REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente –
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CALASELICE Barbara – Rel. Consigliere –
Dott. SESSA Renata – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CASINI CARLO nato a Genova il 6/01/1969;
avverso l’ordinanza del 6/11/2019 del Tribunale di Genova in funzione di riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Barbara Calaselice;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Paolo Filippi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore di parte civile, Avv. F. Del Deo che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. L’ordinanza impugnata è stata pronunziata all’esito dell’udienza del 6 novembre 2019 dal Tribunale di Genova in funzione di riesame che, in parziale accoglimento dell’appello del pubblico ministero, ha disposto a carico di Carlo Casini, indagato per i reati di falso ideologico continuato in atto pubblico di fede privilegiata (capi da 1 a 10Z, escluso il capo 28) nella qualità di responsabile della sorveglianza dell’UTSA di Genova ed ispettore dipendente della SPEA Engineering SPA, addetto all’attività di sorveglianza, la misura cautelare della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio di concessionario di attività pubbliche, per la durata di mesi dodici e, congiuntamente, per una pari durata, la misura del divieto temporaneo di esercitare attività professionali in relazione a qualunque attività a favore di soggetti collegati con concessionari di attività pubbliche e per qualunque attività, comunque, legata alle funzioni concernenti la sicurezza.
1.1. L’ordinanza ha riformato quella emessa dal Giudice per le indagini preliminari in sede che aveva rigettato, per carenza di gravità indiziaria, la richiesta dell’applicazione della misura interdittiva, ai sensi degli artt. 289 e 290 cod. proc. pen., avanzata nei confronti di Casini. Il Pubblico ministero aveva avanzato una prima richiesta cautelare, che era stata rigettata, il 23 luglio 2019, per carenza di gravità indiziaria;
il 26 settembre 2019, l’organo di accusa aveva reiterato la richiesta, allegando una relazione del proprio consulente, in data 8 settembre 2019, il verbale di sommarie informazioni testimoniali di Placido Migliorino del 18 settembre ed un modello di rapporto ispettivo trimestrale.
Il 3 ottobre 2019 anche tale richiesta veniva rigettata per carenza di gravità indiziaria. Nelle more tra il secondo rigetto e la presentazione dell’appello era stata svolta attività di indagine (pag. 42 ordinanza impugnata) ed ulteriore documentazione era stata depositata dalla pubblica accusa, in Cancelleria, il giorno prima dell’udienza camerale.
All’udienza dinanzi al Tribunale del riesame, il pubblico ministero appellante aveva riformulato la richiesta cautelare originaria, nel senso dell’applicazione, per alcuni indagati, in luogo della misura coercitiva originariamente individuata, di quelle di cui agli artt. 289 e 290 cod. proc. pen. nonché circoscrivendo (per tutti gli indagati) le esigenze cautelari a quelle specialpreventive.
1.2. I fatti oggetto del procedimento, a carico anche di altri soggetti, riguardano i rapporti ispettivi trimestrali relativi ai viadotti Bisagno e Veilino e le relazioni trimestrali che personale della SPEA Engineering s.p.a. (società controllata da Autostrade per l’Italia A.S.P.I) era contrattualmente obbligata a redigere nell’ambito dell’attività che le era demandata di manutenzione, ispezione, vigilanza e controllo della rete autostradale in forza della convenzione n. 20089 del 4 dicembre 2007.
Il falso riguarderebbe gli accertamenti sugli impalcati a cassone e sugli appoggi-apparecchi, rispettivamente al viadotto Bisagno ed al viadotto Veilino, i quali sarebbero ideologicamente falsi in quanto riportano il tipo di difetto riscontrato e la valutazione della sua gravità ovvero l’assenza di difetti, mentre tale condizioni sarebbero state verificabili solo con l’accesso all’interno degli impalcati cassoni che, pacificamente, non venivano più effettuati dal 2013.
Secondo il Tribunale Casini — nella veste di responsabile della sorveglianza dell’UTSA di Genova ed egli stesso ispettore dipendente della SPEA Engineering SPA — avrebbe partecipato, direttamente, alle ispezioni, rendendosi autore materiale dei falsi delle attestazioni, di cui alla contestazione provvisoria, sia nel verbale di ispezione, sia nella relazione trimestrale redatta e trasmessa.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto tempestivo ricorso il difensore dell’indagato, che ha formulato otto motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge processuale in relazione all’art. 289, comma 2, cod. proc. pen. Si sostiene che il Tribunale del riesame, prima di applicare la misura cautelare di cui all’art. 289 cod. proc. pen., avrebbe dovuto svolgere l’interrogatorio, dal momento che era proprio questa la misura cautelare richiesta dal pubblico ministero, come si desume dal verbale dell’udienza tenutasi dinanzi al Tribunale del riesame.
Donde, avrebbe dovuto trovare applicazione la giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’obbligo del previo interrogatorio vige anche per quanto concerne l’impugnazione cautelare, a maggior ragione in un caso, come quello in esame, in cui l’avviso di fissazione di udienza ex art. 310 cod. proc. pen. non conteneva l’avviso di poter rendere interrogatorio.
Si tratta, per la difesa, di nullità di ordine generale a norma dell’art. 178, lett. c) cod. proc. pen.
2.2. Il secondo motivo deduce violazione di legge processuale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 310 e 581 cod. proc. pen. con correlato vizio di motivazione nella parte in cui il pubblico ministero opera rinvio, per relationem, quanto alle esigenze cautelari e ai gravi indizi, alle precedenti richieste rigettate.
Si osserva che, nell’atto di appello, non viene riportata con riferimento alle condotte addebitate all’indagato, la richiesta di misura cautelare relativa alle esigenze cautelari ed ai gravi indizi, facendo l’impugnazione riferimento alle richieste precedentemente rigettate dal Giudice, risultando il gravame privo dei necessari requisiti di specificità e correlazione con la decisione censurata.
Si evidenzia che l’ultima condotta ascritta all’indagato risale al 30 giugno 2015 (capo 10Z) e che dal 1 aprile 2016, l’indagato è stato distaccato presso altra azienda, situata in altra regione, con funzioni diverse.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione del giudicato cautelare, ai sensi dell’art 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.
La richiesta è stata proposta al Giudice sulla base dei medesimi elementi già valutati, oggetto di rigetto in data 23 luglio 2019 non impugnato dalla pubblica accusa; si tratterebbe di richieste identiche tanto che il pubblico ministero, nella seconda, richiama i medesimi elementi della prima. I fatti indicati come novità sono solo due (consulenza tecnica dell’Ing. Buratti e la deposizione dell’ing. Migliorino) mentre le dichiarazione di Zimmaro sono proposte, per la prima volta, con l’appello e non sono che ulteriore audizione del medesimo soggetto, già escusso il 25 settembre 2019, con sommarie informazioni testimoniali già presentate al Giudice con la seconda richiesta.
Quanto alle sommarie informazioni rese da Andrea Pancani e quelle di Nunzio Di Somma, nemmeno citate dal Tribunale, successive alla seconda richiesta, non muterebbero il quadro cautelare rispetto a quello già vagliato dal Giudice, essendo valutazioni di atti già depositati o specificazioni di sommarie informazioni già rese o ancora conferme di dati già acquisiti.
Si osserva ancora che il consulente tecnico non avrebbe fatto altro che commentare dichiarazioni, già rese da parte di testimoni, mentre l’Ing. Mìgliorini si sarebbe espresso pur non avendo cognizione, come dallo stesso affermato, rispetto al tratto autostradale in questione, non rientrando l’opera in quelle sotto la sua sorveglianza.
Si evidenzia che elementi nuovi, in materia cautelare, non possono essere rappresentati da argomenti nuovi ma solo da risultanze nuove o sopravvenute, mentre, nella specie, si tratterebbe delle medesime risultanze diversamente valorizzate nell’atto di impugnazione.
2.4. Il quarto motivo denuncia violazione di legge processuale, in relazione all’art. 603 cod. proc. pen.
2.4.1. Il pubblico ministero ha introdotto, con l’atto di appello, elementi nuovi senza chiedere la formale acquisizione di questi (sommarie informazioni testimoniali Zimmaro del 9 ottobre 2019, sommarie informazioni testimoniali Pancani di pari data, sommarie informazioni testimoniali Di Somma del 11 ottobre 2019, integrazione della consulenza tecnica del 13 ottobre 2019).
2.4.2. Quanto alla produzione del giorno prima dell’udienza, cioè la documentazione trasmessa con nota della Guardia di finanza contenente sommarie informazioni testimoniali di Massardo e Morbioli e documentazione, si tratterebbe di atti acquisiti nonostante l’opposizione dei difensori e la richiesta di un congruo termine per esame non concesso.
Il motivo investe, dunque, anche la mancata concessione di un termine a difesa, richiesto all’udienza del 6 novembre 2019, per esaminare tali nuovi elementi prodotti dal pubblico ministero presso la Cancelleria del Tribunale del riesame il 5 novembre 2019 (quindi risultanze ulteriori, nuove e sopravvenute rispetto a quelle successive alla presentazione dell’appello, oltre che successive rispetto al secondo rigetto del giudice).
Si tratta di documentazione valorizzata nell’ordinanza, con particolare riferimento alle pag. 42, 48, 51, 52. 54 per dimostrare i gravi indizi di cui si chiede l’inutilizzabilità.
2.5. Il Quinto motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. e) cod. proc. pen. contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa con riferimento ai gravi indizi di colpevolezza. Il Tribunale del riesame ha valorizzato le dichiarazioni dei testi Pancani, Zimmaro, Migliorino e Di Somma per sostenere che l’attività di accesso ai cassoni doveva essere effettuata nel corso di ogni ispezione trimestrale.
Così non considerando i contenuti dei manuali della Sorveglianza SPEA – ASPI e le istruzioni tecniche cui l’indagato avrebbe dovuto attenersi e, comunque, dando accesso a mere opinioni.
Si sostiene che il Tribunale errerebbe nella lettura delle schede di ispezione con riferimento alla voce “numero elementi”.
Inoltre si sostiene che Casini non aveva il potere, anche di spesa, di acquistare mezzi speciali quali i by-bridge, necessari per le ispezioni delle strutture cave, o di organizzare corsi per attribuire le necessarie qualifiche per entrare negli spazi confinati, come disposto dalla normativa di cui al d.p.r. n. 177 del 2011.
Si sottolinea che le ispezioni previste sono di due tipi, “ordinarie” trimestrali, eseguite da ispettori SPEA e “principali”, eseguite almeno una volta all’anno con la presenza di un ingegnere. Dette ispezioni necessitano, comunque, della presenza di soggetto qualificato, ma senza che sia previsto dal Manuale di Sorveglianza, l’accesso alle strutture cave quali i cassoni (cfr. manuale di sorveglianza par. 4.1.1., all. 16 della memoria difensiva).
Gli esiti di queste ispezioni, ordinarie o principali, confluiscono nei rapporti trimestrali e nelle relazioni redatte da ispettori e ingegnere responsabile. Inoltre si evidenzia che dall’istruzione tecnica Rev. 1 si evince che l’ASPI ha aggiunto un’ispezione, ravvicinata, di dettaglio, effettuata con cadenza stabilita; anche questa, in vigore fino al 15 giugno 2017 — data in cui l’ing. Casini non svolgeva più le sue funzioni presso SPEA — poi sostituita dalla rev. 2, viene effettuata escludendo, per la sicurezza del personale, che si possa accedere ai cassoni, in quanto spazi confinati.
Si sottolinea che Casini, dal luglio 2015, non lavora più alla Sorveglianza SPEA, avendo cessato l’attività di sorveglianza autostradale il 31 luglio 2015, occupandosi solo di direzione lavori, per essere stato distaccato, il 1 aprile 2016, presso altra società con compiti di direzione lavori.
Si osserva, inoltre, circa le modalità di compilazione del Rapporto Trimestrale, che questo è composto da una sintesi di elementi anagrafici dell’opera e da diverse sezioni in cui si annotano i difetti di ogni parte strutturale. L’indicazione degli elementi strutturali dell’opera non significa, dunque, che tutti (es. fondazioni – num. elementi) siano stati oggetto di ispezione, trattandosi ad esempio anche di strutture non visibili, in quanto interrate sotto il piano di campagna.
Si contesta, quindi, che il Tribunale abbia travisato il significato da attribuire alla voce numero elementi.
Quando nella scheda compare la scritta con tale dicitura, per il ricorrente significa che l’opera possiede quel numero di elementi non che questi siano stati tutti ispezionati. Analogamente si sostiene che il Tribunale ha travisato il significato della riga Fondazioni – num. Elementi, accanto alla scritta Appoggi – apparecchi per il Viadotto Veilino (si esamina una scheda e si assume che il Viadotto Veilino possiede n. 28 apparecchi di appoggio mentre il numero evidenziato vicino alla voce appoggi – apparecchi, risulta essere 7).
In sintesi il numero da inserire nella finestra prevista dal software non sarebbe il numero degli apparecchi di appoggio ma il numero delle LINEE di apparecchi di appoggio, rimandando all’ali. G del ricorso, estratto dal Manuale di Sorveglianza.
Si evidenzia come detto numero non vari a seconda dell’ispezione svolta, ma, anzi, resti costante: tanto a dimostrazione che il Tribunale avrebbe travisato il dato, aderendo acriticamente alla deposizione resa da Migliorino, tecnico che peraltro non era addetto alla sorveglianza del viadotto Veilino.
Si confutano, poi, specificamente, le argomentazioni del Tribunale a pag. 43 dell’ordinanza, circa la mancata visione dell’anima dei cassoni relativamente alle ispezioni svolte al viadotto Bisagno, indicando, peraltro, che la scheda di ispezione del viadotto redatta il 19 maggio 2016 risulta collegata ad ispezione straordinaria redatta dall’Allemanni.
Si criticano, poi, le argomentazioni di cui a pagg. 54 e 55 dell’ordinanza. In definitiva, la motivazione, nella parte in cui afferma che le schede e le relazioni di ispezione attesterebbero sempre l’avvenuto controllo all’interno degli elementi cavi, è illogica nella misura in cui lo stesso manuale SPEA – ASPI attesta che non sempre detti elementi sono ispezionabili.
Quanto alla sezione 6 1 della relazione trimestrale in cui dovevano essere annotate le opere non ispezionate, tale sezione si riferisce all’intera opera e non già ai singoli elementi della medesima.
Sarebbe, infine, errata l’impostazione accusatoria accolta dal Tribunale del riesame laddove erano stati ipotizzati falsi per le ispezioni a cadenza trimestrale, mentre lo stesso Manuale della sorveglianza prevede che le ispezioni delle strutture cave debbano avvenire con intervalli di tempo più ampi.
In ogni caso si osserva che nel capitolo 2 delle relazioni trimestrali il Casini sottolinea che erano stati chiusi cicli completi di ispezioni ordinarie che non prevedono, anche secondo il Manuale, ispezioni di dettaglio dei cassoni, per le problematiche di accesso agli spazi confinati dati dalla normativa di cui al d.p.r. n. 177 del 2011 e che, dunque, non andavano descritte in quanto non era affatto previsto l’accesso. Per le ispezioni non ordinarie poi, l’indagato non ha mai indicato di essere entrato nel cassone, in relazione alle schede contestate nelle imputazioni provvisorie.
2.6. Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. e vizio di motivazione sotto il profilo della mancanza, illogicità manifesta e contraddittorietà con riferimento alle esigenze cautelari, nonché del travisamento del contenuto di specifica censura difensiva.
Non si terrebbe conto che Casini è stato distaccato presso la società RAV (Raccordo autostradale Valle d’Aosta s.p.a.) a partire dal 1 aprile 2016, con proroga sino al 2021, essendo, peraltro, assegnato a diversa funzione e, comunque, presso società diversa da SPEA, circostanze devolute al Tribunale con memoria difensiva che si allega al ricorso.
Il pericolo di reiterazione non è, dunque, attuale e il Tribunale del riesame non ha tenuto conto che il provvedimento rende, sul punto, una motivazione cumulativa e generica che non considera che l’ultima condotta contestata (capo 10Z) risale al 30 giugno 2015 e, dunque, dell’incidenza del tempo trascorso dall’ultima condotta ascritta all’indagato (fatti commessi tra il 31 marzo 2013 ed il 30 giugno 2015).
2.7. Il settimo motivo denuncia violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. con riferimento all’elemento soggettivo dei reati di falso ideologico.
Non si comprende il concreto vantaggio per SPEA e quello del ricorrente, dipendente senza qualifica dirigenziale, nel formulare le false attestazioni; né vi è prova di pressioni ricevute dagli ispettori che redigevano gli atti dai vertici societari.
Peraltro i capi di incolpazione ascritti al ricorrente sono privi della contestazione di cui all’art. 110 cod. pen. con i vertici aziendali, con ciò volendo la pubblica accusa, evidentemente, accreditare che i falsi erano commessi in autonomia, anche laddove le ispezioni erano state svolte contemporaneamente da più ispettori. Mancherebbe, dunque, ogni indicazione della ragione per porre in essere, consapevolmente, la condotta generatrice degli atti ideologicamente falsi.
Si opera soltanto un accenno alle sommarie informazioni rese da Morbioli il 4 novembre 2019 trasmesse ad integrazione al Tribunale, a chiarimenti del contenuto delle conversazioni intercettate, ma tale riferimento a pressioni ricevute da Allemanni da Galatà, per firmare il transito di un carico eccezionale, non sarebbe decisiva in quanto atto di contenuto diverso rispetto ai falsi contestati.
2.8. Con l’ottavo motivo si denuncia mancanza di motivazione quanto alla durata della misura, applicata nella sua massima estensione (mesi dodici) senza l’indicazione delle ragioni della scelta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
L’eccezione procedurale sollevata, per violazione dell’art. 289, comma 2, e art. 178, lett. c), cod. proc. pen., stante il difetto di interrogatorio di garanzia è a monte inammissibile.
Non è infatti, necessario addentrarsi nell’esame della questione circa la necessità o meno dell’incombente nel caso di applicazione della misura interdittiva da parte del Tribunale del Riesame.
Difatti, mentre alcune sentenze di questa Corte di cassazione affermano la necessità di tale adempimento (Sez. 5, n. 13810 del 11/02/2019, Megna, Rv. 275237; Sez. 5, n. 14967 del 19/10/2004, dep. 2005, Meduri, Rv. 231623; Sez. 6, n. 2304 del 15/05/2000, De Prisco, Rv. 216236), altre escludono che la sua omissione renda invalida l’ordinanza emessa a seguito di appello del pubblico ministero che applichi la misura interdittiva (Sez. 6, n. 14958 del 05/03/2019, Orlando, Rv. 275538; Sez. 2, n. 29132 del 12/03/2013, Tomassetti, Rv. 256346; Sez. 6, n. 25195 del 12/06/2012, Balsamo, Rv. 253119).
Tuttavia, questo Collegio, al di là del contrasto segnalato, ha considerato che, in ogni caso, si dovrebbe rilevare che l’omessa celebrazione dell’interrogatorio prima dell’adozione della misura interdittiva integra una nullità generale a regime intermedio (Sez. 5, n. 13810 del 11/02/2019, Megna, Rv. 275237; Sez. 6, n. 2304 del 15/05/2000, De Prisco, Rv. 216236), la cui deduzione rimane preclusa alla parte che vi aveva assistito laddove questa non abbia provveduto ad eccepirla tempestivamente, ossia prima della conclusione dell’udienza innanzi al Tribunale del riesame.
Nel caso in esame deve rilevarsi, con rilievo di ordine dirimente, che dal verbale dell’udienza, tenutasi dinanzi al Tribunale, non risulta eccepita la nullità, una volta invitate le parti alla discussione; né a tale eccezione fa riferimento la memoria, ex art. 127, comma 2, cod. proc. pen. cui la difesa si è riportata in sede di discussione.
Dunque, la violazione di cui si tratta, non poteva essere dedotta, per la prima volta, con il ricorso per cassazione. Peraltro, successivamente alla lettura del dispositivo della presente sentenza le Sezioni Unite con sentenza emessa all’udienza del 26 marzo 2020, hanno escluso che, in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice delle indagini preliminari, sia necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena d’inefficacia della misura suddetta (cfr. informazione provvisoria pubblicata sul sito internet del C.E.D. di questa Corte, sent. N. 17274 ud. 26/03/2020, nelle more depositata il 5/06/2020, anche se in questo caso si versa in ipotesi di misura applicata dal Tribunale del riesame a seguito di contradditorio pieno, a discovery già realizzata;
rimane però che per la misura coercitiva difetta l’esigenza di tutela dei profili pubblicistici costituenti la ratio della necessità dell’interrogatorio anticipato in caso di interdittiva, cionondimeno potrebbe, comunque, ritenersi sufficiente l’interlocuzione piena che il contraddittorio con il tribunale comporta e, quindi, reputarsi superfluo l’interrogatorio anche per la misura interdittiva, posto che l’applicazione della misura in ogni caso, non consegue al provvedimento del Tribunale, suscettibile di impugnazione e, una volta concluso il procedimento cautelare, vi è in ogni caso il rimedio di cui all’art. 299, cod. proc. pen.
Pur se il profilo , nel caso al vaglio , è superato in radice perché l’eccezione è inammissibile).
2.1. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Anche nella materia cautelare è necessario, come dedotto, che siano rispettati i necessari requisiti di specificità stabiliti dall’art. 581, lett. c), cod. proc. pen., al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita l’esame (tra le tante, Sez. 3, n. 13744 del 24/02/2016, Schiorlin, Rv. 266782 in tema di ricorso per cassazione).
Con espresso riferimento ai motivi di appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari, si è osservato che questi non possono limitarsi al semplice richiamo per relationem degli argomenti addotti a fondamento della originaria richiesta di applicazione, ma devono soddisfare, a pena di inammissibilità, il requisito della specificità, consistente nella precisa indicazione dei punti censurati e delle questioni di fatto e di diritto da sottoporre al giudice del gravame (Sez. 5, n. 9432 del 12/01/2017, Cimino, Rv. 269098; Sez. 6, n. 47546 del 01/10/2013, Delle Fazio, Rv. 258664; Sez. 1, n. 32993 del 22/03/2013, Adorno, Rv. 256996).
Tuttavia, osserva il Collegio che i requisiti di specificità e puntualità della impugnazione, non implicano la necessità di una riscrittura originale degli elementi indizianti o di quelli riferiti alle esigenze cautelari, risultando sotto tale aspetto legittima la motivazione per relationem, ove questa sia espressione della scelta di una modalità espositiva sintetica, evidentemente finalizzata alla migliore comprensione della richiesta, sempre che, anche a fronte dell’operato richiamo, l’impugnazione risponda ai parametri normativi di specificità e correlazione con il provvedimento censurato.
Ciò posto si osserva che, nel caso al vaglio, l’atto di appello, diversamente da quanto dedotto, risulta sufficientemente specifico, rispetto all’ordinanza di rigetto del Giudice da ultimo pronunciata, in data 3 ottobre 2019, riportando puntuali osservazioni in relazione al contenuto di quell’atto, specificamente criticato.
L’impugnazione, per il Casini, non è limitata al mero richiamo delle richieste rigettate dal Giudice, affrontando, espressamente, censure e critiche correlate alla decisione da ultimo emessa, oggetto di impugnazione, sicché la censura è infondata.
2.2. Il terzo motivo è infondato.
La richiesta sarebbe stata proposta al Giudice, sulla base dei medesimi elementi, già valutati ed oggetto di rigetto in data 23 luglio 2019, tanto che il pubblico ministero nella seconda richiesta, richiamerebbe i medesimi elementi contenuti nella prima.
Rileva il Collegio che, per elementi nuovi, in tema di appello cautelare del pubblico ministero, devono intendersi quei materiali informativi, preesistenti o sopravvenuti, che non siano stati già oggetto di valutazione (Sez. 5, n. 42847 del 10/06/2014, Ambrus, Rv. 261244).
Per dato inedito, dunque, dovrà intendersi ogni atto, sia esso preesistente e già allegato alla richiesta cautelare, ma ignorato dall’ordinanza reiettiva, sia esso sopravvenuto in senso stretto, cioè derivato da atti investigativi compiuti medio tempore, purché non già valutato.
Va, poi, affermato che la verifica, se gli elementi abbiano o meno carattere di novità, nel senso più sopra delineato, tanto da poter assumere rilievo ai fini di una diversa decisione, si traduce in un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito, la cui valutazione può risultare oggetto di specifiche censure in sede di legittimità, se inquadrabili nelle previsioni di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., nella specie, invero, nemmeno prospettate. In ogni caso si osserva che, nel caso al vaglio, è evidente la sussistenza di elementi di novità mai valutati.
Ciò tenuto conto che le dichiarazioni degli Ing. Migliorino e Zimmaro, sono indicate come rese in epoca senz’altro successiva (rispettivamente il 18 settembre ed il 25 settembre 2019) alla richiesta rigettata con il primo provvedimento del Giudice del 23 luglio 2019.
A ciò si aggiungano gli esiti della consulenza tecnica, del 8 settembre 2019, espletata dall’organo della pubblica accusa, peraltro proprio in base allo specifico dubbio, contenuto nel rigetto del Giudice del 23 luglio, sulla necessità di procedere, ai fini di ogni valutazione sulla completezza ed affidabilità delle ispezioni eseguite da SPEA, anche alle verifiche dell’interno dei cassoni-impalcati.
Dubbio al quale ha dato risposta, secondo la motivazione non apparente, coerente e non manifestamente illogica del Tribunale del riesame, proprio il consulente tecnico del pubblico ministero, anche sulla base del contenuto dell’esame svolto della disciplina di settore, la cui relazione è richiamata nella seconda richiesta cautelare.
2.3. Il quarto motivo è infondato.
2.3.1. Circa la produzione dei nova, nella procedura camerale introdotta dal pubblico ministero in sede di appello, è intervenuta, da tempo, la Suprema Corte a Sezioni unite ad affermare il principio, non smentito da più recenti arresti (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, Donelli, Rv. 227357; Sez. 6, n. 41997 del 24/09/2019, Romano, Rv. 277205; Sez. 5, n. 42847 del 10/06/2014, Ambrus, cit.) che il giudice dell’appello cautelare deve tenere “in debito conto anche gli sviluppi probatori più recenti …” e che deve “convenirsi circa l’ammissibilità, pur nel rispetto dei confini dell’originaria domanda cautelare, della produzione di nova anche da parte del pubblico ministero”.
Ciò al fine di assicurare che “sia valorizzato effettivamente il contraddittorio camerale in posizione di parità fra le parti e sia consentito al giudice dell’appello de libertate di pronunciarsi causa cognita sulla vicenda cautelare” . Tale indirizzo fonda sull’esigenza di ampliare la piattaforma cognitiva del giudice proposta dalla parte impugnante, in ragione dell’ampiezza del devolutum nel giudizio ex art. 310 cod. proc. pen.
Quest’ultimo concetto comporta l’estensione dell’oggetto della decisione, per tutti i profili della domanda cautelare, indipendentemente dallo specifico petitum contenuto nei motivi di gravame, pur nel rispetto dei confini dall’originaria domanda cautelare (Sez. 3, n. 37086 del 19/05/2015, Grasso, Rv.265008).
Per quel che concerne le forme e le modalità di produzione e di acquisizione dei nuovi elementi, la medesima pronuncia a Sezioni Unite citata, ha affermato che è sufficiente “il tipico e più semplice modello di procedimento in camera di consiglio” (l’art. 310, comma 2, cod. proc. pen. richiama l’art. 127 codice di rito) che “al di fuori delle ipotesi eccezionali e tassative nelle quali è prevista un’attività di integrazione probatoria, … consente alle parti soltanto di depositare memorie e produrre documentazione recante elementi informativi precostituiti, frutto cioè di atti investigativi precedentemente o medio tempore compiuti”.
Le Sezioni Unite, espressamente ritengono, a tal fine, inutile il richiamo analogico dell’art. 603, commi 1, 2 e 3 cod. proc. pen., di cui sottolineano il carattere derogatorio, rispetto alla presunzione di completezza del materiale probatorio del giudizio di primo grado, evidenziandone la scarsa compatibilità con le forme, semplificate e snelle, proprie del rito camerale in esame.
Con riferimento alla mancata richiesta di acquisizione da parte del pubblico ministero, con l’atto di appello, degli elementi nuovi (sommarie informazioni di Zimmaro e Pancani del 9 ottobre 2019, sommarie informazioni del Di Somma del 11 ottobre 2019, integrazione resa dall’Ing. Buratti, il 13 ottobre 2019) dunque, in aderenza al predetto indirizzo, deve concludersi nel senso della completezza dell’atto di gravame, non risultando obbligatorio, per il pubblico ministero impugnante, indicare, nell’atto di appello, il supplemento investigativo che intenda portare all’attenzione del Tribunale del riesame.
2.3.2. Quanto alla produzione avvenuta il giorno prima dell’udienza camerale del 6 novembre (con deposito del 5 novembre 2019) trasmessa con nota della Guardia di finanza, contenente verbali di sommarie informazioni testimoniali e documenti, il motivo, nella sostanza, confuta la mancata concessione di termine a difesa, richiesto all’udienza del 6 novembre 2019, per esaminare tali nova, di cui si chiede l’inutilizzabilità, in quanto elementi sopravvenuti rispetto anche a quelli successivi alla presentazione dell’appello, oltre che successivi rispetto al secondo rigetto del Giudice.
Sul punto, si osserva che, secondo il decisivo intervento della Corte di legittimità, nel suo più autorevole consesso, l’interesse ad impugnare deve presentare i caratteri della concretezza e della attualità.
Il che si verifica quando con l’impugnazione si abbia di mira un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente utile e favorevole all’indagato (Sez. U, 11 maggio 1993, n. 6203, Amato, Rv. 193743; Sez. U, 24 marzo 1995, n. 9616, Boido, Rv. 202018; Sez. 6, 27 ottobre 2004, dep. 2005, n. 884, Serra, Rv. 230822; Sez. 6, 29 febbraio 2008, n. 16389, Ndiaye, Rv. 239976).
L’eccepita inutilizzabilità, invece, non si accompagna a deduzioni specifiche, quanto alla produzione, nel caso al vaglio, di un risultato più favorevole e, in ogni caso, detto specifico aspetto non è puntualmente e specificamente ripercorso nell’impugnazione.
In ogni caso si osserva che, in tema di impugnazioni relative a misure cautelari personali, il Tribunale è tenuto ad assegnare all’indagato, che ne faccia richiesta, un termine a difesa per esaminare i nuovi elementi probatori a carico, presentati dal pubblico ministero nell’udienza camerale, pur dovendosi apprezzarne la congruità, in rapporto alla concentrazione della scansione temporale che governa il procedimento (Sez. 6, n. 35690 del 12/06/2019, Catalano, Rv. 277194; Sez. 3, n. 22137 del 06/05/2015, Benocci, Rv. 263664).
Si è, invero, affermato che la produzione in udienza da parte del pubblico ministero, di elementi non posti a base dell’appello cautelare, non si traduce in una menomazione dell’attività difensiva e non compromette il contraddittorio tra le parti ove, attraverso l’assegnazione di un congruo termine, la difesa sia posta, comunque, nelle condizioni di conoscere e valutare l’ulteriore produzione dell’accusa e l’indagato di difendersi concretamente (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, Donelli, cit.; Sez. 2, n. 36451 del 03/06/2015, Santini, Rv. 264545, relativa a misure cautelari reali).
Dunque, nell’ipotesi in cui il pubblico ministero abbia introdotto dei nuovi elementi indiziari a carico all’udienza camerale ed il Tribunale, pur richiesto, non abbia inteso assegnare un congruo termine, il vizio che si configura integra una nullità (Sez. 6, n. 53720 del 25/09/2014, Folchetti, Rv. 262092).
Sennonché si deve rilevare che gli elementi introdotti, secondo la verbalizzazione relativa alla loro acquisizione, risultano indicati non come nuovi elementi indiziari ma con riferimento alle sole esigenze cautelari. In ogni caso, deve sottolinearsi che la patologia riscontrata non concerne l’omessa citazione o l’assenza del difensore, né si tratta di nullità definita assoluta da specifiche disposizioni di legge.
Sicché, nell’assenza di tempestiva eccezione dalle parti presenti all’udienza (cfr. verbale del 6 novembre 2019) immediatamente dopo il compimento della stessa, opera la decadenza di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.
2.4. Il quinto motivo è inammissibile.
Si osserva, in via generale, che va condiviso l’approdo interpretativo al quale è giunta la costante giurisprudenza di questa Corte che ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, il sindacato del giudice di legittimità non possa estendersi alla revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; tra le tante conformi, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976).
Si tratta di apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale con funzione di riesame.
La motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è, dunque, censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la logica seguita dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244, di cui si riprendono le argomentazioni; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400; Sez. 1, n. 6972, del 7/12/1999, dep. 2000, Alberti, Rv. 215331).
Peraltro, parte delle censure mosse non criticano la motivazione ma la valutazione della piattaforma indiziaria operata dal Tribunale, seguendo l’impostazione accusatoria, indicandola come erroneamente svolta (quanto, ad esempio, alla interpretazione della voce “numero elementi”) devolvendo così, a questa Corte un riesame di fatto relativo agli elementi indiziari e, dunque, proponendo una critica inammissibile in sede di legittimità.
L’ordinanza, invece, con motivazione non apparente e, nel complesso, esauriente, ha sostenuto, anche alla luce delle ulteriori acquisizioni indiziarie all’esito della svolta consulenza tecnica di parte, che le verifiche interne alle strutture fossero necessarie per l’effettivo vaglio di sicurezza dei viadotti e che esse fossero previste come tali dalla stessa disciplina di settore, rilevando la falsità delle attestazioni, circa gli esiti dei controlli, formulate in assenza di precisazione sulla circostanza che questi avevano riguardato solo la parte esterna degli impalcati-cassone.
Ancora l’ordinanza ha sottolineato, con riferimento al viadotto Veilino, che almeno dal 2013, tale controllo interno, pacificamente, non veniva svolto, posto che SPEA non si era dotata della strumentazione necessaria, né aveva provveduto alla formazione del personale.
Il Tribunale del riesame ha sottolineato che l’attività di verifica degli spazi confinati — tra i quali rientrano gli impalcati-cassone — prevedeva l’effettuazione dei controlli anche nelle strutture alte e in quelle cave, traendo tale conclusione dal Manuale di sorveglianza, contenente le regole per l’attività di controllo sulle opere stradali delineate dal legislatore e dalla concessione, tanto che SPEA organizzerà, per la prima volta nell’anno 2017, dei corsi di formazione e, dopo il crollo del ponte Morandi, provvederà alle verifiche del genere descritto, con l’utilizzo di droni.
Si è espressamente indicato, anche con riferimento alla posizione del Casini, autore materiale delle relazioni di ispezione, redattore e firmatario di quelle trimestrali che queste ultime descrivono tutta l’attività di sorveglianza svolta nel corso del trimestre e le risultanze della stessa, attestando che l’attività di ispezione sulle opere d’arte è stata effettuata, quali ne siano state le risultanze e il voto attribuito in base a detti esiti.
Si sottolinea, poi, che dette attività, sono state svolte in modo parziale, in mancanza delle necessarie ispezioni circa parti strutturali, come i cassoni e gli appoggi-apparecchi interni, con riferimento ai viadotti Veilino e Bisagno, a partire dal 2013 (quando il Casini era già capo ufficio, carica rivestita sino al 30 giugno 2015, data della contestazione da ultimo mossa), nella piena consapevolezza della detta omissione (cfr. tra gli altri argomenti, conversazione del 21 gennaio 2019, riportata a pag. 57 dell’OC).
2.5. Il sesto motivo è manifestamente infondato.
Si osserva che l’attualità del pericolo di reiterazione è configurabile ogni qual volta sia possibile una prognosi in ordine alla ricaduta nel delitto che indichi la probabilità di devianze, prossime all’epoca in cui viene applicata la misura, seppur non specificatamente individuate, né tantomeno imminenti, ovvero immediate.
Il relativo giudizio, quindi, non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, desunti sia dall’analisi della personalità dell’indagato (valutabile anche attraverso le modalità del fatto per cui si procede) sia dall’esame delle concrete condizioni di vita di quest’ultimo.
Sicché la sussistenza di un pericolo attuale di reiterazione del reato va esclusa solo qualora la condotta criminosa posta in essere si riveli del tutto sporadica ed occasionale, dovendo, invece, essere affermata quando – all’esito di una valutazione prognostica fondata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui egli verrà a trovarsi, ove non sottoposto a misure – appaia probabile, anche se non imminente, la commissione di ulteriori reati. Il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere, quindi, anche quando l’indagato non disponga di immediate opportunità di ricaduta (Sez. 3, n. 34154 del 24/04/2018, Rv. 273674; Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Rv. 271216; Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, Rv. 268508; Sez. 2, n. 44946 del 13/09/2016, Rv. 267965; Sez. 2, n. 47891 del 7/09/2016, Rv. 268366).
Alla luce di tale indirizzo, appare corretto il ragionamento del Tribunale che valorizza l’attualità del rapporto di lavoro del Casini, comunque svolto presso la Rav s.p.a. (Raccordo autostrade Valle d’Aosta) a fronte di provvedimento di distacco, soggetto a scadenza, del quale, in relazione alla durata ed alla conclusione alcuna osservazione, nemmeno in questa sede, risulta specificamente svolta dal ricorrente.
Infine, si osserva che, ai fini della attualità delle esigenze, nemmeno è chiaro l’ambito delle mansioni svolte dal Casini presso la Rav s.p.a., né queste sono specificate nel ricorso, al fine di valutarne l’incidenza.
2.6. Il settimo motivo è infondato. Secondo un processo logico non censurabile e completo, il Tribunale ha sostenuto che, dati gli obblighi connessi alle verifiche così come ricostruiti, attestare l’esame degli impalcati dei viadotti e fare la descrizione dei difetti creava l’apparenza della completa verifica di essi, a fronte di un controllo parziale, limitato alla parte esterna, contrariamente a quanto previsto come necessario.
L’indagato avrebbe dato conto, peraltro quale esecutore materiale di alcune ispezioni, nella redazione dei rapporti di ispezione, nonché in veste di firmatario delle correlate relazioni trimestrali, di difetti o dell’assenza di difetti che non potevano essere verificati solo con un’ispezione esterna, ma che necessitavano di un esame condotto anche all’interno degli impalcati, così attestando falsamente, sia pure implicitamente, di avere svolto anche questi ultimi.
Tanto in violazione dell’obbligo di effettuare le verifiche anche all’interno o anche solo di segnalare che le relazioni ispettive riguardavano attività di controllo limitata alle parti esterne degli impalcati.
Del resto, ai fini della integrazione del reato di falso cd. implicito, si è osservato, pacificamente, in giurisprudenza, che l’ambito attestativo di un atto pubblico non è circoscritto alla sua formulazione espressa, ma si estende anche alle attestazioni implicite, tutte le volte in cui una determinata attività del pubblico ufficiale, non menzionata nell’atto, costituisce indefettibile presupposto di fatto o condizione normativa dell’attestazione espressa (Sez. 5, n. 28594 del 28/03/2018, Buonocunto, Rv. 273638 Sez. 5, n. 7718 del 13/01/2009, Fondazione Centro San Raffaele, Rv. 242569; Sez. 5, n. 1399 del 15/01/1999, Semi, Rv. 212388).
Donde, l’accertamento della falsità del contenuto dell’attestazione non riguarda solo la formulazione espressa dell’atto, ma anche i suoi presupposti necessari, cioè le cd. attestazioni implicite, senza che sia necessaria la menzione del compimento, da parte del pubblico ufficiale, dell’eventuale attività di accertamento che ne costituisce presupposto (Sez. U, n. 7299 del 30 giugno 1984, Nirella, Rv. 165603).
Sussiste la gravità indiziaria, secondo la motivazione del Tribunale anche per coloro, come il ricorrente, che, materialmente, hanno commesso, con condotta assolutamente consapevole, il falso nella redazione degli atti, stante l’assenza dello svolgimento di determinate attività, di cui potevano rendersi conto personalmente, avendo anche partecipato ad alcune ispezioni.
Si tratta di presupposto imprescindibile, così indicato dal Tribunale della cautela, per ragioni esposte, senz’altro noto all’indagato.
Secondo il Tribunale, aver riportato nei rapporti trimestrali, gli stessi difetti e i medesimi “voti” contenuti nei verbali precedenti, integra anche l’elemento soggettivo del reato di falso ed è condotta che, con la giustificazione che non si poteva entrare nei cassoni, ha consentito il reiterato ritardo, dal 2013, di ispezioni negli ambienti confinati, protrattosi anche in epoca in cui l’odierno ricorrente ancora rivestiva la carica all’interno della SPEA.
2.7. L’ottavo motivo è infondato.
Dal complesso della motivazione si ricava, implicitamente, il giudizio negativo compiuto dal Tribunale quanto alla gravità del fatto (cfr. pag. 72), tenuto conto della reiterazione nel tempo delle condotte di falso, tutti elementi che giustificano, adeguatamente, la durata della misura disposta.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p.
Così deciso in Roma il 21 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2020.