Carabiniere in servizio presso la stazione di Voghera si appropria di un portafogli contenente la somma in contanti di € 717,00 a lui consegnato, in ragione della sua funzione, da privati cittadini che lo avevano rinvenuto, restituendolo al legittimo proprietario solo dopo l’intervento di un superiore diretto.

(T.A.R. Torino, (Piemonte), sez. I, sentenza 5 ottobre 2016, n. 1206)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 322 del 2013, proposto da:

Al. Ca., rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Angelini, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Torino, corso Re Umberto, 27;

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;

per l’annullamento

a) della determinazione del 19.12.2012 del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare (notificata al ricorrente in data 14.1.2013) con la quale è stata disposta, a carico del Carabiniere Ca., la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”;

b) di ogni ulteriore atto e provvedimento presupposto, preparatorio, connesso e consequenziale della serie procedimentale tra cui, gli atti dell’inchiesta formale, ordinata in data 11.6.2012;

nonché del verbale della seduta della commissione di disciplina in data 10.10.2012;

e per l’accertamento dell’illegittimità della determinazione del 19.12.2012 del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare;

nonché per il risarcimento dei danni.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 maggio 2016 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con determinazione del 19 dicembre 2012, il Ministero della Difesa- Direzione generale per il Personale militare ha comminato al Carabiniere Al. Ca. la sanzione della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, ai sensi degli artt. 861, comma 1, lett. d, ed 867, comma 6, del d.lgs. n. 66 del 2010, con il conseguente effetto di cessazione dal servizio permanente e sua iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito italiano, senza alcun grado, per la seguente motivazione: “carabiniere, all’epoca dei fatti in servizio presso la stazione carabinieri di Voghera (PV), l’8 maggio 2005, quale ‘militare di servizio alla Caserma’, si appropriava di un portafogli contenente la somma in contanti di € 717,00 (settecentodiciassette//00), a lui consegnato, in ragione della sua funzione, da privati cittadini che lo avevano rinvenuto, restituendolo al legittimo proprietario solo dopo l’intervento di un superiore diretto.

Tale condotta, già sanzionata penalmente, è da ritenersi biasimevole sotto l’aspetto disciplinare, in quanto contraria ai principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato ed a quelli di correttezza e esemplarità propri di un appartenente all’Arma dei Carabinieri.

I fatti disciplinarmente rilevati sono di gravità tale da richiedere l’applicazione della massima sanzione disciplinare di stato”.

Nella motivazione dell’atto sono stati richiamati, tra gli altri, la sentenza penale di condanna, emessa il 13 luglio 2007, dal Tribunale di Voghera che, per i riferiti fatti, aveva condannato il militare alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, in ordine ai reati di peculato e di rifiuto di atti d’ufficio; ed anche le successive sentenze della Corte d’Appello di Milano, del 30 settembre 2008 e del 18 ottobre 2011, con le quali – rispettivamente – è stata parzialmente annullata la sentenza di primo grado (con assoluzione per il solo reato di rifiuto di atti d’ufficio) ed è stata ridotta la pena inflitta (a seguito di sentenza di cassazione con rinvio, limitatamente al giudizio sull’applicabilità delle circostanze attenuanti).

Sono stati richiamati, inoltre, gli atti dell’inchiesta formale, ordinata nei suoi confronti l’11 giugno 2012 e le risultanze della Commissione di Disciplina che, con verbale del 10 ottobre 2012, ha ritenuto il carabiniere “non meritevole di conservare il grado”, atti rispetto ai quali la memoria presentata dall’interessato, nel corso del procedimento disciplinare, è stata valutata come “ininfluente”.

Non ritenendo legittima la sanzione, il sig. Ca. ha impugnato la determinazione ministeriale dinnanzi a questo TAR, insieme agli atti dell’inchiesta formale ed al giudizio della Commissione di Disciplina, chiedendone l’annullamento, previa sospensione cautelare, adducendo i seguenti motivi di impugnazione:

– difetto di istruttoria e travisamento dei fatti; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 per difetto di motivazione; violazione dell’art. 25 Cost.: ciò, in quanto, nella specie, l’amministrazione avrebbe adottato una motivazione standard, a “sorta di ciclostile”, limitandosi ad una “mera ripetizione delle generiche formule contenute nelle norme applicate”, senza neanche esplicitare le ragioni per le quali le deduzioni difensive del ricorrente sono state valutate come ininfluenti;

– difetto di motivazione, sotto altro profilo, ossia per mancanza di un’autonoma valutazione, in sede disciplinare, dei fatti già accertati e valutati in sede penale; si contesta, inoltre, il mancato rispetto, da parte dell’amministrazione, delle regole predisposte in seno alla “Guida tecnica – Norme e procedure disciplinari”, adottata nel 2011 dal Ministero della Difesa, secondo le quali, per l'”analoga” fattispecie sanzionatoria della “perdita del grado per condanna penale”, deve escludersi l’applicabilità della sanzione nell’ipotesi in cui (come nella specie) il militare abbia avuto concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena;

– ancora difetto di motivazione, in quanto la Commissione di Disciplina ha deciso mediante una votazione segreta;

– difetto di proporzionalità e manifesta illogicità, a fronte della “tenuità del fatto addebitato”.

2. Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, depositando documenti e chiedendo il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 202 del 2013 questo TAR ha respinto la domanda cautelare.

In vista della pubblica discussione, il ricorrente ha depositato un’ulteriore memoria difensiva, accennando anche ad un precedente di questo TAR (la sentenza n. 703 del 2012).

Alla pubblica udienza del 25 maggio 2016, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Il ricorso non è fondato.

3.1. Va premesso che, a seguito della sentenza del 18 ottobre 2011 con cui la Corte d’Appello di Milano, dopo il giudizio di cassazione con rinvio della precedente pronuncia d’appello, aveva confermato la condanna, già pronunciata nei confronti del ricorrente in primo grado, per il reato di peculato, in data 11 giugno 2012 l’amministrazione ha avviato, ai sensi degli artt. 1376 ss. del d.lgs. n. 66 del 2010, apposita inchiesta formale ai fini dell’accertamento disciplinare.

L’inchiesta si è conclusa con la redazione del rapporto formale in data 28 agosto 2012 (doc. n. 9 dell’Avvocatura) rapporto che, dopo aver ripercorso gli elementi di fatto della vicenda (in particolare, la versione dei fatti di cui alla memoria difensiva del militare, fornita in data 3 agosto 2012) ha ritenuto fondati gli addebiti contestati all’inquisito formulando apposite e dettagliate “considerazioni” (sub paragrafo D del rapporto).

Ivi si legge, in particolare, che il comportamento tenuto, in occasione della consegna del portafogli, “risulta non aderente alle procedure cui deve attenersi il Militare di Servizio alla caserma in circostanze simili. Seppure l’inquisito non sapeva dove mettere il borsello, certo non avrebbe dovuto portarlo a casa, bene avrebbe fatto a passarlo di consegna al militare subentrante.

Il fatto di trattenerlo getta inevitabili ombre e sospetti sulla reale motivazione di tale gesto, inoltre comunque non si capisce perché non lo avesse riportato il giorno successivo in caserma, ma a specifica richiesta del Mar. Ord. Ba. abbia dovuto andare a casa a riprenderlo”; ed ancora: “sostenere, a fronte della richiesta di restituzione della legittima proprietaria, di dovere effettuare non meglio specificate indagini, non fa che gettare ulteriori sospetti sul comportamento tenuto dall’inquisito”.

Viene poi riportato il contenuto del verbale di sommarie informazioni rilasciate dall’app. sc. Na., relativo ad una richiesta di denaro in prestito, avanzatagli la sera prima da parte del Ca., in quanto quest’ultimo aveva preso in consegna “un portafogli rinvenuto, contenente tra l’altro del denaro e che lui ne aveva prelevato una parte per pagare la bolletta della luce, in quanto l’avevano staccata per morosità, non avendone quindi la disponibilità per la restituzione”. E quindi, con il verbale del 10 ottobre 2012, la Commissione di Disciplina, presa visione degli atti dell’inchiesta, e constatato che il giudicando non intendeva produrre altre memorie difensive scritte e rinunciava ad esporre le proprie difese personalmente, ha ascoltato le argomentazioni del suo Ufficiale difensore, rendendo alla fine il proprio parere sfavorevole al mantenimento del grado.

Alla luce di queste circostanze, appare destituita di fondamento la prima doglianza di cui al ricorso, secondo la quale l’amministrazione avrebbe reso, all’esito del giudizio disciplinare, una motivazione solo apparente, “a ciclostile”, della sanzione comminata, e non avrebbe compiuto alcuna autonoma valutazione dei fatti, appoggiandosi meramente all’accertamento già compiuto in sede penale dall’autorità giurisdizionale.

È evidente, in contrario, che la valutazione propria ed autonoma, da parte degli organi amministrativi inquirenti, vi è ben stata e si è anche sviluppata mediante un’attenta e completa ricostruzione dei fatti; e, conseguentemente, la motivazione di cui all’impugnata determinazione ministeriale, che ha recepito il giudizio della Commissione di Disciplina, è manifestamente immune dalle censure di parte ricorrente.

Né può dirsi, analogamente, che l’amministrazione non avrebbe reso esplicite le ragioni per le quali la memoria difensiva, presentata in corso di procedimento da parte dell’inquisito, sia stata valutata come ininfluente: come già visto, in realtà, è proprio la ricostruzione dei fatti, dettagliatamente operata dall’autorità inquirente, che esclude di per sé le giustificazioni che pure erano state apportate dal militare, fermo comunque restando che le stesse sono state prese in considerazione, con insussistenza di alcuna violazione delle sue prerogative di difesa.

3.2. In ogni caso, come correttamente nota la difesa erariale, anche a prescindere da questi ultimi dati di fatto, l’art. 653, comma 1-bis, c.p.p. (come introdotto dalla legge n. 97 del 2001) stabilisce la regola generale per cui “La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso”, costituendo pertanto il presupposto giuridico fondamentale, non contestabile nelle sue statuizioni, dal quale si diparte il procedimento disciplinare, ferme restando le garanzie proprie di quest’ultimo, come anche fissate dall’art. 9 della legge n. 19 del 1990.

In tal modo, come affermato dalla Corte costituzionale, il legislatore del 2001 ha voluto garantire non solo una sostanziale coerenza tra sentenza penale ed esito del procedimento amministrativo, ma soprattutto una linea di maggiore rigore per garantire il corretto svolgimento dell’azione amministrativa (cfr. Corte cost., sentt. n. 186 del 2004 e n. 336 del 2009), nel senso di impedire che soggetti la cui credibilità è minata dall’applicazione della pena (patteggiata o meno) potessero continuare a rivestire responsabilità nelle amministrazioni pubbliche, così da evitare il “disdoro” per l’immagine pubblica (così la citata sent. n. 336 del 2009, che richiama in proposito i lavori preparatori della legge n. 97 del 2001).

3.3. Né possono ravvisarsi, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, gli estremi del vizio di difetto di motivazione solo perché, nel caso di specie, l’amministrazione non ha considerato, come elemento scriminante, l’avvenuta concessione, in sede penale, del beneficio della sospensione condizionale della pena. Il raffronto tra l’ipotesi della perdita del grado per condanna penale (di cui all’art. 866 del d.lgs. n. 66 del 2010) e quella della perdita del grado a seguito di procedimento disciplinare (art. 865 del medesimo d.lgs.) non può essere condotto nei termini proposto da parte ricorrente: si tratta, invero, di due ipotesi ben distinte, posto che la prima conduce all’applicazione della massima sanzione di stato in via automatica, per effetto della pronuncia di una condanna penale (cfr. art. 861, comma 1, lett. e, d.lgs. n. 66 del 2010, similmente a quanto prevede l’art. 29, comma 2, c.p.m.p. per il caso di condanna alla reclusione militare), senza un previo giudizio disciplinare, e purché si tratti di “condanna definitiva, non condizionalmente sospesa” per i reati indicati dall’art. 866 cit.; mentre la seconda presuppone lo svolgimento di un apposito giudizio disciplinare (cfr. art. 861, comma 1, lett. d, d.lgs. n. 66 del 2010) nel quale vengono valutate l’eventuale condanna penale riportata nonché tutte le circostanze rilevanti, insieme alle difese dell’inquisito.

Si capisce, pertanto, che le invocate Guide tecniche ministeriali contemplino l’impossibilità di comminare la sanzione della perdita del grado nell’ipotesi di concessione della sospensione condizionale della pena, allorché si tratti della fattispecie sanzionatoria automatica regolata dall’art. 866 del d.lgs. n. 66 del 2010, non foss’altro perché tale condizione è espressamente posta dalla medesima norma di legge; e si capisce, altresì, che l’altra ipotesi di applicazione della stessa sanzione all’esito del procedimento disciplinare (ossia, quella che viene in considerazione nel presente giudizio), di cui all’art. 865, non può affatto prevedere analoga condizione.

Infine, non è possibile riscontrare un difetto di motivazione solo perché il giudizio della Commissione di Disciplina è stato reso mediante votazione segreta, trattandosi di modalità, quest’ultima, imposta dalla legge (art. 1388, comma 11, del d.lgs. n. 66 del 2010).

Del resto, le motivazioni del giudizio disciplinare possono pur sempre rintracciarsi sia negli atti istruttori dell’inchiesta formale, ed in particolare nel rapporto finale redatto dall’Ufficiale inquirente, sia nel successivo decreto ministeriale che irroga materialmente la sanzione (come ben accaduto nel caso di specie).

4. In definitiva, l’operato dell’amministrazione è immune da tutte le censure di parte ricorrente, anche con riguardo alla dedotta violazione del principio di proporzionalità tra addebiti contestati ed entità della sanzione comminata. Ed invero, nel caso di specie, non pare al Collegio che l’amministrazione abbia adottato un giudizio finale sproporzionato, proprio in considerazione dell’obiettiva gravità di questi ultimi (per come ricostruiti sia nel procedimento penale sia all’esito dell’inchiesta formale), anche e soprattutto in termini di ricaduta di immagine sull’amministrazione militare complessivamente considerata.

Non ignora il Collegio che, con sentenza n. 703 del 2012, questo TAR, in una fattispecie apparentemente analoga, ha ritenuto la violazione del principio di proporzionalità, con annullamento della sanzione di perdita del grado per rimozione che, in quell’occasione, era stata inflitta al militare.

Appaiono tuttavia diversi e non comparabili i presupposti di fatto che, nell’un caso e nell’altro, hanno condotto l’amministrazione all’applicazione della massima sanzione di stato: nel caso oggetto del presente giudizio, oltre all’episodio del peculato (sanzionato penalmente) per la sottrazione del portafogli consegnato in caserma da privati cittadini (episodio che pure ricorreva nel caso del 2012), si ha anche il pervicace comportamento del militare che ha ritardato, il più a lungo possibile, la restituzione del maltolto adducendo giustificazioni “di servizio” del tutto insussistenti, ed alla fine cedendo solo dopo l’intervento del proprio diretto superiore, con aggravamento del danno all’immagine per l’amministrazione di appartenenza.

Si tratta di elementi di fatto che, del tutto legittimamente, l’amministrazione ha tenuto in considerazione nella discrezionale valutazione della gravità degli addebiti e che non appaiono al Collegio tali da poter sindacare, nei sensi della illegittimità, il giudizio reso dagli organi di disciplina.

Quel precedente, tuttavia, può essere considerato dal Collegio ai fini del giudizio in ordine alle spese di lite, ben potendo esso indurre – attesa, prima facie, la parziale identità delle fattispecie poste a giudizio – alla presentazione del ricorso di cui in epigrafe.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione prima, definitivamente pronunciando,

Respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Silvana Bini, Consigliere

Antonino Masaracchia, Primo Referendario, Estensore

Depositata in segreteria il  05 ott. 2016.