Cassa Nazionale di Previdenza ed assistenza Ragionieri e Periti commerciali (CNRP): illegittimità del massimale pensionabile introdotto dalla delibera del Comitato dei delegati della Cassa 28.06.97. (Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 giugno – 8 settembre 2015, n. 17742)

Con ricorso al giudice del lavoro di Torino, Ferrerò Cesare, titolare di pensione di vecchiaia a carico della Cassa Nazionale di Previdenza ed assistenza Ragionieri e Periti commerciali (CNRP) dal 1°.12.01, contestava la liquidazione della prestazione, assumendo l’illegittimità del massimale pensionabile introdotto dalla delibera del Comitato dei delegati della Cassa 28.06.97, essendo quest’ultima adottata in violazione del principio del prò rata imposto dall’art. 3, c. 12, della legge di riforma previdenziale 8.08.95 n. 335, e chiedeva che la Cassa stessa fosse condannata a riliquidare il trattamento pensionistico secondo i criteri anteriormente vigenti.
2. La domanda era respinta dal Tribunale, il quale con sentenza del 9.05.11 riteneva legittima la delibera 28.06.97, atteso che l’art. 1, c. 763, della L 27.12.96 n. 296, aveva novellato detto art 3, c. 12 e, nell’introdurre nuove modalità di attuazione del principio del prò rata, aveva fatto salvi gli atti e le deliberazioni adottati dagli enti previdenziali privatizzati prima dell’entrata in vigore della legge n. 296.
3. – Proposto appello dall’assicurato, la Corte d’appello di Torino con sentenza del 29.05.12 accoglieva l’impugnazione e dichiarava che l’assicurato aveva diritto, a decorrere dal momento della maturazione della pensione, alla riliquidazione della prestazione, e per tale motivo, condannava la Cassa al pagamento delle differenze relative. La Corte, andando in contrario avviso alla prima sentenza, riteneva applicabile l’art 3, c. 12, della 1. 335 del 1995 nella sua originaria formulazione, ritenendo illegittima la fissazione del massimale, in quanto la norma nella sua originaria formulazione, consentiva solo provvedimenti di variazione delle aliquote contributive e di riparametrazione dei coefficienti di rendimento. La stessa Corte escludeva che la delibera 28.06.97 fosse stata validata dall’alt. 1, c. 763, della legge n. 296, in quanto la disposizione ivi contenuta ha contenuto non interpretativo ma modificativo della disciplina precedente.
3.1. Proponeva ricorso per cassazione la Cassa, cui rispondeva con controricorso Ferrerò. Fissata la discussione dinanzi alla Sezione Lavoro e depositate memorie da entrambe le parti, il Collegio disponeva la rimessione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite.
4. Fissata l’odierna udienza di discussione, con memoria depositata il 16.06.15 M. M. e N. R., M. B., M. R., P. A. e B. V. esponevano di aver presentato ricorso per la cassazione di altrettante sentenze di appello che li avevano visti soccombenti in controversie di contenuto analogo a quello oggetto del ricorso ora in discussione. Gli stessi, al fine di sottoporre all’odierno Collegio questioni di diritto non rilevate dall’ordinanza di rimessione della Sezione ordinaria, spiegavano intervento ad adiuvandum in favore del ricorrente Marcantoni.
5. Depositate dalle parti in causa ulteriori memorie, alla pubblica udienza, il Presidente, dopo la relazione del consigliere relatore, invitava le parti in questione, il Procuratore generale e gli intervenienti a prendere posizione circa l’ammissibilità dell’intervento. All’esito della discussione, dopo che il Collegio si era ritirato in camera di consiglio per la decisione sulla questione preliminare, il Presidente dava lettura di un’ordinanza che dichiarava inammissibile l’intervento.

6. All’esito della discussione generale, le parti in causa ed il Procuratore generale concludevano come in atti.

Motivi della decisione

7. La Cassa contesta la sentenza di appello con sette motivi di ricorso.

7.1. Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 3, c. 12, della l. 8.08.95 n. 335. Sostiene la ricorrente che non sussiste un diritto quesito dell’assicurato a conservare i più favorevoli criteri di liquidazione della prestazione precedentemente vigenti, in quanto il diritto a pensione viene ad esistenza solo nel momento in cui sono realizzati i requisiti previsti dalla legge; prima esiste solo una mera aspettativa di fatto. Pertanto, la CNPR con la delibera 28.06.97 ben poteva rettificare in senso peggiorativo il previgente regime di calcolo del trattamento pensionistico con riguardo alle posizioni assicurative degli iscritti che non avessero ancora maturato i requisiti per accedere a quel trattamento.
Inoltre, la sentenza impugnata concepisce il principio del pro rata in maniera distorta. Essa non afferma che la pensione debba essere riliquidata secondo i vari criteri di calcolo succedutisi nel tempo (L 9.02.63 n. 160, 1. 30.12.91 n. 414 con il regolamento di esecuzione 1.01.95, 1. 8.08.95 n. 335 con le modifiche del regolamento apportate con la delibera del Comitato del 28.06.97) in relazione alla contribuzione via via maturata (il che costituirebbe interpretazione rigorosa del principio del pro ratd)y ma ritiene che la riliquidazione debba essere effettuata sulla base di un solo criterio, quello previsto dal regolamento del 1995, prima delle modifiche apportate dalla delibera del 28.06.97, che sul piano monetano è più favorevole all’assicurato.
Questa interpretazione secondo CNRP non è interpretazione corretta del principio del pro rata ma costituisce l’applicazione di un principio di miglior favore sconosciuto al diritto previdenziale.
7.2. Con il secondo motivo è dedotta violazione dello stesso art. 3, c. 12, della 1. 8.08.95 n. 335, in relazione all’art. 49, c. 9, del regolamento di esecuzione, versione 1997, contestandosi l’affermazione del giudice di merito che la fissazione del tetto pensionistico risulta incompatibile con il principio del pro rata. Il tetto in questione, infatti, non è divisibile in relazione a prima e dopo il momento in cui è stato introdotto e non è ipotizzabile che si applichi solo per un cero periodo.
7.3. Con il terzo motivo è avanzata una censura ulteriore a proposito della considerazione data al tetto pensionistico, rilevandosi che il giudice non ha adeguatamente illustrato i motivi per cui il tetto in questione violerebbe il principio del pro rata.
7.4. Con il quarto motivo è dedotta violazione dell’art. 3, c. 12, della l. 8.08.95 n. 335, in relazione all’art. 1, c. 763, della 1. 30.12.06 n. 296. Quest’ultima disposizione prevede che la stabilità delle gestioni previdenziali è da ricondursi ad un arco temporale di trenta anni e che gli enti di previdenza privata (quale è la CNRP) adottino provvedimenti per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate [rispetto all’introduzione delle modifiche] “e comunque “tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità tra generazioni”.
Il legislatore, tuttavia, con il c. 763 non si è limitato a modificare l’art. 3, c. 12, ma ha espressamente introdotto la salvezza degli atti e delle deliberazioni assunte in precedenza ed approvate dal Ministero vigilante, con ciò intendendo mantenere la validità delle scelte volte a salvaguardare l’equilibrio di gestione nel lungo periodo. Per tale ragione le determinazioni assunte dalla CNRP nel 1997 assumono ex lege il crisma della legittimità, anche se non abbiano applicato rigorosamente il principio del pro rata. La disposizione del c. 763, del resto, è norma valida solo per il futuro, con la conseguenza, però, di lasciare in vigore le delibere adottate precedentemente.
7.5. Con il quinto motivo la Cassa ricorrente denunzia l’intrinseca illogicità del passo della sentenza impugnata ove afferma che le delibere fatte salve dal c. 763 sarebbero solo quelle che hanno fatto corretta applicazione del pro rata, in quanto così argomentando incorre nella contraddizione di ritenere che la norma, in ragione della sua formulazione, abbia conservato in vigore dei provvedimenti illegittimi, consentendone l’applicazione.
7.6. Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 2948 c.c., contestandosi l’affermazione che il diritto alla riliquidazione dei ratei di pensione sarebbe soggetto a prescrizione decennale. La prescrizione è, invece, quinquennale e i crediti azionati dal Ferrerò sono prescritti fino a tutto il 2006, in quanto il Ferrerò, pur avendo maturato il diritto alla pensione di vecchiaia dal Io. 12.01, ha chiesto solo il 10.03.10 il pagamento delle differenze in questione.
7.7. Con il settimo motivo la sentenza impugnata è censurata anche per la condanna della Cassa alle spese del doppio grado di merito, mentre, a fronte dell’interpretazione non consolidata delle disposizioni di legge, sarebbe stato più corretto procedere alla compensazione.
8. Prima di affrontare le questioni nascenti dai motivi di ricorso e per meglio comprendere il contenuto dell’ordinanza della Sezione ordinaria che ha suggerito il rinvio alle Sezioni unite, appare opportuno ricostruire il quadro normativo, legislativo e regolamentare, che regola la materia.
8.1. La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali fu istituita con la l. 9.02.63 n.160, quale Ente di diritto pubblico, costituito per garantire trattamenti di previdenza ed assistenza agli iscritti ed ai loro superstiti. Il regime originariamente adottato fu quello della contribuzione fissa uguale per tutti (lire 81.500 annue), cui faceva riscontro una pensione uguale per tutti, rivalutata annualmente in base alle variazioni ISTAT del costo della vita.
8.2. La l. 30.12.91 n. 414 riformò il sistema introducendo il metodo di calcolo delle pensioni retributivo o reddituale, con una contribuzione non più fissa, ma determinata in termini di percentuale del reddito professionale dichiarato annualmente dal professionista. La pensione era determinata in misura pari, per ogni anno di effettiva iscrizione, al 2% della media dei dieci redditi professionali annuali più elevati dichiarati dall’iscritto ai fini IRPEF per gli ultimi quindici anni solari di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione.
8.3. In attuazione del d.lgs. 30.06.94 n. 509, emanato in forza della delega conferita dall’art. 1, c. 32, della L 24.12.93 n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, nel 1995 la Cassa venne trasformata in Associazione con personalità giuridica di diritto privato.
L’art. 2, c. 2, del d.lgs. n. 509 del 1994 statuì che “La gestione economico- finanziaria [delle associazioni] deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennali. Il sistema previdenziale della – CNRP rimase, tuttavia, tecnicamente immutato, in quanto le norme della legge n. 414 del 1991 furono trasfuse nello Statuto e nel Regolamento di esecuzione dell’Associazione, approvati con il decreto interministeriale (d.i.) 11.07.95.
8.4. Con la L 8.08.95 n. 335, recante la riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, fu previsto che per gli iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (AGO) ed alle forme sostitutive ed esclusive della stessa la pensione fosse determinata con il sistema contributivo (art 1, c. 6). Per coloro che alla data del 31.12.95 vantavano un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni era previsto un sistema misto, articolato in due quote: a) quota, corrispondente all’anzianità antecedentemente acquisita, determinata secondo il sistema retributivo previgente; b) quota determinata sulla base dell’anzianità contributiva maturata successivamente (art. 1, c. 12).
La giurisprudenza individua in tale disposizione l’affermazione implicita del principio del pro rata, nel momento in cui la legge consente che i lavoratori assicurati, i quali alla data del 31.12.95 vantino una anzianità contributiva inferiore a 18 anni, abbiano una base frazionata per il calcolo della prestazione, calcolata sulla base del sistema retributivo per l’anzianità contributiva maturata fino a quella data e sulla base del sistema contributivo per quella successiva (v., tra le tante, Cass. 16.11.09 n. 24202 e 24.09.10 n. 20235).
Con riferimento agli enti privati gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza generale (tra cui rientrava la CNRP) e nel rispetto dei principi di autonomia del d.lgs. n. 509 del 1994, la stessa legge n. 335 stabilì che “allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuatone di quanto previsto dal?articolo 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanza e in attuazione dì quanto disposto dall’articolo 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinatone del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti. ” (art. 3, c. 12).
8.5. Per quanto riguarda la Cassa Ragionieri e Periti commerciali, con delibera del Comitato dei delegati del 28.06.97, approvata con d.m. 31.07.97, tra le altre, furono apportate modifiche regolamentari tendenti a ridurre la spesa pensionistica: furono così introdotti il massimale di pensione variabile nel tempo, la rimodulazione delle aliquote di rendimento e l’elevazione delle medie reddituali poste a base del calcolo, passando con gradualità dai migliori 10 redditi sugli ultimi 15 dichiarati, ai migliori 15 sugli ultimi 20 dichiarati, prevedendo inoltre la liquidazione del primo supplemento di pensione, per i pensionati di vecchiaia esercenti, non più ogni due anni dal pensionamento ma dopo 5 anni.
8.6. Tali parametri, in ragione delle esigenze di equilibrio del bilancio, furono nel tempo modificati con una serie di delibere del Comitato dei delegati le quali, per quanto qui interessa, possono riassumersi come segue.
A) con la delibera 10.11.00, approvata con d.m. 19.01.01, fu modificato il sistema di gestione previdenziale passando dal sistema di calcolo reddituale a quello contributivo, e fu adottata una serie di aggiustamenti per portare in equilibrio la gestione nel medio e lungo termine.
B) con le delibere 22.06.02 e 23.11.02, approvate con d.m. 3.03.03, venne sospesa la pensione di anzianità per un anno, venne ampliato e portato agli ultimi 24 anni l’arco temporale per il calcolo della media dei redditi utili ai fini del calcolo della pensione, con norma di salvaguardia che la nuova misura non poteva essere inferiore all’80% di quella derivante dall’applicazione delle modalità di calcolo previgenti.
C) con le delibere del Comitato dei delegati del 7.06.03 e del 20.12.03, approvate con d.m. 22.04.04, dal Io gennaio 2004 fu definitivamente introdotto il sistema retributivo in sostituzione del contributivo.
All’interno del fondo previdenza furono create due sezioni separate (sezione A e B). Nella prima sezione (A) era previsto che affluissero i contributi integrativi ed i redditi degli investimenti del patrimonio presente al 31.12.03 e che sulla stessa gravasse l’onere delle prestazioni e delle quote retributive delle pensioni.
Nella seconda sezione (B) sarebbero affluiti, invece, i contributi soggettivi versati dal 2004 in poi ed i redditi degli investimenti generati da tali contributi; sulla stessa sezione avrebbero gravato le quote contributive di pensione e le prestazioni da liquidarsi con il metodo contributivo.
8.7. Nel suo complesso, dunque, la disciplina regolamentare (v. il testo del regolamento di esecuzione sub allegato D al verbale dell’Assemblea del Comitato dei delegati del 20.12.03, artt. 49 e seguenti) prevede che tanto la pensione di vecchiaia, che quella di anzianità siano liquidate con il sistema retributivo e secondo i criteri previgenti, se maturate prima del 31.12.03. Per le pensioni maturate successivamente, il regolamento prevede per l’anzianità maturata fino al 31.12.03 una quota retributiva (quota A) determinata sulla media dei redditi degli ultimi 24 anni, e una quota contributiva (quota B) per l’anzianità successiva a tale data.
8.8. L’art. 1, c. 763, della 1. 27.12.06 n. 296 sostituì il primo ed il secondo periodo dell’art. 3, c. 12, della legge n. 335 del 1995, con tale diversa formulazione: “12. Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dal decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive del?assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, del suddetto decreto legislativo n. 509 del 1994, la stabilità delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a trenta anni. …In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal citato articolo 2, comma 2, sono adottati dagli enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del prò rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. Qualora le esigenze di riequilibrio non vengano affrontate, dopo aver sentito /ente interessato e la valutazione del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, possono essere adottate le misure di cui all’articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509. … [sono omessi i periodi, introdotti dalla riforma, non rilevanti ai fini della presente trattazione]”.
L’ultimo periodo di detto c. 763, dopo le modifiche apportate all’art. 3, c. 12, prevede stabilì che “Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente leggi”.
8.9. Con l’art. 24, c. 24, del d.1.6.12.11 n. 201 (conv. dalla l. 22.12.11 n, 214) fu adottato un ulteriore intervento legislativo che impose agli enti privati indicati dal d.lgs 509 del 1994 (tra cui la CNRP) di allungare il termine di stabilità della gestione da 30 a 50 anni, fissando, altresì, il termine del 30.06.12 per l’adozione delle misure conseguenti.
8.10. Infine, l’art. 1, c. 488, della 1. 27.12.13 n. 147 ha previsto che “l’ultimo periodo dell’articolo 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termini.
9. La disposizione legislativa da ultimo indicata, intervenuta dopo il deposito del ricorso per cassazione e del controricorso, ha costituito l’occasione per l’assegnazione della presente controversia alle Sezioni unite.
La ricorrente Cassa di previdenza con il suo quarto motivo sostiene che con il c. 763 della l. n. 296 del 2006 il legislatore ha espressamente introdotto la salvezza degli atti e delle deliberazioni già assunte in precedenza, con ciò intendendo mantenere la validità delle scelte volte a salvaguardare l’equilibrio di gestione nel lungo periodo. La disposizione del c. 763, pur spiegando i suoi effetti solo per il futuro, lascerebbe così in vigore le delibere (tra cui quella 28.06.97 in esame) adottate precedentemente. La Cassa stessa nella disposizione interpretativa del c. 488 vede il definitivo riconoscimento della legittimità della delibera del 1997, rispondendo essa al requisito richiesto dalla norma interpretativa della finalizzazione “ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termini” (v. memoria 18.06.15).
L’assicurato ritiene che il c. 763 della legge del 2006 ed il c. 488 della legge del 2013 non hanno sanato le delibere anteriori, ma hanno attribuito alle Casse di previdenza solo il potere di adottare nuove disposizioni finalizzate ad assicurare l’equilibrio delle rispettive gestioni.
La questione sottostante all’applicazione della norma definita di interpretazione autentica, ad avviso della rimettente Sezione ordinaria, è quella della conformità dell’intervento legislativo ai principi sanciti dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e della individuazione del “giusto equilibrio tra esigenze di interesse pubblico e tutela dei diritti fondamentali ed individuali”. La Sezione, dunque, preso atto delle differenti posizioni delle parti e del contrasto di giurisprudenza creatosi circa il rispetto dei principi sopra indicati, di cui si dirà in seguito, ha sollecitato la rimessione a queste Sezioni unite, ravvisando l’esistenza di una questione di massima di particolare importanza.
10. Tanto premesso sul piano generale e procedendo all’esame dei motivi di parte ricorrente, prima di affrontare la questione specifica dei limiti dell’interpretazione autentica, deve rilevarsi l’infondatezza dei primi tre motivi del ricorso della CNRP.
Al riguardo deve rilevarsi che la sentenza impugnata, a prescindere dal non rilevante riferimento alla “intangibilità dei trattamenti pensionistici”, avendo a riferimento una prestazione decorrente dal Io. 12.01, pronunzia in tema di compatibilità della delibera 28.06.97 del Consiglio dei delegati della Cassa con l’art. 3, c. 12, della legge n. 335 del 1995 e circa il rispetto del principio del prò rata da parte degli enti di previdenza privatizzati dopo la riforma previdenziale. La Corte di merito ha fatto applicazione del principio affermato da Cass. 25.11.04 n. 22240, per il quale gli enti in questione (quale la CNRP) non possono adottare, in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle proprie gestioni, provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano un massimale allo stesso trattamento e, come tali, risultino incompatibili con il rispetto del principio del prò rata,, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dagli stessi provvedimenti. L’imposizione del massimale esula, infatti, dai provvedimenti previsti da detto art. 3, c. 12 (nella versione precedente alla modifica del 2007: provvedimenti di variamone delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del prò rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introdurne delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti) e risulta incompatibile con “il rispetto del principio del prò rata”.
Questa impostazione, ripresa da altre sentenze successive (v, Cass. 24.09.10 n. 20235) e cui le Sezioni unite intendono dar seguito, non è validamente contrastata dalla ulteriore obiezione della difesa della CNRP a proposito del contenuto improprio del concetto di prò rata che da essa deriverebbe. Tale concetto non deve essere inteso con l’ampiezza voluta dalla ricorrente, al punto di applicare ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo a partire dalla l. n. 160 del 1963, poi seguita dalla l. n. 1140 del 1970, quindi dalla L n. 414 del 1991. Il principio del prò rata opera, infatti, solo dall’entrata in vigore di detto art. 3, c. 12, “ed in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche incidenti sulla determinazione della pensione e, quindi, con riferimento ai criteri di liquidazione che, al momento di introduzione di dette modifiche, sarebbero stati altrimenti applicabili a tali pregresse anzianità” (v. Cass. 26.10.12 n. 18478 e 29.10.12 n. 18559).
I primi tre motivi debbono essere, pertanto, rigettati.
11. Circa le conseguenze della l. 27.12.06 n. 296, oggetto del quarto e quinto motivo di ricorso, la giurisprudenza della Corte ha rilevato che l’art. 1, c. 763, nel sostituire il concetto del prò rata di cui all’originario art. 3, c. 12, con un concetto similare, ma meno rigido, introduce una disposizione innovativa.
La nuova formulazione dell’art 3, c. 12, prevede che le Casse privatizzate — e con esse la CNPR — nell’esercizio del loro potere regolamentare siano tenute non più al “rispetto del principio del prò rata” (vecchia formulazione), ma a tenere “presente il principio del prò rata” nonché “i criteri di gradualità e di equità fra generazioni” (nuova formulazione), a partire dal 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge n. 296.
Il legislatore del 2006, prosegue la giurisprudenza in esame, “ha quindi inteso rendere flessibile il criterio del prò rata ponendolo in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni. In questo modo lo spazio di intervento delle Casse è maggiore e le esigenze di riequilibrio della gestione previdenziale potrebbero richiedere un sacrificio maggiore a chi è già assicurato a beneficio dei nuovi assicurati. La disposizione quindi facoltizza la CNRP ad adottare delibere in cui il principio del prò rata venga temperato rispetto ai criteri originali di cui alla L. n. 335 del 1995. Tuttavia ciò non può che valere per il futuro, cioè per le delibere della Cassa adottate successivamente all’entrata in vigore della legge, ossia dal primo gennaio 2007” (tra le tante, v. Cass. 18.04.11 n. 8847, 7.03.12 n. 3613 e 30.07.12 n. 13607,14.02.14 nn. 3514 e 3520).
12. L’ultimo periodo del c. 713, per il quale “Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma [ ovvero degli enti di cui al d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509] ed approvati dai Ministeri vigilanti prima data di entrata in vigore della presente leggi non costituisce una validazione successiva delle disposizioni regolamentari delle Casse interessate nella parte in cui non ottemperavano alla prescrizione del “rispetto del principio del prò rata” Esso va, invece, interpretato nel senso che la disposta salvezza, non vale a sanare la eventuale illegittimità dei precedenti provvedimenti regolamentari, ove essi siano stati adottati in violazione della legge vigente al momento della maturazione del trattamento pensionistico, “di talché gli atti ed i provvedimenti adottati dagli enti prima della disposizione del 2006 rimangono efficaci e la loro legittimità, per i pensionamenti attuati entro il 2006, … deve essere vagliata alla luce del vecchio testo della disposizione in quanto normativa da applicare ratione temporis (sentenza n. 8847 del 2011 cit), ovvero, “le precedenti disposizioni regolamentari adottate dalle Casse privatizzate, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, sono valutate avendo come parametro di legittimità il nuovo c. 12, art 3, cit, senza necessità di essere reiterate” (sentenza n. 13612 del 2012, cit).
La disposizione del c. 713, in altre parole, riguarda le delibere future, successive al 1° gennaio 2007, ma non può operare retroattivamente, per rendere legittime delibere anteriori che dovevano invece conformarsi alla normativa vigente al momento in cui erano state emanate. Ai fini della liquidazione della pensione, la legittimità delle delibere va valutata a seconda del periodo in cui il diritto sia maturato (prima o dopo quella data) e del concetto di prò rata accolto dalla legislazione al momento vigente.
Tale orientamento, formatosi con riguardo alle modifiche al regolamento CNRP adottate con le successive delibere 22.06.02, 7.06.03 e 20.12.03 (che hanno introdotto il criterio contributivo distinguendo, per gli assicurati al momento della modifica regolamentare, la quota A di pensione, calcolata con il criterio retributivo, e la quota B, calcolata con il criterio contributivo, opera) è a maggior ragione riferibile alla ancora precedente delibera 28.06.97.
13. L’interpretazione dell’ultima parte del c. 763 dell’art. 1 della 1. 296 del 2006, riconducibile all’orientamento appena riassunto, deve essere verificato alla luce della norma di interpretazione autentica introdotta dall’art. 1, c. 488, della legge n. 147 del 2003, il quale, come già rilevato, prevede che “l’ultimo periodo dell’articolo 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termini”.
Al riguardo la giurisprudenza della Sezione Lavoro non è pervenuta a posizioni univoche.
13.1. La sentenza 12.08.14 n. 17892, con riferimento a trattamento pensionistico avente decorrenza precedente al 1° gennaio 2007, ha rilevato che la norma dell’art. 1, c. 488, della legge n. 147 del 2013 non ha natura retroattiva, anche se formulata in termini di interpretazione autentica, per l’esigenza di “tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)” (sentenza Corte cost. 5.04.12 n. 78). Il divieto di retroattività (art. 11 preleggi), pur non ricevendo nell’ordinamento la tutela di cui all’art. 25 Cost., costituisce valore fondamentale, di modo che la norma retroattiva se non correttamente adottata, lede il canone generale della ragionevolezza della legge (art. 3 Cost.).
La Corte europea dei diritti dell’uomo, inoltre, ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta in materia civile ai potere legislativo di regolamentare con nuove disposizioni dalla portata retroattiva i diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ostano all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, ove tale ingerenza si traduca in un condizionamento dell’esito di una controversia, salvo che l’intervento non sia dettato da imperative ragioni di interesse generale.
Tale interpretazione assume rilievo nell’ordinamento nazionale, dopo che la Corte costituzionale con le sentenze 24.10.07 n. 348 e 349 ha sancito la valenza di parametro interposto delle norme della Convenzione per il sindacato di costituzionalità della normativa interna.
La sentenza n. 17892 del 2014 fonda, in sostanza, la sua convinzione sui plurimi richiami della giurisprudenza costituzionale circa i limiti del concetto di “interpretazione autentica” (desumibili dalle sentenze della Corte cost 21.10.11 n. 271, 30.09.11 n. 257 30.01.09 n. 24, 26.11.09 n. 311). I requisiti ivi enunziati non si riscontrerebbero nella disposizione dell’art. 1, c. 488 della 1. 27.12.13 n. 147, “ove è riconosciuta legittimità ed efficacia, con effetto retroattivo ed a distanza di oltre dieci anni, con relativo vulnus alla certezza del diritto, a delibere peggiorative di una sola categoria di assicurati (già pensionati), in contrasto con quanto affermato dal giudice delle leggi circa il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; con la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; con la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; con il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario”. Difetterebbe una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, “sussistendo in materia un ampio, e da tempo consolidato, univoco orientamento di legittimità, in senso peraltro opposto a quello della novella in esame”.
La norma della legge finanziaria 2014 non esprimerebbe, dunque, una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili all’art. 1, c. 763, della legge n. 296 del 2006, ma, senza giustificazione, innoverebbe rispetto al testo previgente, violando il divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento e ponendosi in contrasto con il principio della tutela dell’affidamento sorto nei soggetti assicurati, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti.
In forza di tali articolati riferimenti giurisprudenziali e normativi definitiva, la sentenza 17892 del 2014 esclude il carattere retroattivo della disposizione del più volte richiamato art 1, c. 488 e ne afferma l’efficacia solo per il periodo successivo all’entrata in vigore della 1. 27.12.13 n. 147.
13.2. Tuttavia, con la di poco successiva sentenza 13.11.14 n. 24221 la Sezione Lavoro, con riferimento a prestazione maturata successivamente al 1° gennaio 2007, ravvisa nella disposizione del c. 488 una effettiva norma di interpretazione autentica, indirizzata a regolare la validità degli atti e delle deliberazioni adottati dagli enti privatizzati gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza.
La Corte rileva che dopo l’entrata in vigore della riforma pensionistica del 1995 e fino al 1° gennaio 2007 il parametro di validità delle delibere della CNPR è stato costituito dall’art. 3, c. 12, della 1. 8.08.95 n. 335, che assicurava l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle rispettive gestioni nel lungo periodo, nel rispetto del principio del prò rata (“sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del prò rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”).
Come già accennato, la giurisprudenza ha ritenuto che il principio del prò rata ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius delle modalità di calcolo della quota retributiva della pensione e non solamente alla salvaguardia ratione temporis del criterio retributivo rispetto al contributivo introdotto dalla normativa regolamentare della Cassa. “Pertanto, anche per le modifiche regolamentari adottare dalla CNRP con le delibere 22.06.02, 7.06.03 e 20.12.03, si applica il principio del prò rata e trova applicazione il previgente più favorevole criterio di calcolo (la media di 15 redditi professionali annuali più elevati nell’arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione), e non già la media dei redditi degli ultimi 24 anni” (tra le tante, v. Cass. 18.04.11 n. 8847, 30.07.12 n. 13607, 30.07.12 n. 13613 e 13614,14.02.14 n. 3514).
Dal 1° gennaio 2007, entrato in vigore l’art. 1, c. 763, della 1. 27.12.06 n. 296, il parametro è mutato, passandosi dal rigoroso rispetto del prò rata ad una operatività attenuata dello stesso principio (“avendo presente il principio del prò rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni).
La sentenza n. 24221 del 2014 rileva che compito dell’interprete è quello di inquadrare l’intervento interpretativo nella cornice dei principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte EDU in tema di applicazione del giusto processo (articolo 6 CEDU), che in base alla nota e già menzionata giurisprudenza della Corte costituzionale sono direttamente rilevanti nell’ordinamento nazionale. Essa ritiene, tuttavia, che l’interprete non può spingersi al punto di negare ogni applicazione retroattiva allo ius superveniens, in quanto così facendo il giudice cadrebbe in una petizione di principio: affermando incondizionatamente il canone del giusto processo finirebbe per assegnare contorni sempre più limitati alla norma interpretativa. Il vigente sistema costituzionale, invece, impone che, scartata la configurazione della norma ritenuta in contrasto con il principio dell’equo processo, lo stesso giudice non possa limitarsi ad una interpretazione della norma nel senso di escluderne in modo puro e semplice il carattere interpretativo, ma debba enunziarne un’altra che non violi il principio in questione, salvo, in caso di esito negativo della ricerca, sollevare questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale per violazione dell’art 117 Cost e della disposizione della Convenzione (norma interposta).
Mentre Cass. n. 17892, avente ad oggetto fattispecie di pensione maturata in data anteriore al 1°.01.07, aveva ritenuto che il c. 488 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 intervenisse tanto sul primo parametro di validità della regolamentazione della CNPR (rispetto assoluto del prò rata, in forza della originaria formulazione dell’art. 3, c, 12, della 1. 335), quanto sul secondo (applicazione attenuata dello stesso principio, ai sensi della formulazione del c. 12 introdotta dall’art. 1, c. 768, della legge n. 296), Cass. n. 24221 ritiene che lo stesso c. 488 intervenga solo sul secondo ed abbia quindi una più ridotta portata applicativa. Il legislatore del 2013, secondo questa opzione interpretativa, interviene per puntellare la stabilità finanziaria della riforma previdenziale, e lo fa senza influire sulla portata del prò rata contenuta nell’originaria formulazione dell’art. 3, c. 12, della legge 335, bensì esplicitando la portata che ha la formulazione successiva, introdotta dall’art. 1, c. 763, della legge 296, ed incidente solo sulle fattispecie pensionistiche decorrenti da data successive al 1° gennaio 2007.
In sostanza la norma interpretativa del 2013 interviene su un punto rimasto in ombra dopo la riforma del 2006, e cioè quale fosse la sorte delle deliberazioni adottate dagli enti privatizzati prima del 1° gennaio 2007 e ritenute illegittime dalla giurisprudenza perché adottate in violazione del principio del prò rata con riferimento alle pensioni maturate prima di quella data. Il c. 488 interviene su questo punto e precisa che la legittimità di quelle stesse delibere, con riferimento alle fattispecie pensionistiche maturate dopo il 1° gennaio 2007 (data di entrata in vigore del “nuovo” art 3, c. 12), va valutata alla luce del nuovo parametro costituito dall’art. 1, c. 763 della 1. 296, ovvero alla luce della già rilevata garanzia “attenuata” del prò rata.
Con riferimento alle deliberazioni della CNRP, pertanto, il legislatore a partire dal 1° gennaio 2007 fa proprio il criterio adottato dalla Cassa per regolare il trattamento pensionistico di chi, essendo andato in pensione non prima di quella data, aveva una posizione previdenziale maturata in buona parte nel vigore del precedente sistema.
14. Il Collegio delle Sezioni unite ritiene di dover condividere l’opzione adottata dalla sentenza 13.11.14 n. 24221, per le ragioni che di seguito vengono esposte.
14.1. L’art. 117, c. 1, Cost, per il quale “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” può ritenersi operativo solo se viene determinato il contenuto degli obblighi che vincolano detta potestà, i quali assumono la funzione di fonte interposta, ponendosi in posizione intermedia tra la Costituzione e la legge ordinaria. Tra gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) rientra quello di adeguare la propria legislazione alle norme di quel trattato (v. le sentenze Corte cost. 24.10.07 n. 348 e 349).
Pur essendo l’applicazione e l’interpretazione delle norme della Convenzione attribuite ai giudici degli Stati aderenti, la uniformità di applicazione è garantita dall’interpretazione che alle norme stesse è data dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, cui spetta la parola ultima e definitiva circa l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli. Compito del giudice comune è quello di “interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme.
Qualora ciò non sia possibile, ovvero \il giudice, dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale «interposta», deve proporre la relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, c. 1, Cost In tal caso, la Corte costituzionale, deve accertare la sussistenza del denunciato contrasto e, in caso affermativo, verificare se le stesse norme CEDU, nell’interpretazione data dalla Corte di Strasburgo, garantiscono una tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente al livello garantito dalla Costituzione italiana, senza che ciò comporti un sindacato sull’interpretazione della norma CEDU operata dalla Corte di Strasburgo, ma solo verificando la compatibilità della norma, nell’interpretazione del giudice cui tale compito è stato espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme della Costituzione, così risultando realizzato un corretto bilanciamento tra l’esigenza di garantire il rispetto degli obblighi internazionali voluto dalla Costituzione e quella di evitare che ciò possa comportare per altro verso un vulnus alla Costituzione stessa” (Corte cost. 24.10.07 n. 349).
Coerentemente a tale principio Cass. 24221 del 2014 rileva che il canone dell’interpretazione adeguatrice impone che, scartata l’interpretazione della disposizione nazionale contrastante con le norme della Convenzione, il giudice deve verificare se esiste una interpretazione che non si ponga in contrasto con quelle norme, salvo, nel caso di inesistenza di interpretazione compatibile, sollevare questione di costituzionalità.
Questo ulteriore passaggio interpretativo, mancante in Cass. 17892, è stato sviluppato dalla successiva Cass. 24221, la quale, in forza di tale necessario approfondimento, è pervenuta alla conclusione sopra sintetizzata (v. par. 13, in conclusione), secondo la quale la norma dell’art. 1, c. 488, della legge n. 147 del 2013, lungi dal porsi in contrasto con i principi enunziati dalla Corte EDU, assume una ben determinata fisionomia interpretativa nella vicenda della riforma della previdenza gestita dagli enti privatizzati.
14.2. Per le pensioni CNRP maturate successivamente al 1° gennaio 2007 esisteva, prima dell’intervento della disposizione di interpretazione autentica del c. 488, l’oggettiva incertezza circa l’effettivo tenore della disposizione contenuta nell’ultimo periodo dell’art. 1, c. 763, della legge n. 296 del 2006, per la quale “Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma [ovvero degli enti di cui al d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509] ed approvati dai Ministeri vigilanti prima data di entrata in vigore della presente leggi”.
La Corte costituzionale fu investita della questione di conformità agli artt. 3, 4, 24 e 48 Cost. di quest’ultima disposizione nella parte in cui fa salvi atti e deliberazioni adottati dagli enti previdenziali ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della sua entrata in vigore, determinando così, secondo i giudici che sollevavano la questione, la sanatoria della delibera del 22 giugno 2002 la cui legittimità era oggetto di controversia nel giudizio a quo. La Corte, ribadendo che le leggi non violano la Costituzione se esiste la possibilità di dare loro un significato che le renda compatibili con i precetti costituzionali, ritenne inammissibile la questione, rilevando che essa era diretta non a dirimere un dubbio di legittimità costituzionale, ma ad accreditare una specifica interpretazione, “in presenza, invece, di un diverso orientamento della prevalente giurisprudenza di merito” (Corte cost. ord. 30.04.08 n. 124 e 12.01.11 n. 15).
Analoga inammissibilità la Corte costituzionale rilevò in un caso in cui il giudice rimettente si era limitato ad interpretare la disposizione nel senso di una sanatoria delle precedenti deliberazioni adottate in violazione in violazione del principio del prò rata senza esplorare altre, pur possibili, interpretazioni della disposizione censurata, o, quantomeno, senza evidenziare le ragioni per le quali non aveva ritenuto inaccoglibili tali interpretazioni alternative, suscettibili di eliminare il dubbio in radice, quale quella secondo cui “gli atti e provvedimenti adottati dagli enti prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 3, c. 12, della legge n. 335 del 1995 rimangono efficaci e la loro legittimità dovrà essere vagliata alla luce del vecchio testo per i pensionamenti attuati entro il 2006 (poiché quella è la norma vigente in tale periodo) ed alla luce del nuovo testo per i pensionamenti successivi, con esiti che potranno essere diversi” (Corte cost. 23.10.09 n. 263).
La giurisprudenza di legittimità, una volta consolidatasi con riferimento al regime originario dell’art. 3, c. 12, della legge n. 335, prima delle modifiche apportate dall’art. 1, c. 763, delle legge n. 296 del 2006 (v. par. n. 10), cogliendo tali segnali, affrontò il problema del significato del secondo periodo del comma 763, evidenziandone l’intrinseca dimensione funzionale (v. par. n. 12), senza peraltro procedere ad una esauriente e definitiva disamina.
La sentenza n. 24221 del 2014 affronta questa problematica ex professo e, per la necessità di collocare nella giusta dimensione la norma interpretativa del 2013, sviluppa quegli spunti in precedenza solo sommariamente accennati dalla giurisprudenza di legittimità, giungendo alla conclusione che l’ambiguità intrinseca della disposizione del c. 763, che impone alle Casse di “tenere conto” del principio del prò rata rispetto a quella originaria “ha giustificato un intervento chiarificatore del legislatore che assegnando ex lege alle delibere già adottate dall’ente prima della legge finanziaria per il 2007 il crisma della legittimità ed efficacia ne ha in sostanza elevato il rango della fonte da regolamentare (e quindi subprimaria) a primaria”.
“Il legislatore”, prosegue la pronunzia, “ha fatto proprio, a partire dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2007, il criterio disegnato dalla Cassa nelle sue precedenti delibere per regolare il trattamento pensionistico di chi, essendo andato in quiescenza dopo (o meglio, non prima di) tale data, aveva una posizione previdenziale maturata nel precedente più favorevole criterio retributivo rispetto al nuovo meno favorevole criterio contributivo”.
14.3. In definitiva, dunque, esisteva una oggettiva ambiguità della disposizione del secondo periodo dell’art. 1, c. 763, della legge n. 296 del 2006, che giustifica l’intervento di interpretazione autentica. La norma contenuta nel comma 488 ha, dunque, una sua intrinseca funzione di chiarificazione del dettato normativo e non viola i canoni desumibili dal dettato costituzionale e dalla Convenzione dei diritti dell’uomo che legittimano l’intervento interpretativo del legislatore.
Tale chiarificazione non ha, però, il contenuto preteso dalla difesa della CNPR di rendere efficaci e legittime indistintamente tutte le delibere adottate dal Comitato dei delegati (ed in special modo quella del 28.06.97 applicabile al caso di specie), ma attiene alla specifica determinazione del contenuto del principio del pro rata rilevante, in relazione al momento della maturazione del diritto a pensione, prima e dopo l’entrata in vigore della legge 27.12.06 n. 296. Per i trattamenti pensionistici maturati a partire dal Io gennaio 2007 trova applicazione l’art. 3, c. 12, della 1. n. 335 del 1995 nella formulazione introdotta dal citato L. n. 296 del 2006, art. 1, c. 763, che prevede che gli end previdenziali suddetti emettano delibere che mirano alla salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente” – e non più rispettando in modo assoluto – il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni, con espressa salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale già adottati dagli enti medesimi ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006.
15. Tenendo conto di tali principi, deve rilevarsi che nella fattispecie ora in esame l’assicurato ha maturato il diritto a pensione a decorrere dal Io. 12.01 e che, quindi, risultano irrilevanti tanto la modifica apportata all’art 3, c. 12, della legge 335 dall’art. 1, c. 763, della legge n. 296 del 2006 e, più che mai, l’interpretazione data dall’art. 1, c. 488 della legge n. 147 del 2013.
Vanno, dunque, rigettati i motivi quarto e quinto e va ribadita la illegittimità della delibera del Comitato dei delegati della CNRP 28.06.97 per quanto illustrato al par. 10.
16. Con il sesto motivo CNRP censura l’applicazione del termine di prescrizione decennale alla richiesta di riliquidazione dei ratei di pensione, ritenendo erroneamente applicata la disposizione dell’art 129, c. 1, del r.d.L 4.10.35 n. 1827, valida invece solo per le prestazioni pensionistiche rientranti nell’AGO, per la quale la prescrizione quinquennale è applicabile solo nel caso che i ratei siano già liquidati e non richiesti. Nel sostenere questa tesi la Cassa richiama la giurisprudenza di legittimità concernete la prescrizione applicabile alle prestazioni derivanti da rapporto pensionistico di origine contrattuale, dal quale scaturisce non una singola complessiva obbligazione avente ad oggetto una prestazione unitaria da assolvere ratealmente, ma una serie di obbligazioni a cadenza periodica, ciascuna delle quali realizza l’intera prestazione dovuta in quel determinato periodo.
Trattandosi di prestazione da pagarsi periodicamente, la prescrizione applicabile sarebbe quella prevista dall’art. 2948 n. 4 c.c., così escludendosi la possibilità di applicazione analogica del complesso di regole e principi operanti per le pensioni erogate dall’INPS, ivi compreso il suddetto art 129 (Cass. 14.06.12 n. 9771, 28.05.03 n. 8484 e 7.01.02 n. 81).
A prescindere dal suo reale significato, questa giurisprudenza non è pertinente al caso di specie. Essa si riferisce a trattamenti pensionistici (solitamente di carattere integrativo) collegati a particolari rapporti di lavoro ed aventi quindi natura negoziale, la cui erogazione è posta a carico di un particolare fondo erogatore; tipico è il caso dei dipendenti degli istituti di credito, i quali possono godere alla cessazione del rapporto di una prestazione previdenziale integrativa posta a carico di Fondi costituiti presso gli istituti di appartenenza.
Nel caso di specie, invece, il rapporto assicurativo è si collegato all’esercizio di una professione, ma ha natura obbligatoria e non contrattuale, dato che la CNRP è a tutti gli effetti una persona giuridica privata che gestisce una forma di previdenza e assistenza, cui è obbligatoria ^iscrizione e la contribuzione da parte degli appartenenti delle categorie interessate.
Inoltre, l’applicazione dell’art. 2948 n. 4, allo stesso modo che l’art. 129 del r.d.l. 4.10.35 n. 1827, richiede la liquidità e l’esigibilità del credito, che deve essere “pagabile”, ovvero messo a disposizione del creditore, il quale deve essere posto nella condizione di poterlo riscuotere. Non basta, quindi, ai fini, sia dell’art. 129 che dell1 art 2948, la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare, tanto che entrambe le norme non trovano applicazione nelle ipotesi di ratei di pensione la cui debenza sia in contestazione (v. Cass. 20.08.04 n. 16388 e 27.02.97 n. 1787, in motivazione, nonché S.u. 25.07.02 n. 10955).
Nel caso di specie il rag. Ferrerò era in condizione di riscuotere i ratei della pensione nella misura originariamente liquidata dalla Cassa, e non anche nel superiore importo derivante dal ricalcolo della pensione, che è oggetto della controversia ora in esame.
Deve, dunque, ritenersi che la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non fosse “pagabile” e che, quindi non potesse applicarsi la prescrizione quinquennale dell’art. 2948 c.c., ma quella decennale ordinaria dell’art 2946 c.c.
E’, pertanto, infondato anche il sesto motivo.
17. E’, invece, inammissibile il settimo motivo, con cui si lamenta la mancata compensazione delle spese del giudizio.
Il giudice di appello ha condannato la Cassa alle spese di entrambi i gradi di merito in applicazione del principio della soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., non ritenendo di dover procedere, neppure parzialmente, a compensazione ex art. 92 c.p.c. La correttezza di tale statuizione è sottratta al sindacato della Corte di cassazione, che è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa. Esula, invece, da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi.
18. In conclusione, debbono affermarsi i seguenti principi di diritto.
A) Nel regime dettato dalla 1. 8.08.95 n. 335 (legge di riforma del regime pensionistico obbligatorio e complementare), gli enti di previdenza privatizzati di cui al d.lgs. 30.06.94 n. 509 (tra cui rientra la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore di ragionieri e periti commerciali) non possono adottare, in funzione dell’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle proprie gestioni, provvedimenti (quale la delibera 28.06.97 del Comitato dei delegati della Cassa, approvata con decreto 31.07.97 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale) che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano un massimale allo stesso trattamento e, come tali, risultino incompatibili con il rispetto del principio del prò rata, previsto dall’art. 3, c. 12, della stessa legge 8.08.95 n. 335, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dagli stessi provvedimenti.
B) Nel regime previdenziale dettato dalla 1. 8.08.95 n. 335 (legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), per le prestazioni pensionistiche erogate dagli end previdenziali privatizzati ai sensi del d.lgs. 30.06.94 n. 509 (tra cui rientra la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore di ragionieri e periti commerciali) ed in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche imposte dalla legge di riforma, per i trattamenti pensionistici maturati prima del 1° gennaio 2007 trova applicazione l’art 3, c. 12, della 1. n. 335 del 1995 nella formulazione originaria, che prevedeva l’applicazione rigorosa del principio del prò rata.
C) Nel regime previdenziale e per gli enti indicati al capo che precede, per i trattamenti pensionistici maturati dal 1° gennaio 2007 in poi trova applicazione l’art. 3, c. 12, della 1. 8.08.95 n. 335 nella formulazione introdotta dall’art 1, c. 763, della 1. 27.12.06 n. 296, che prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano delibere che mirano alla salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente” — e non più rispettando in modo assoluto — il principio del prò rata, tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. Con riferimento agli stessi trattamenti pensionistici maturati dopo dal 1° gennaio 2007, sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale già adottati dagli enti medesimi ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, ai sensi dell’ultimo periodo del detto art. 1, c. 763, della legge n. 296 del 2006, come interpretato dall’art 1, c. 488, della 1. 27.12.13 n. 147, il quale ha contenuto chiarificatore del dettato legislativo e non viola i canoni legittimanti l’intervento interpretativo del legislatore desumibili dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
D) Il diritto al pagamento dei ratei delle prestazioni pensionistiche liquidate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del d.lgs. 30.06.94 n. 509 (tra cui rientra la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore di ragionieri e periti commerciali), oggetto di richiesta di riliquidazione, non si prescrive nel termine quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.c., ma in quello decennale ordinario previsto dall’art 2946 c.c.
19. Essendo la sentenza impugnata pervenuta a conclusioni conformi agli enunziad principi di diritto, il ricorso deve essere rigettato.

In ragione dell’incertezza della giurisprudenza e dei dubbi interpretativi sottoposti a queste Sezioni unite, sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Pronunziando a Sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.