Cittadino italiano condannato dal “Tribunale spagnolo” per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Pena confermata anche in Italia (Corte di Cassazione, Sezione VII Penale, Sentenza 15 gennaio 2020, n. 1452).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio Angelo – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Francesco nato a Roma il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 19/09/2019 della CORTE APPELLO di ROMA;

dato avviso alle parti;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giovanni LIBERATI;

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Roma ha riconosciuto, a fini esecutivi e per gli effetti di cui al d.lgs. n. 161 del 2010, la sentenza di condanna n. 15/19 pronunciata il 5/3/2019 dalla Corte d’appello di Palma di Maiorca (Spagna), con la quale il cittadino italiano Francesco (OMISSIS) è stato condannato alla pena di tre anni di reclusione per il reato di traffico illecito di droghe a fine di spaccio, commesso in San Josè (Spagna) il 9/10/2016.

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, mediante un unico motivo, l’insufficienza della motivazione in ordine ai presupposti necessari per il riconoscimento della sentenza straniera e, in particolare, in ordine alla esaustiva verifica degli atti del procedimento al fine di accertare il rispetto delle regole stabilite nell’art. 10 del d.lgs. n. 161 del 2010, tra cui l’adattamento della sentenza straniera alla pena prevista nell’ordinamento italiano, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. f), d.lgs. 161/2010 cit., giacché per il quantitativo di sostanza stupefacente detenuta avrebbe potuto essere riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, con applicazione di una pena sensibilmente inferiore a quella in concreto inflitta, anche in considerazione della scelta del rito abbreviato compiuta nel giudizio celebratosi n Spagna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato, essendo formulato in modo generico, privo della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto che dovrebbero giustificarlo, oltre che del necessario confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata.

Il ricorrente, pur lamentando l’insufficienza della motivazione in ordine all’adattamento della pena inflittagli all’estero a quella prevista per le medesime condotte nell’ordinamento interno, ha, infatti, omesso di allegare di aver formulato tale richiesta nel corso del giudizio svoltosi innanzi alla Corte d’appello di Roma, cosicché la sua doglianza di carenza di motivazione su tale punto (peraltro formulata in modo generico, essendo priva della indicazione degli elementi da considerare nel giudizio di adattamento della pena), risulta preclusa dalla mancata formulazione di detta richiesta, oltre che priva della necessaria considerazione di quanto esposto nella motivazione della sentenza impugnata.

La Corte d’appello di Roma ha, infatti, già verificato, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. f, d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea), la compatibilità tra la durata e la natura della pena applicata nello Stato di emissione (Spagna) con la legislazione italiana, evidenziando che la condotta dell’imputato, sorpreso all’ingresso di una discoteca con indosso varie sostanze stupefacenti destinate a essere spacciate all’interno della stessa (3 involucri contenenti 2,069 grammi di MDMA con purezza del 80%; 19 involucri contenenti 9,158 grammi di cocaina con purezza del 80,1%; 20 compresse di MDMA del peso di grammi 8,83 con purezza del 38°h; un involucro contenente grammi 2,695 di cocaina, con purezza del 79,5%), è riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, ritenendo così compatibile la sanzione inflitta al ricorrente all’estero, pari a tre anni di reclusione, con la legislazione italiana, rientrando tale pena nella cornice edittale prevista dall’art. 73 d.P.R. 309/90.

Di tali considerazioni, idonee a giustificare il riconoscimento della sentenza straniera, essendo stato dato conto del compimento di tutte le verifiche prescritte a tal fine, compresa quella relativa alla compatibilità della pena di cui all’art. 19, comma 1, lett. f), d.lgs. 161/2010, il ricorrente ha proposto, in modo del tutto generico e assertivo, senza in alcun modo illustrare le ragioni delle proprie doglianze, una non consentita rivisitazione sul piano del merito della valutazione di congruità della pena, di cui la Corte d’appello ha già valutato la compatibilità con quella prevista nell’ordinamento interno, attraverso il riferimento alla cornice edittale prevista per le condotte commesse dal ricorrente dall’art. 73 d.P.R. 309/90, nella quale rientra la pena inflitta all’imputato.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, affidato a censure generiche e non consentite nel giudizio di legittimità, oltre che manifestamente infondate, alla luce del corretto compimento del giudizio di compatibilità della pena e della adeguatezza della relativa motivazione.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il giorno 15 gennaio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.