Aviere capo del 41 stormo condannato per truffa militare pluriaggravata continuata.

(Corte di Cassazione penale, sez. I, sentenza 6.02.2015, n. 5680)

…, omissis …

sentenza

sul ricorso proposto da: D.S. N. il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 45/2013 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 10/12/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/10/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Flamini Luigi Maria che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa il 18 dicembre 2012 il Tribunale militare di Roma dichiarava D.S., aviere capo in servizio presso il 41 stormo di Sigonella, responsabile del reato di truffa militare pluriaggravata continuata (art. 234 c.p.m.p., commi 1 e 2 e art. 47 c.p.m.p., n. 2), contestatogli perchè, mediante artifici e raggiri, costituiti dall’aver falsamente dichiarato nella propria domanda di partecipazione al concorso per titoli ed esami per l’ammissione al 13 corso di aggiornamento e formazione professionale, riservato al ruolo dei volontari di truppa in servizio permanente dell’aeronautica militare, di non aver riportato condanna penale per delitti non colposi, anche se risultanti da riti alternativi, induceva in errore l’amministrazione di appartenenza sulla sussistenza dei requisiti richiesti, così percependo l’ingiusto profitto di Euro 2.695,00, con eguale danno per l’amministrazione, fatto accertato il 7/10/2009. Per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti, lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione militare, con la sospensione condizionale della pena.

2. Proposto appello da parte dell’imputato, la Corte militare di Appello con sentenza emessa in data 10 dicembre 2013 riformava parzialmente quella di primo grado e, dichiarate le già riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, riduceva la pena inflittagli a mesi quattro di reclusione, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

2.1 La sentenza di appello, dopo avere respinto perchè tardiva l’eccezione d’incompetenza per territorio, nonchè tutte le altre questioni in rito sulla qualificazione giuridica del fatto e sulla modificazione dell’imputazione, fondava la conferma del giudizio di responsabilità sulla ritenuta consapevolezza in capo all’imputato della falsità della dichiarazione inserita nella domanda di partecipazione al concorso in ragione delle sue pregresse e plurime esperienze giudiziarie, dell’avvertita necessità di richiedere una consulenza legale e della mancata consultazione dell’apposito ufficio, costituito presso l’amministrazione che aveva bandito il concorso, per risolvere problematiche interpretative. Riteneva dunque consumata la truffa militare ascritta alla data di ammissione al corso di formazione, rispetto al quale evento individuava la competenza dell’autorità giudiziaria militare di Roma.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato personalmente, il quale ha dedotto:

a) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Secondo il ricorrente, la Corte militare, in modo illogico ed in violazione del divieto di “bis in idem”, aveva confermato la qualificazione giuridica del fatto in termini di truffa aggravata, mentre avrebbe dovuto ricondurlo alla fattispecie comune di uso di un atto falso ai sensi dell’art. 483 cod. pen.: i giudici di appello hanno ritenuto che i due reati fossero concorrenti in difformità dall’interpretazione giurisprudenziale, secondo la quale nelle ipotesi di indebita percezione di cui all’art. 640-bis cod. pen. e nel caso del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. la truffa assorbe il delitto di falso, in quanto l’utilizzo di atti non autentici costituisce la tipica modalità esecutiva o lo strumento per realizzare l’indebito vantaggio.

aa) Inoltre, hanno ignorato che per lo stesso fatto materiale, qualificato ai sensi dell’art. 483 cod. pen., il D. era stato indagato e/o imputato in separati procedimenti promossi presso il Tribunale di Roma e di Catania, con la conseguente nullità della sentenza impugnata per violazione del disposto dell’art. 649 cod. proc. pen., degli artt. 24, 27 e 111 Cost.;

b) Difetto di giurisdizione ed inosservanza ed erronea applicazione della legge penale: dovendosi qualificare il fatto ai sensi dell’art. 483 cod. pen. avrebbe dovuto riscontrarsi il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria militare, mentre la Corte di Appello aveva confuso la questione con quella, pure sollevata in via subordinata di difetto di competenza territoriale.

c) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento alla disciplina del casellario giudiziale: premesso che nel caso di specie, nel 2004 e negli anni successivi il certificato rilasciato all’imputato riportava la dicitura “nulla”, la Corte di merito aveva ritenuto tale circostanza insufficiente a dimostrare l’inconsapevolezza in capo all’imputato dell’esistenza di iscrizioni penali ostative all’ammissione al corso richiesto.

d) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, violazione dell’art. 112 Cost. e dell’art. 178 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) per la disposta inversione dell’onere della prova, in quanto la Corte di Appello, senza tener conto del fatto che il P.M. in primo grado aveva chiesto il proscioglimento dell’imputato e poi la declaratoria d’incompetenza, aveva addebitato all’imputato di non avere dimostrato la propria innocenza e di avere reso dichiarazioni non attendibili, fingendo un’ingenuità assente, non perchè illogiche o dimostrate inveritiere, ma in quanto provenienti dall’accusato.

dd) Parimenti, nonostante la sua chiarezza e significatività, aveva ritenuto strumentale la deposizione del teste a discarico ed in tal modo aveva sovvertito la regola principale del sistema processuale accusatorio.

e) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, manifesta illogicità della motivazione, nullità della decisione di primo grado per difetto di contestazione ai sensi dell’art. 522 cod. proc. pen. ed erronea rideterminazione del momento di consumazione del reato: il P.M.: all’udienza del 25 ottobre 2012 nel corso del giudizio di primo grado aveva modificato l’imputazione, contestando il delitto di truffa nella forma consumata, anzichè tentata, e come commesso il 7/10/2009, anzichè il 29/7/2008.

ee) In tal modo si erano aggirate le garanzie di difesa dell’imputato e spostato il termine di decorrenza della prescrizione con l’effetto di avere prodotto l’incompatibilità sostanziale tra fatto accertato e fatto contestato e di avere inficiato l’intera struttura fattuale dell’addebito, per cui già il Tribunale avrebbe dovuto riportare l’accusa alla sua formulazione originaria.

f) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento alla mancata attivazione dei poteri d’ufficio ai sensi degli artt. 507 e 603 cod. proc. pen.; violazione della regola di giudizio sul ragionevole dubbio di cui all’art. 533 cod. proc. pen..

ff) I giudici di merito avevano tacciato di non credibilità la dichiarazione rilasciata dall’avv.to L., già difensore e consulente dell’imputato, il quale gli aveva confermato la possibilità di partecipazione al corso per l’assenza di precedenti iscritti nel certificato del casellario giudiziale; avrebbero però dovuto prosciogliere l’imputato per il ragionevole dubbio della sua colpevolezza, oppure disporre d’ufficio l’esame del teste L., come richiesto dalla difesa, la cui istanza era stata respinta con motivazione illogica.

g) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e violazione delle norme processuali sulla competenza per territorio: nel corso dell’istruttoria dibattimentale, a seguito delle deposizioni testimoniali assunte, era emerso che il luogo di consumazione del reato poteva identificarsi in Caserta, oppure in Sigonella, risultando quindi incerto; avrebbe dunque dovuto applicarsi la regola suppletiva dell’art. 9 cod. proc. pen. e stabilirsi, come richiesto anche dal P.M. in primo grado, la competenza per territorio del Tribunale militare di Napoli, essendo in Caserta il luogo di residenza dell’imputato.

gg) La Corte di Appello, in violazione dell’art. 21 cod. proc. pen., aveva ritenuto tardiva la questione, ma, al contrario, essendone emersi i presupposti soltanto al dibattimento, la stessa non avrebbe potuto essere sollevata che con le conclusioni rassegnate al Tribunale.

h) Manifesta illogicità della motivazione; inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, irragionevole motivazione sul concorso dei reati ed illogicità della ricostruzione del dolo: la sentenza impugnata ha sovvertito le regole di giustizia in tema di recuperabilità del soggetto che sia già incorso nella condanna per un fatto di reato, ha valutato la responsabilità in base alla presunzione di colpevolezza in dispregio del principio opposto sancito dall’art. 27 Cost. e ad un giudizio di rimproverabilità etica e non giuridica del comportamento in ragione di un reato commesso dall’imputato all’età di appena diciannove anni.

i) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, erronea valutazione del decreto penale di condanna per reato coperto da amnistia.

La sentenza aveva assegnato rilievo, non tanto alla vicenda processuale definita con la pronuncia di patteggiamento, come contestato nell’imputazione, quanto alla consapevolezza dell’imputato di avere riportato anche un decreto penale di condanna, che è stato oggetto di indulto grazie alla L. n. 241 del 2006. Sotto tale profilo difetta ogni contestazione e la sua considerazione è avvenuta in violazione del disposto dell’art. 521 cod. proc. pen., oltre che in modo illogico, dal momento che un decreto penale condonato non costituisce condanna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.

1. Per ragioni di ordine logico, prima ancora che giuridico, e per il loro valore pregiudiziale, vanno esaminate in via prioritaria le questioni in rito.

1.1 In primo luogo va escluso che ricorra la nullità degli atti processuali e delle due sentenze di merito sotto il profilo della violazione del disposto dell’art. 516 cod. proc. pen.. Invero, come ammesso dallo stesso ricorrente, il Procuratore militare all’udienza del 25 ottobre 2012 nel corso del giudizio di primo grado ha provveduto a modificare l’imputazione, contestando all’imputato la fattispecie di truffa consumata, non più tentata, e quale momento di accertamento del reato la data del 7 ottobre 2009.

Al riguardo la difesa pare confondere nelle sue obiezioni il profilo procedurale della modificazione operata, da quello concernente l’effettiva corrispondenza alla realtà fattuale dell’addebito come risultante dopo la sua diversa contestazione. Sotto il primo profilo, l’operato dell’organo dell’accusa risulta del tutto legittimo e conforme al dettato dell’art. 516 cod. proc. pen. nell’interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il mutamento dell’imputazione è consentito nel giudizio, non soltanto a fronte dell’effettiva emersione dal corso dell’istruzione dibattimentale di elementi differenti che qualificano il fatto di reato, ma anche quando non si sia conseguito alcun “novum” e l’intervento correttivo dipenda da una diversa considerazione del requirente (Cass., sez. 6 nr. 26284 del 26/3/2013, Tonietti, rv. 256861; sez. 6, nr. 44501 del 29/10/2009, Cardella, rv. 245006; sez. 2, nr. 3192 dell’8/1/2009, Caltabiano, rv. 242672).

Inoltre, resta escluso che nella vicenda si sia operato il completo stravolgimento del fatto contestato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, tanto che lo stesso ha conservato immutati la descrizione della condotta materiale, delle circostanze di consumazione sotto il profilo degli artifici impiegati, del raggiro cagionato e del pregiudizio così prodotto.

1.2 La sentenza del Tribunale ha dunque pronunciato in ordine all’imputazione come modificata ritualmente nel corso del giudizio senza si sia verificata alcuna nullità e non si comprende, perchè non efficacemente dedotto con l’impugnazione, genericamente espressasi sul punto, quale pregiudizio avrebbe sofferto la difesa nelle sue prerogative per effetto di tale mutamento, avvenuto con modalità che le hanno consentito di prenderne cognizione e di esercitare tutte le facoltà deduttive per contrastarne il fondamento.

2. La Corte militare di Appello ha fondatamente respinto anche l’eccezione che lamenta la violazione del divieto di “bis in idem”;

ha rilevato il difetto dei presupposti per ritenere operante l’improcedibilità dell’azione per violazione del giudicato sostanziale in ragione della mancata pronuncia nei separati procedimenti, pendenti in fase d’indagini preliminari presso l’autorità giudiziaria ordinaria di Roma e Catania, di alcuna decisione, riguardante la stessa condotta ascritta al ricorrente.

2.1 Appare altresì corretto sotto il profilo giuridico anche il rilievo, secondo il quale può ipotizzarsi il concorso e non l’assorbimento del delitto comune di falso ideologico, oggetto d’investigazioni nei procedimenti sopra citati, e quello di truffa militare, dal momento che nella previsione normativa la falsità non costituisce elemento essenziale per la realizzazione della truffa; al riguardo, è necessario che sia la legge penale a stabilire il falso quale elemento costitutivo quale artificio o circostanza aggravante della fattispecie di truffa, non essendo sufficiente in tal senso che nelle modalità pratiche di consumazione della condotta antigiuridica si realizzi un’occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati (Cass. sez. 5, n. 21409 del 05/02/2008, Franchi e altro, rv. 240081; sez. 5, n. 45965 del 10/10/2013, Muratore, rv. 257946).

2.2 Nè a conclusioni difformi potrebbe pervenirsi in aderenza ai precedenti giurisprudenziali, citati in ricorso; invero, nei casi risolti da questa Corte riguardanti le fattispecie di truffa in danno dello Stato, art. 640-bis cod. pen., oppure di indebita percezione di erogazioni pubbliche, art. 316-ter cod. pen., si è riconosciuta la natura di reato complesso e l’operatività del principio dell’assorbimento del delitto di falso in quello di truffa, ma in considerazione della configurazione normativa di tale fatto tipico, che pretende quale artificio proprio l’utilizzo o la presentazione di atti falsi o attestanti circostanze non veritiere, oppure l’omessa rappresentazione di fatti veri.

E’ poi significativo che la stessa sentenza delle Sezioni Unite n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, rv. 235962, richiamata dal ricorrente, abbia affermato tale principio di diritto, ma al tempo stesso abbia escluso l’assorbimento in relazione ad altre eventuali falsità diverse da quelle integranti i reati di cui agli artt. 483 e 489 cod. pen., ritenute concorrere con il delitto di cui all’art. 316-ter cod. pen. .

2.3 In ogni caso, a tutto voler concedere, va ribadito quanto già osservato dalla Corte di merito, ossia che l’eventuale assorbimento opererebbe effetti in senso contrario a quanto dedotto dal ricorrente, ossia comporterebbe la ricomprensione del delitto di falso ideologico comune in quello speciale di truffa militare, rientrante nell’ambito della giurisdizione esclusiva dell’autorità giudiziaria militare.

In considerazione dei superiori rilievi, resta anche decisamente escluso che i giudici di appello siano incorsi in errore nella disamina delle questioni sollevate dalla difesa ed abbiano confuso il profilo del difetto di giurisdizione con quello dell’incompetenza per territorio.

Va soltanto ribadito che qualsiasi violazione della legge penale militare, integrante reato, offensiva di interessi dell’amministrazione militare e commessa da soggetto ad essa appartenente, qual è quella ascritta al D., appartiene alla giurisdizione esclusiva dell’autorità giudiziaria militare.

Il riparto di potestà tra giudice ordinario e giudice militare attiene alla giurisdizione e non alla competenza, in conformità all’art. 103 Cost., comma 3, con la conseguenza che, in caso di connessione di reati, la “potestas iudicandi” spetta al giudice ordinario anche per il reato militare, ma soltanto a condizione che il reato comune sia da considerarsi di maggiore gravità alla stregua dei criteri di cui all’art. 16 cod. proc. pen., comma 3.

In tal senso si è espressa Cass. sez. 1, n. 44514 del 28/09/2012, Nacca e altro, rv. 253825, che ha pronunciato in un caso in cui concorrevano il delitto di collusione previsto dalla L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art. 3 e quello di falso ideologico, dei quali il primo è stato ritenuto più grave; vedi anche sez. 1, n. 1110 del 01/12/2009, Turano, rv. 245942).

Si è altresì affermato in modo del tutto condivisibile che ” L’attrazione nella giurisdizione del giudice ordinario dei procedimenti per reati concorrenti, comuni e militari, opera solo se il reato comune è più grave di quello militare, mentre negli altri casi le sfere di giurisdizione, ordinaria e militare, rimangono separate, con la conseguenza che al giudice militare appartiene la cognizione dei reati militari e al giudice ordinario quella per i reati comuni. (Nella specie, relativa a procedimento per truffa militare, diserzione e falsità in certificazione amministrativa, il tribunale ordinario aveva declinato la giurisdizione in favore del tribunale militare che aveva proposto, limitatamente al reato comune, conflitto, risolto dalla Corte con la dichiarazione della giurisdizione ordinaria per il delitto di falso; Cass. sez. 1, n. 50012 del 01/12/2009, Confl., comp. in proc. Mollicone, rv. 245981).

3. Va respinto perchè infondato anche il motivo che ripropone la questione sulla non corretta applicazione delle regole di riparto della competenza per territorio: sul punto la sentenza impugnata ha in modo ineccepibile riscontrato la tardiva formulazione della relazione eccezione, espressa dal ricorrente per la prima volta con l’atto di appello.

Ebbene, non soltanto tale determinazione rispetta il disposto dell’art. 21 cod. proc. pen., che non consente di sollevare la questione dopo l’udienza preliminare e, se questa manchi, dopo la trattazione delle questioni preliminari, ma si fonda sul corretto rilievo della possibilità di una più tempestiva deduzione nel corso del giudizio di primo grado.

Non giova, infatti, alla difesa sostenere che i presupposti per la contestazione sarebbero emersi soltanto al dibattimento, perchè, anche a voler ritenere che la modifica dell’imputazione, operata dal P.M., avesse introdotto profili di novità incidenti sulla competenza per territorio in ragione del luogo e del tempo di consumazione del reato, l’eccezione avrebbe potuto e dovuto essere proposta a quella stessa udienza o a quella successiva, non già con l’atto introduttivo del grado ulteriore.

Se dunque il mutamento parziale dell’accusa poteva autorizzare una sorta di remissione in termini per dedurre questione d’incompetenza, ormai preclusa per lo sviluppo raggiunto dal progredire del processo (Cass. sez. 1 nr. 47520 del 12/12/2007, confi, comp in proc. Filippone, rv. 238381; contra Cass. sez. 1, n. 26699 del 23/05/2013, Confi, comp. in proc. Singh Balgit e altri, rv. 256050, che ha rilevato come la preclusione sancita dall’art. 21 cod. proc. pen. in nome dell’efficienza e della spedita trattazione del processo non ammetta deroghe, nemmeno per effetto di eventuali modifiche apportate all’imputazione nel corso del giudizio, sede naturale delle acquisizioni istruttorie e di conseguenti adattamenti dell’accusa), tale facoltà avrebbe comunque dovuto essere esercitata alla prima occasione processuale utile, cosa non verificatasi, senza che possa censurarsi sul punto la decisione che ne ha preso atto.

4. Seguendo l’ordine logico delle questioni secondo criteri di pregiudizialità, va disatteso anche il sesto motivo di gravame, col quale si censura la mancata attivazione dei poteri d’ufficio del giudice di appello ai sensi degli artt. 507 e 603 cod. proc. pen. in relazione alla mancata assunzione dell’esame del teste a discarico avv.to L., legale che aveva assistito l’imputato nel procedimento penale del 2004 e che gli aveva fornito un parere professionale in ordine alla possibilità di partecipazione al concorso.

Anche al riguardo non si ravvisano nella sentenza i profili di illegalità denunciati.

La Corte territoriale ha evidenziato l’assoluta superfluità del supplemento istruttorio sollecitato dalla difesa, che non aveva indicato il teste nella propria lista, seppure a conoscenza del suo preteso ruolo nella vicenda; ha quindi condiviso i rilievi del Tribunale in ordine, da un lato all’inverosimiglianza del preteso contenuto del parere, dall’altro, anche a volerlo ritenere credibile, alla formulazione di tale opinione in dipendenza dell’esibizione di un certificato del casellario giudiziale del marzo 2004, ancora privo di iscrizioni pregiudizievoli.

Poiché, secondo la stessa ricostruzione dei fatti riferita dall’imputato, la rappresentazione al professionista della situazione relativa ai precedenti penali era stata parziale e non veritiera ed avallata da un documento non probante si è dedotto che la sua testimonianza al riguardo non avrebbe potuto offrire al processo elementi utili di valutazione per escludere l’elemento soggettivo del dolo.

Al tempo stesso si è rimarcata la completezza dell’indagine istruttoria e l’inutilità di ulteriori verifiche probatorie. Resta dunque escluso che, per le puntuali osservazioni svolte da entrambe le conformi sentenze di merito, tale deposizione costituisca “un nuovo elemento probante essenziale”, sia perchè nota da anni all’imputato, sia perchè sotto alcun profilo decisiva per le sorti del processo.

4.1 La sentenza in verifica non si presta dunque ad alcuna censura, avendo corredato la decisione dell’illustrazione logica, ragionata e completa delle relative ragioni, che il ricorso contrasta con argomenti tautologici ed inconsistenti, denunciando una situazione di dubbio dimostrativo, non colmato dai giudici di merito, i quali, al contrario, hanno considerato come acquisito un compendio probatorio solido ed univocamente significativo della responsabilità dell’imputato.

5. In particolare, si è ritenuto integrato in tutti i suoi elementi costitutivi il delitto di truffa militare in ragione dell’avvenuta presentazione della domanda di partecipazione al concorso da parte dell’imputato, il quale aveva avuto precisa conoscenza del bando di concorso e delle relative prescrizioni, aveva compilato e sottoscritto la domanda personalmente, quindi aveva conseguito la nomina ad allievo sergente con decreto ministeriale e la possibilità di partecipare al corso di formazione presso la scuola di Caserta dal 24 febbraio al 17 settembre 2009, nonostante non fosse stato in possesso dei requisiti soggettivi richiesti per avere riportato condanna per delitto non colposo, furto con strappo, pronunciata in procedimento definito con riti alternativi.

Oltre alla piena dimostrazione dell’elemento materiale della truffa, si è confermata la ricorrenza dell’elemento psicologico del dolo, quanto meno nella forma del dolo eventuale, in ragione: – della piena conoscenza in capo all’imputato della condanna per reato di una certa gravità e della successiva emissione a suo carico di un decreto penale di condanna per ulteriore condotta penalmente illecita di guida in stato di ebbrezza; – della comprensione del significato delle precise e chiare prescrizioni contenute nel bando di concorso quali condizioni per la partecipazione, le quali avevano previsto la condizione negativa di non avere riportate condanne penali e non di non avere iscrizioni pregiudizievoli nel certificato del casellario giudiziale;

– dei sospetti che il D. aveva nutrito sulla possibilità di partecipare al concorso una volta letto il relativo bando, confermati dall’acquisizione del certificato del casellario giudiziale in data 31 marzo 2004, risultato privo di annotazioni e dalla richiesta di un parere al suo legale di fiducia, dubbi che non aveva però inteso chiarire con l’organismo presso l’amministrazione che aveva indetto il concorso, espressamente istituito ed indicato nel bando, svolgente funzioni di consulenza in favore dei concorrenti;

– della mancata richiesta di altro certificato del casellario più aggiornato e comunque successivo al decreto penale di condanna.

5.1 La Corte militare ha dunque escluso che, in presenza dei precisi elementi fattuali e logici sopra riassunti, il giudizio di colpevolezza fosse stato fondato su un’inammissibile inversione dell’onere della prova e sulla pretesa che fosse l’imputato a dover dimostrare la propria innocenza; ha quindi esaminato e disatteso ogni deduzione contenuta nei motivi di appello.

5.1.1 In particolare, ha riscontrato la limitata valenza dimostrativa delle dichiarazioni dell’imputato sulla sua pretesa ingenuità, non già perchè provenienti da chi è accusato nel processo, ma per il loro contenuto intrinseco, contrario alle regole di buon senso, alla comune esperienza ed ai dati conoscitivi in suo possesso, e per l’interesse che le aveva ispirate; in tal senso si è ritenuto che la richiesta ad un legale di un parere giuridico sulla scorta di un documento non aggiornato e comunque in sè non probante in senso decisivo, a fronte della certezza oggettiva e soggettiva della duplicità delle condanne penali riportate, nonchè le sollecitazioni provenienti dallo zio del D. a migliorare la propria condizione professionale non costituissero antecedenti della condotta tali da escludere il dolo, posto che nel primo caso il documento esibito era non aggiornato e quindi non poteva rassicurare sulla sua sufficienza ed idoneità a rappresentare le circostanze presupposte, nel secondo l’imputato non aveva correttamente esposto la propria situazione di pluripregiudicato.

5.1.2 Resta altresì escluso che i giudici di merito siano incorsi nel vizio rappresentato col terzo motivo di gravame: in primo luogo non risponde al vero e non è dimostrato che il certificato del casellario giudiziale relativo al D. anche negli anni successivi al 2004 avesse sempre riportato la dicitura “nulla”; tale circostanza era reale soltanto per quello estratto alla data del 31/3/2014 ed era dipendente dall’operatività del beneficio della non menzione, senza però poter significare l’insussistenza, quale dato oggettivo e storico, di alcuna condanna.

Inoltre, il richiamo a tale documento è stato ritenuto inidoneo a dimostrare che l’interessato fosse inconsapevole di non possedere i requisiti soggettivi di ammissione al concorso, perchè in sè, per la sua funzione attestativa, in grado di provare l’inesistenza di condanne iscrivibili nel casellario giudiziale, spedito a richiesta dei privati, non già l’assenza di condanne penali ostative all’ammissione al corso richiesto.

La differenziazione tra i due piani di operatività fra i requisiti pretesi dal bando e la disciplina giuridica sull’annotazione dei provvedimenti giudiziali di condanna risulta corretta sotto il profilo giuridico, aderente ai dati probatori ed alla disciplina legale del concorso e priva di qualsiasi vizio logico.

Per contro, il ricorso ripropone le medesime tematiche e continua a confondere volutamente l’iscrizione pregiudizievole e la condanna per delitto non colposo, come fossero fatti equipollenti, ignorando i puntuali e pertinenti rilievi delle sentenze di merito e quindi incorrendo nel difetto di specificità del motivo.

5.1.3 Non ha alcun pregio nemmeno la doglianza che lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e l’erronea valutazione del decreto penale di condanna per reato coperto da indulto.

L’apparato argomentativo della sentenza in verifica consente di escludere che la Corte militare abbia assegnato a tale elemento un’efficacia dimostrativa esclusiva del dolo in capo all’imputato o che l’abbia considerato quale condotta in se rilevante di truffa; al contrario, lo si è valorizzato quale ulteriore elemento logico, univocamente indicativo della consapevolezza del D. di avere riportato condanne penali per un reato che non era stato estinto, avendo l’indulto estinto soltanto la pena, nonchè della falsità della sua dichiarazione, senza che in tale procedimento valutativo sia rintracciabile alcuna contraddizione o incoerenza logica.

5.1.4 Infine, la Corte di merito non ha nemmeno ignorato la censura che aveva lamentato il ricorso da parte del Tribunale a presunzioni di colpevolezza ed a giudizi di rimproverabilità etica nei confronti di un imputato, incorso nella commissione di un reato quando era appena diciannovenne.

Ha disatteso la doglianza sulla base del riscontro dell’utilizzo da parte del Tribunale di elementi probatori concreti, significativi, univoci, consistenti nel tenore del bando di concorso, nella sua agevole comprensibilità, nella condanna riportata dall’imputato e nella condotta successivamente tenuta da questi.

Tale analisi si sottrae a qualsiasi censura di legittimità perchè corretta, compiuta, chiaramente esplicativa e priva di vizi giuridici, oltre che dei profili di oltraggiosa ed immotivata svalutazione delle argomentazioni difensive, infondatamente lamentati col ricorso.

Nè è dato leggere impropri giudizi di abominio quanto al reato di furto, commesso dall’imputato, ma espressioni misurate ed adeguate al contesto giudiziario, nè le altre aberrazioni giuridiche che l’impugnazione prospetta.

5.2 In ragione dei dati fattuali acquisiti non può essere criticata nemmeno la qualificazione giuridica del fatto in termini di truffa militare aggravata, questione non ignorata dalla Corte militare, ma affrontata e risolta in senso adesivo alle determinazioni del Tribunale.

Si è osservato al riguardo che la dichiarazione mendace inserita nella domanda di partecipazione al concorso costituisce l’artificio ed il raggiro, mediante il quale si è tratto in errore l’amministrazione sul possesso dei necessari requisiti personali del concorrente e si è conseguito l’ingiusto profitto, rappresentato dalla nomina ad allievo aviere e dall’ammissione al corso di formazione; in altri termini, diversamente da quanto rappresentato col ricorso, la condotta non si è esaurita nella prospettazione mendace di circostanze di fatto a conoscenza del dichiarante, ma è connotata da ulteriori elementi tipici, ossia l’inganno attuato dell’amministrazione, che, se a conoscenza della condanna del D. non lo avrebbe ammesso al concorso, ed il conseguente pregiudizio patrimoniale con pari vantaggio ingiusto per l’agente.

Non giova alla difesa sostenere che l’unico soggetto ad essere caduto in errore sarebbe stato lo stesso imputato, il cui patrimonio di conoscenze ed esperienze personali, per quanto ricostruito nelle due sentenze di merito, gli aveva consentito l’esatta rappresentazione della propria condizione di soggetto condannato e della necessità di tenere celata tale situazione onde poter accedere ad un beneficio cui non aveva diritto.

Per le considerazioni svolte il ricorso, infondato in tutte le sue deduzioni, va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2015.