Colonnello della Guardia di finanza trasferito al SISMI si oppone. Ricorre sia al T.A.R. che al Consiglio di Stato: respinto (Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 26 luglio 2016, n. 3331).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10550 del 2014, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Patrizio Leozappa, con domicilio eletto presso il medesimo difensore in Roma, via Giovanni Antonelli, 15;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, AISE – Agenzia informazioni e sicurezza esterna (quale successore del SISMI – Servizio per le informazioni e la sicurezza militare), Ministero della difesa, Ministero dell’economia e delle finanze, in persona dei rispettivi Presidente, legale rappresentante e Ministri p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Lombardia – Milano, sezione III, n. 2244 del 26 agosto 2014.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’AISE – Agenzia informazioni e sicurezza esterna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 52, commi 1 e 2 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2016 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti l’Avvocato Leozappa e l’Avvocato dello Stato Fedeli;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’odierno appellante, colonnello della Guardia di finanza all’epoca dei fatti, trasferito al SISMI nel febbraio del 2006 e inquadrato nel relativo organico, è stato restituito all’Amministrazione di provenienza a decorrere dal 10 settembre 2007.

2. L’appellante ha impugnato il provvedimento di rientro deducendo sotto diversi profili la violazione di legge e l’eccesso di potere. Con successivi motivi aggiunti, ha sollevato ulteriori doglianze e – ritenendolo causa di grave demansionamento nei suoi confronti – ha impugnato anche il provvedimento in data 24 ottobre 2007, con cui il Comando generale della Guardia di Finanza lo ha successivamente assegnato in qualità di comandante al Centro addestramento regionale del Comando regionale di Milano.

3. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento degli atti impugnati e il risarcimento dei danni patiti.

4. Con sentenza 26 agosto 2014, n. 2244, il T.A.R. per la Lombardia, sez. III, ha respinto il ricorso.

5. Il Tribunale regionale ha richiamato la consolidata giurisprudenza in tema di specificità del rapporto di lavoro intercorrente con gli Organismi di informazione e sicurezza (c.d. Servizi), mettendo in rilievo la conseguente ampiezza della potestà discrezionale che caratterizzerebbe l’operato dell’Amministrazione, con particolare riferimento alla cessazione del rapporto di lavoro.

5.1. La restituzione del dipendente all’Amministrazione di provenienza non dovrebbe necessariamente derivare da valutazioni inerenti al rendimento, né essere supportata dall’espressione di particolari motivazioni, verificandosi in un contesto nel quale le esigenze pubbliche di carattere funzionale ed organizzativo assumono rilievo assolutamente prioritario, tale da rendere connotato da precarietà il rapporto di lavoro.

6. Il ricorrente ha interposto appello contro la sentenza con sette motivi di gravame.

a) Erroneità dell’operato del giudice di prime cure, laddove, nel richiamare la pertinente giurisprudenza, ne avrebbe desunto una limitazione al sindacato giurisdizionale tale da contrastare con l’indirizzo del Consiglio di Stato in tema di illegittimità di eventuali previsioni normative che, per i dipendenti dei Servizi, risultino in violazione di fondamentali diritti dell’uomo e di garanzie costituzionali inalienabili (fattispecie, secondo l’appellante, integrata nella circostanza che lo riguarda).

b) Inapplicabilità alla sua posizione dell’art. 6, lett. b), del d.P.C.M. 21 ottobre 1980, n. 7, sulla base del quale è stato emanato il provvedimento impugnato, in quanto la norma non potrebbe applicarsi al “personale transitato ormai in via definitiva nella consistenza organica della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, nei cui confronti l’assunzione avrebbe “perso il carattere della temporaneità”.

c) Mancanza di fondamento delle argomentazioni che il Tribunale avrebbe riferito alla portata della motivazione del provvedimento impugnato, erroneamente sostenendo l’inapplicabilità della norma generale dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

d) Erroneità e contraddittorietà della pronuncia gravata nella parte in cui non avrebbe ravvisato l’irragionevolezza a fronte del “potenziale impiego dell’odierno appellante orientato al perseguimento delle finalità istituzionali offerte dall’alta specializzazione conseguita dallo stesso”.

e) Incompletezza dell’istruttoria con riguardo ai profili comparativi rispetto a terzi che l’appellante asserisce essere stati in servizio presso il SISMI.

f) Omessa pronunzia in relazione alla domanda proposta con motivi aggiunti, tesa ad ottenere l’annullamento del provvedimento del 24 ottobre 2007, nella parte in cui lo destinava al Centro addestramento regionale. Tale provvedimento sarebbe illegittimo poiché la relativa pianta organica prevedrebbe posti di ufficiale di grado inferiori a quello di colonnello, con conseguente demansionamento dell’odierno appellante.

g) Mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno.

7. La Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna – AISE si sono costituite in giudizio per resistere all’appello.

8. Secondo le Amministrazioni, il T.A.R. avrebbe ampiamente ed esaustivamente esaminato la vicenda sottopostagli, in punto sia di fatto che di diritto, addivenendo a conclusioni che si porrebbero in linea di coerenza rispetto al quadro normativo ed alla pertinente giurisprudenza.

9. Con ordinanza 11 febbraio 2016, n. 608, la Sezione – riguardo al punto dei motivi aggiunti su cui il T.A.R. non si è pronunziato – ha disposto istruttoria al fine di acquisire documentazione circa la consistenza della pianta organica del Centro addestramento regionale di Milano alla data di assegnazione dell’appellante, comprensiva di indicazioni in ordine all’effettivo grado previsto per il posto di comando.

10. In data 16 marzo 2016, la difesa erariale ha depositato la documentazione richiesta.

11. Anche l’appellante ha depositato documenti e, in seguito, una memoria.

12. All’udienza pubblica del 23 giugno 2016, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

13. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.

14. I primi cinque motivi dell’appello si risolvono in diverse articolazioni della medesima censura relativo al mancato controllo del cattivo uso che, nella fattispecie, l’Amministrazione avrebbe fatto della propria discrezionalità.

15. Sotto questo profilo, i motivi sono infondati e la sentenza impugnata merita piena conferma.

16.1. La memoria dell’Avvocatura Generale in data 24 settembre 2015 riporta correttamente la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio di Stato, di cui il T.A.R ha fatto corretta applicazione, sul carattere assolutamente fiduciario del rapporto che si instaura con il personale chiamato a far parte dei Servizi e sull’amplissima discrezionalità che ne deriva in capo all’Amministrazione nella gestione del rapporto medesimo.

16.2. La dimensione di tale discrezionalità, peraltro, ha uno specifica consistenza giuridica (cfr. sez. IV, 4 luglio 2012, n. 3927).

16.3. L’attività propria degli Organismi di informazione e sicurezza, infatti, ha un preciso fondamento costituzionale nella necessità di salvaguardare la Repubblica all’interno e all’esterno dei suoi confini. Valgono precisamente, a questo proposito, le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale in tema di segreto di Stato, che trova “base di legittimazione esclusivamente nell’esigenza di salvaguardare supremi interessi riferibili allo Stato-comunità, ponendosi quale “strumento necessario per raggiungere il fine della sicurezza”, esterna e interna, “dello Stato e per garantirne l’esistenza, l’integrità, nonché l’assetto democratico”: valori che trovano espressione in un complesso di norme costituzionali, e particolarmente in quelle degli artt. 1, 5 e 52 Cost.” (sentenza 23 febbraio 2012, n. 40, ove riferimenti ulteriori).

16.4. Le disposizioni richiamate, dunque, sono idonee a giustificare in termini di legittimità costituzionale le possibili deroghe che la normativa di settore apporta alla disciplina comune del rapporto di pubblico impiego (fra le quali rientra peraltro – quasi a contrappeso delle deroghe in peius – anche la possibilità dell’assunzione diretta in deroga alla regola del pubblico concorso posta dall’art. 97, terzo comma, Cost.: del che nessun ricorrente si è mai lamentato).

16.5. Certamente, questa discrezionalità è particolarmente lata ma non può essere considerata assoluta, poiché trova un invalicabile limite nel rispetto di “fondamentali diritti dell’uomo e di garanzie costituzionali inalienabili” (così Cons. Stato, sez. IV, 10 luglio 2013, n. 3668, che l’appellante richiama).

16.6. Senonché manca qualunque dimostrazione che principi di tal genere siano stati oltrepassati nel caso di specie (così come, peraltro, ne aveva escluso la concreta violazione la sentenza n. 3668 del 2013).

16.7. La stessa non recente giurisprudenza delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, cui l’appellante si rifà (sentenze 17 novembre 1989, n. 4904 e n. 4905), sancisce sì l’esistenza di una tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi del personale dei Servizi, in opposizione alla tesi, all’epoca sostenuta dall’Amministrazione, della non giustiziabilità di tali posizioni soggettive, ma non esclude affatto che la tutela giurisdizionale riconosciuta “trovi dei limiti specifici in funzione della speciale natura del rapporto e dei compiti”.

16.8. Discende da ciò l’infondatezza del primo motivo.

17. Del pari è infondato il secondo motivo, che si incentra sull’ambito di applicazione dell’art. 6 del ricordato d.P.C.M. Questo dispone che, quando il personale trasferito ai Servizi sia restituito all’Amministrazione “d’ufficio per esigenze di servizio” primo comma, lett. b), “il provvedimento ha carattere ampiamente discrezionale e deve specificare soltanto che la restituzione avviene d’ufficio” (secondo comma).

17.1. La tesi, sostenuta dall’appellante, secondo cui l’art. 6 del ricordato d.P.C.M. non si applicherebbe al personale definitamente transitato nei ruoli dei Servizi, non trova conferma nella lettera della disposizione, lascerebbe privo di disciplina in parte qua il personale in questione e contrasta proprio con l’indiscusso carattere eminentemente fiduciario del rapporto. Dunque la censura non può essere accolta.

18. Neppure ha pregio il terzo motivo, circa il preteso mancato rispetto delle prescrizioni della citata L. n. 241 del 1990, in particolare dell’art. 3 (obbligo di motivazione).

18.1. Come ha osservato in analoga circostanza la Sezione (n. 3927 del 2012, cit.), per i dipendenti degli Organismi di informazione e sicurezza vale l’art. 7, secondo comma, primo periodo, della L. 24 ottobre 1977, n. 801, secondo il quale “la consistenza dell’organico del Comitato di cui all’articolo 3 e di ciascun Servizio, i casi e le modalità relativi al rientro dei dipendenti pubblici nelle amministrazioni di originaria appartenenza, il trattamento giuridico-economico e i casi e le modalità di trasferimento ad altra amministrazione dello Stato del personale assunto direttamente, sono stabiliti, anche in deroga ad ogni disposizione vigente, rispettivamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Ministro per la difesa e dal Ministro per l’interno su parere conforme del Comitato interministeriale di cui all’articolo 2 e di concerto con il Ministro per il tesoro”.

18.2. La norma ha operato un’ampia delegificazione, giustificata dalle evidenti e peculiari esigenze del settore, che ha trovato attuazione nei d.P.C.M. 21 novembre 1980, n. 7 e n. 8.

18.3. Né si può sostenere che tale disciplina di settore dovrebbe cedere, in parte qua, a quella recata dalla L. n. 241 del 1990, in quanto successiva e di rango superiore.

18.4. Tale opinione, infatti, non terrebbe conto, in primo luogo, della evidente intenzione del legislatore del 1977 di riservare al personale in questione una disciplina specifica, autonoma e separata. Questa intenzione, peraltro, trova conferma nel d.P.C.M. in data 20 luglio 1993 che, nel prendere atto dell’entrata in vigore di una normativa altrettanto generale di quella richiamata (il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29), ne esclude in linea di principio l’applicabilità agli appartenenti agli Organismi di informazione e sicurezza alla luce della specialità del rapporto, recepisce espressamente alcune limitate innovazioni “in quanto compatibili” e dispone che il rapporto d’impiego di quel personale “continua a essere disciplinato dalle disposizioni del proprio ordinamento, approvato ai sensi dell’articolo 7 della legge 24 ottobre 1977, n. 801”.

18.5. Nell’ambito della delegificazione disposta dal legislatore e conformemente alla specificità del rapporto, l’obbligo di motivazione si riduce dunque a contenuti assolutamente stringati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2008, n. 2036) e, nel caso di specie, risulta essere stato correttamente assolto.

18.6. Vero è che la cessazione dell’impiego dell’appellante si è verificata nel momento di passaggio fra la vecchia (L. n. 801 del 1977, cit., in relazione alla quale l’appellante svolge le proprie argomentazioni), e la nuova disciplina dei Servizi (L. 3 agosto 2007, n. 124). Ma poiché il nuovo ordinamento tiene ben ferma la riserva regolamentare per quanto concerne la disciplina del personale addetto (cfr. art. 21) e conferma in vigore le precedenti disposizioni interne e regolamentari, in quanto compatibili (art. 44), le conclusioni ora esposte resterebbero comunque invariate qualunque debba intendersi la disciplina di fonte primaria sotto la cui vigenza la vicenda controversa si è svolta.

19. Il quarto e il quinto motivo si risolvono in una diretta censura delle valutazioni discrezionali dell’Amministrazione e, per le ragioni più volte richiamate, non possono dunque essere accolti.

20. Nemmeno sussiste il preteso demansionamento (sesto motivo).

20.1. Come appare dalla documentazione in atti, la Guardia di finanza:

a) essendo già conclusa la pianificazione dei movimenti per il 2007 (lo ammette l’appellante: v. pag. 5 della memoria depositata il 20 maggio 2016), lo ha destinato a un incarico (comandante del Centro addestramento Lombardia) retto – secondo la circolare vigente all’epoca – da un ufficiale superiore (dunque anche da un colonnello), sebbene l’appellante andasse a sostituire nell’incarico un tenente colonnello;

b) tale incarico ha avuto comunque breve durata, perché con la manovra d’impiego del 2008 l’appellante è stato trasferito a Sondrio come comandante provinciale del Corpo, dunque in una sede sostanzialmente omogenea a quelle indicate nell’area di reimpiego richiesta dall’interessato in data 22 ottobre 2007.

21. In mancanza di provvedimenti illegittimi, non vi è spazio per il riconoscimento di un danno risarcibile. Anche il settimo e ultimo motivo dell’appello è dunque da rigettare.

22. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato in tutti i suoi motivi e va perciò respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado e dei provvedimenti impugnati.

23. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

24. Le spese di lite, liquidate in dispositivo secondo i parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 del 2014, sono altresì comprensive della misura indennitaria di cui all’art. 26, comma 1, c.p.a.

25. Al riguardo, il Collegio rileva che l’accertamento di infondatezza del ricorso di primo grado si basa, come dianzi illustrato, su ragioni manifeste, in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 1, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252; sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733; sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210; sez. V, 21 novembre 2014, n. 5757; cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative e alla determinazione della misura indennitaria).

26. La condanna dell’originario ricorrente ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, lett. a) e f), della L. 24 marzo 2001, n. 89, come da ultimo modificato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208.

P.Q.M. 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata. 

Condanna la parte soccombente – anche ai sensi e per effetti esposti in motivazione – al pagamento delle spese relative al presente grado di giudizio, che liquida complessivamente, in favore delle Amministrazioni intimate, nell’importo di Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge (15% a titolo di rimborso spese generali, IVA e CPA). 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. 

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell’appellante, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 52, nei termini indicati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2016.

Depositata in Cancelleria in data 26 luglio 2016.