Bologna, 29 anni fa l’eccidio della Uno Bianca al Pilastro: “Crudeltà incancellabile” … (Video)

Sono passati 29 anni e fa sempre paura.

Quell’immagine scattata il 4 gennaio del 1991 è ancora oggi la testimonianza della disperata impotenza dello Stato di fronte all’ennesimo assassinio di quelli della “Uno bianca”. Non è un caso se stamattina al Pilastro ci saranno tutti a ricordare quella strage. Ci sarà l’arcivescovo Matteo Zuppi, il sindaco Virginio Merola, ci saranno la politica e le istituzioni. E ci saranno i familiari delle vittime che per voce di Rosanna Rossi Zecchi, a distanza di anni, dicono “Il tempo è passato ma per noi è difficile dimenticare una cosa così crudele”. Anni che non può cancellare dalla memoria.

video
play-sharp-fill

Quei carabinieri a terra

È un film quello che scorre nella mente di Bologna. Una pellicola su cui è fissata un’auto dei carabinieri ridotta a un brandello di lamiere crivellate dai colpi, con i vetri del lunotto posteriore esplosi in migliaia di piccoli frammenti e i cristalli del parabrezza ricamati dai buchi delle raffiche. Anche a distanza di 29 anni è doloroso riguardare i corpi di Andrea Moneta e Mauro Mitilini, coperti dalle lenzuola. È inquietante rivedere il sangue sul volto del cadavere riverso sullo sterzo di Otello Stefanini. E oggi sembra ancora tutto assurdo nel ripercorrere quei sette anni di follia omicida.

Una follia omicida

Dal 1987 all’autunno del 1994 la banda dei fratelli Savi ha inanellato una serie di crimini impressionanti. Armi in pugno, in sei (Roberto, Fabio e Alberto Savi, Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli), con responsabilità e ruoli diversi, sono entrati in azione 103 volte. Hanno lasciato sul selciato 24 morti e ferito altre 102 persone. Rapine ai caselli autostradali, alle banche, alle Poste, ai supermercati, alle attività commerciali. Hanno assassinato uomini delle forze dell’ordine, guardie giurate, benzinai, esercenti, tranquilli passanti e testimoni scomodi. Nel 1987 non hanno esitato a sparare contro il sovrintendente di polizia Antonio Mosca, considerato la prima vittima. A gennaio dell‘88 hanno fatto cadere anche la guardia giurata Giampiero Picello. Spietati non esitarono contro i carabinieri Cataldo Stasi e Umberto Erriu, colpevoli di averli fermati in un parcheggio. Nell’89 freddarono Adolfino Alessandri, un pensionato reo di aver assistito ad una rapina.

Assassini-poliziotti protetti dai depistaggi

Cattivi, sanguinari e razzisti. A Bologna nel ‘90 sparano contro la roulotte del un campo nomadi di via Gobetti uccidendo Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina. Nel ‘91 in Riviera fanno fuoco contro tre operai senegalesi uccidendone due (Ndiaj Malik e Babou Chejkh). E poi via via tanti altri. Si sentivano imprendibili i Savi. Onnipotenti. Assassini per metà del loro tempo, poliziotti per l’altra metà. Spietati, capaci di premere il grilletto puntando l’arma alla nuca di un innocente e di sorridere nella parte dei difensori della legge quando indossavano la divisa. Avevano amici i Savi. Il processo che portò alla loro condanna dopo gli arresti del 1994 dimostrerà che le indagini più volte furono sporcate da depistaggi, da rivendicazioni false come quelle della “Falange armata”, da carte e testimoni spariti, da imbeccate velenose da parte degli stessi uomini delle forze dell’ordine. “Sono militari”, dicevano. Aggiungendo: “Sono carabinieri”, sono “Agenti dei servizi”.

La sera di 29 anni fa

Erano assassini, con l’aggravante di vestire una divisa della Polizia di Stato. Criminali che per sette anni hanno terrorizzato un’intera regione. La loro storia è una ferita aperta per Bologna. La strage del Pilastro è emblematica. Quella sera di 29 anni fa una pattuglia dei Carabinieri cadde vittima della follia omicida dei macellai.

La banda si trovava al Pilastro per caso. Andavano a San Lazzaro di Savena in cerca di un’auto da rubare. In via Casini, vennero sorpassati dalla pattuglia dei tre carabinieri. La manovra fu interpretata dai criminali come un tentativo di registrare i numeri di targa e pertanto decisero di liquidare i carabinieri.

Dopo averli affiancati, Roberto Savi esplose alcuni proiettili verso i militari, sul lato del conducente Otello Stefanini.

Nonostante le ferite gravi subite, il militare cercò di fuggire, ma andò a sbattere contro dei cassonetti della spazzatura. In breve tempo l’auto dei Carabinieri fu investita da una pioggia di proiettili. Gli altri due militari, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, riuscirono a lasciare l’abitacolo e a rispondere al fuoco, ferendo tra l’altro Roberto Savi.

La potenza delle armi utilizzate dalla banda però non lasciava speranze ed entrambi i carabinieri rimasero sull’asfalto. I tre furono finiti con un colpo alla nuca. Il gruppo criminale si impossessò anche del foglio di servizio della pattuglia e si allontanò dal luogo del conflitto a fuoco.

La Uno bianca coinvolta nel massacro fu abbandonata a San Lazzaro di Savena nel parcheggio di via Gramsci ed incendiata; uno dei sedili era sporco del sangue di Roberto Savi, rimasto lievemente ferito all’addome durante il conflitto a fuoco.

Uno Bianca, permesso premio per Alberto Savi

Ira dei parenti delle vittime: “La nostra è una battaglia contro i mulini a vento, più diciamo che non li perdoneremo mai e più li fanno uscire”.

Alberto Savi ha usufruito di un permesso premio nel corso delle vacanze natalizie: l’uomo ha potuto trascorrere qualche giorno a casa con i famigliari.

Come confermato dalla sua legale Anna Maria Marin, l’ex poliziotto killer che sta scontanto l’ergastolo è già rientrato nel carcere di Padova. È il più giovane dei tre fratelli della banda della Uno Bianca, che tra il 1987 e l’autunno del 1994 provocò 24 morti e oltre 100 feriti. La notizia è arrivata proprio nel giorno in cui si ricorda la strage del Pilastro del 1991 e il sacrificio dei carabinieri Mauro Mitilini, Otello Stefanini e Andrea Moneta.

Non si tratta però di un caso singolare: nell’aprile del 2018 Savi aveva ottenuto tre giorni e mezzo di permesso per le feste, con la possibilità di uscire a pranzo il giorno di Pasqua. Nel 2017 invece gli furono concesse 12 ore da trascorrere in una comunità protetta. L’avvocato Marin ha spiegato: “Sta continuando in maniera regolare i permessi premio e il suo comportamento viene valutato costantemente. In carcere prosegue a lavorare con una cooperativa“.

“Abbiamo paura”

Assolutamente contrari i parenti delle vittime, che si sono dichiarati amareggiati per la decisione. Rosanna Zecchi ha tuonato: “La nostra è una battaglia contro i mulini a vento, più diciamo che non riusciremo mai a perdonare i killer della Uno Bianca e più li fanno uscire. Sono convinta che non sono pentiti“.

Il presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime della Uno BIanca ha fatto sapere: “Alcuni feriti ancora mi chiamano per dirmi che hanno paura di poterli incontrare in strada. La nostra non è una battaglia personale, ma in difesa della società civile“. La donna ha poi aggiunto: “Capisco che chi ha rubato un pezzo di pane possa usufruire di permessi per uscire o di altri benefici in carcere, ma per gli assassini non dovrebbe essere così, questo non è possibile“. Zecchi infine si è domandata: “Già è uscito Marino Occhipinti, che è definitivamente libero, ora prima o poi lo faranno tutti. Ma la giustizia dov’è?“.

Circa un mese fa il magistrato di sorveglianza ha rigettato la richiesta di Fabio Savi di poter lavorare all’interno dell’istituto penitenziario. L’uomo è detenuto nel carcere milanese di Bollate. L’avvocato che lo segue, Fortunata Coppelli, ha spiegato: “Sta già facendo dei corsi in carcere, ma nonostante le relazioni sul suo conto siano positive la richiesta di lavoro è stata respinta“.

Fonte: IlGiornale.it