REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Pierluigi Di Stefano -Presidente-
Ersilia Calvanese
Maria Sabina Vigna
Paola Di Nicola Travaglini
Ombretta Di Giovine -Relatore-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 29/04/2022 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Ombretta Di Giovine;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Tomaso Epidendio, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata, la Corte appello di Palermo confermava la condanna per esercizio abusivo della professione (art. 348 pen.) disposta dal Tribunale di Marsala nei confronti di (omissis) (omissis).
2. Avverso la sentenza presenta ricorso l’imputato che, per il tramite del suo difensore, avvocato (omissis), deduce, in un unico motivo di ricorso, erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione.
La Corte d’appello ha fondato la condanna sulla considerazione che l’imputato avrebbe compiuto una pluralità di atti che, pur non riservati in via esclusiva alla competenza specifica di una professione, nel loro continuo, coordinato e oneroso riproporsi, hanno ingenerato una situazione di apparenza evocativa dell’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela.
Il ricorrente ritiene che tale sintetica motivazione sia manifestamente illogica. I giudici non avrebbero considerato, infatti, che il ricorrente è iscritto all’albo dei dottori commercialisti dal gennaio 1997, sicché, allorquando è stato sospeso dalla professione per soli tre mesi (dal 14/05/2015 al 14/08/2015), alle spalle aveva già una carriera ultra-ventennale ed esercitava l’attività professionale in modo continuativo, con conseguente esistenza di un’organizzazione ben definita per l’esercizio della stessa.
La sospensione è, d’altronde, un’impossibilità di esercitare la professione che, proprio perché temporanea e transitoria, merita una valutazione attenta, che non può esaurirsi nel ricorso a clausole di stile.
Laddove tale valutazione fosse stata svolta, i giudici si sarebbero accorti che nessuna attività è stata realizzata dall’imputato, il quale ha accettato in epoca antecedente alla sospensione l’incarico di procedere al deposito in via telematica delle dichiarazioni Iva e delle imposte dirette per l’anno 2014, aventi scadenza nel periodo tra maggio e agosto 2015 dalle società, e non ha provveduto al deposito telematico delle suddette dichiarazioni IVA, proprio in quanto l’adempimento ricadeva nel periodo di sospensione.
Considerazioni analoghe sono addotte con riferimento al secondo elemento di prova addotto a fondamento della ritenuta responsabilità penale, vale a dire, la redazione, per una società, di un progetto di bilancio al 31.12.2014.
La Corte omette infatti di considerare che la fattura è stata emessa dall’imputato il 14/09/2015, quindi un mese dopo la scadenza del periodo di sospensione e si riferisce ad attività di preparazione e redazione completata prima del periodo di sospensione, cui era strettamente connessa la presentazione del Modello Unico 760 del 2015, al solo scopo di tutelare il cliente ed evitare che lo stesso potesse incorrere nelle sanzioni penali tributarie.
3. Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, 176, i cui effetti sono stati prorogati da numerose successive disposizioni, da ultimo dall’art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come introdotto dall’art. 5-duodecies del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Dalle sentenze di merito (che, trattandosi di “doppia conforme”, formano un unico corpo, Ex multis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) si evince come la mancata astensione di (omissis) nel periodo di sospensione dallo svolgimento dell’attività di commercialista (dal 14/05/2014 al 14/08/2015), sia stata coerentemente desunta da concordanti elementi.
In particolare, sono citate le deposizioni testimoniali dei suoi clienti, che hanno riferito di aver pagato il ricorrente mensilmente o trimestralmente per la consulenza svolta (a nulla rilevando che l’imputato non abbia presentato telematicamente le dichiarazioni fiscali per l’anno di imposta 2014), nonché le fatture e ricevute di bonifico di (omissis) srl, tra cui la ricevuta di bonifico del 27 maggio 2015 “per elaborazione di bilancio al 31/12/2014, presentazione bilancio e mensilità consulenza” e, soprattutto, quella del 14/09/2015 per “mensilità consulenza a società (omissis) da maggio a settembre 2015 e presentazione unico 760/2015”, perfettamente rientrante nel periodo di sospensione.
2. Tanto premesso, va altresì ricordato che la giurisprudenza di legittimità ritiene pacificamente configurabile l’art. 348 cod. pen. anche nel caso di sospensione disciplinare (tra le altre, Sez. 6, n. 46963 del 03/11/2021, Federici, Rv. 282449; 6, n. 4456 del 16/10/2018, dep. 2019, Falini, Rv. 274982; Sez. 6, n. 18745 del 21/01/2014, Borghesi, Rv. 261098), precisando che il delitto sussiste anche nel caso in cui l’autore abbia posto in essere atti non individuabili come di specifica competenza di una professione, purché svolti in modo continuativo e cioè tale da ingenerare l’erronea apparenza di un esercizio regolare (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011, dep. 2012, Cani, Rv. 251819).
3. Nessun vizio essendo ravvisabile nella motivazione dei giudici di merito, con la quale, per contro, i rilievi difensivi omettono di confrontarsi, questa Corte ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.
4. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 31/05/2023.
Depositato in Cancelleria, oggi 22 giugno 2023.