva consistenza.
Trattasi, infatti, di un dato assolutamente neutro rispetto alla configurabilità del reato contestato, per il quale rileva non la consistenza del rifiuto, ma la circostanza che quest’ultimo fosse gestito con modalità contrarie alla legge.
5. La critica, infine, alla determinazione del quantitativo dei rifiuti facendo ricorso ad un “valore di riferimento a misura senza alcuna precisa indicazione di stima”, il c.d. metodo spannometrico, si risolve in una censura inammissibile in questa sede.
Ed infatti, questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi sull’utilizzo del c.d. metodo spannometrico (Sez. 3, n. 2401 del 5/10/2017, dep. 2018, Mascheroni, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 40109 del 4/06/2015, Silvestri, non massi- mata).
A tal proposito, si è già ritenuto analogo motivo inammissibile, posto che attraverso il medesimo il ricorrente, nel caso in esame, più che censurare un preteso vizio della motivazione, svolge doglianze che si risolvono in una manifestazione di dissenso rispetto alla valutazione della prova operata dai giudici di merito, sostanzialmente invocando un terzo grado di merito, operazione, com’è noto, del tutto inibita davanti a questa Corte di legittimità.
Che questa sia la finalità ultima della censura, del resto, discende dallo stesso tenore dell’impugnazione, ponendo in discussione il ricorrente i pretesi errori di valutazione della documentazione fotografica e la inattendibilità delle misurazioni operate dalla polizia giudiziaria, giungendo quindi ad affermare che il tribunale non avrebbe spiegato e giustificato in concreto come e perché e sulla scorta di quali concreti parametri di valutazione abbiano ritenuto che i rifiuti in questione superassero i limiti quantitativi entro cui i rifiuti vanno raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento.
6. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al paga- mento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 5 aprile 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Alessio Scarcella Aldo Aceto
Depositato in Cancelleria, oggi 18 luglio 2024