REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente –
Dott. DI PAOLA Sergio – Consigliere –
Dott. MESSINI D’AGOSTINO Piero – Rel. Consigliere –
Dott. AIELLI Lucia – Consigliere –
Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 27/04/2022 della CORTE DI APPELLO DI ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Piero Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Pasquale SERRAO D’AQUINO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore della parte civile avv.to (OMISSIS) (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata;
udito il difensore dell’imputato ricorrente avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con sentenza emessa il 27 aprile 2022 la Corte di appello di Roma confermava la decisione con la quale il primo giudice, ad esito del giudizio abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per il reato di truffa aggravata commesso in danno del (OMISSIS)
Secondo la tesi accusatoria recepita dai giudici di merito, l’imputato aveva effettuato prestazioni mediche a pagamento in regime privatistico presso l’ospedale (OMISSIS) in ambulatori privati, nonostante, quale dirigente medico dello stesso ospedale, avesse un rapporto di esclusiva con (OMISSIS) (OMISSIS) percependo così la relativa indennità.
2. Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza per erronea applicazione della legge penale (art. 640, secondo comma, pen.), mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità.
La Corte di appello ha omesso di valutare o non ha ben considerato tre documenti dimostrativi della insussistenza del reato di truffa, il primo dei quali costituito dall’autorizzazione all’esercizio dell’attività professionale extra moenia presso le strutture indicate nel capo d’imputazione, rilasciata all’imputato dal direttore sanitario di presidio.
Erroneamente nella sentenza impugnata il documento viene ritenuto inefficace perché non firmato dal direttore generale e in ogni caso esso dimostra l’assenza di una condotta integrante artifizi e raggiri.
Questa prova è data da altro documento, allegato all’atto di appello e non valutato dalla Corte territoriale: si tratta della richiesta avente ad oggetto la restituzione delle fatture non utilizzate, relative all’attività extra moenia, dimostrativa della conoscenza da parte della direzione sanitaria che i medici ivi indicati, fra cui l’imputato, esercitavano detta attività professionale con bollettari forniti dall’amministrazione.
Infine, dal verbale di accertamenti eseguiti presso la direzione amministrativa dell’ospedale (OMISSIS) dai Carabinieri del N.A.S. risulta che l’imputato ha sempre versato le somme derivanti dall’attività professionale extra moenia, non essendovi quindi stato alcun indebito arricchimento, con relativo danno per la pubblica amministrazione.
3. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici e manifestamente infondati.
La difesa, infatti, non si è confrontata con la fondamentale valutazione espressa dal G.u.p. e dalla Corte di appello (rispettivamente a pag. 11 e pag. 3 delle sentenze) circa il fatto, desunto dalle conversazioni intercettate e soprattutto dalle dichiarazioni di numerosi pazienti, che l’imputato effettuava visite presso vari studi privati percependo compensi senza il rilascio di alcuna documentazione fiscale, occultati all’amministrazione (oltre che al fisco).
E’ risultato, dunque, recessivo, nella considerazione dei giudici di merito, il generico rilievo contenuto nel verbale dei N.A.S., richiamato dalla difesa, che faceva riferimento, peraltro, alle sole “prestazioni eseguite in (OMISSIS) domiciliari”.
Il ricorrente, inoltre, non si è confrontato neppure con altra decisiva argomentazione dei giudici di merito, relativa all’ingiusto profitto e al correlativo danno causato all’A.S.L., i quali hanno fatto riferimento (rispettivamente a pag. 10 e a pag. 4) alla indennità mensile versata dall’Azienda ai sanitari che operavano in regime di esclusività, cui l’imputato non aveva diritto e dallo stesso percepita indebitamente solo grazie al fatto che evidentemente l’A.S.L. ignorava l’esecuzione di prestazioni mediche a pagamento in regime privatistico presso l’ospedale e in ambulatori.
La Corte, a fronte di tali elementi, ha implicitamente ritenuto irrilevante la generica mail indirizzata a vari medici il 25 agosto 2015, mentre, con motivazione logica e incensurabile, ha affermato che quella evocata dalla difesa, rilasciata dal direttore sanitario senza alcuna delega del direttore generale, non era una efficace autorizzazione (“visto si autorizza”), tant’è che, prima del 2011, il medico era stato autorizzato a svolgere attività libero professionale ma solo intra moenia e per visite domiciliari, con provvedimento del direttore generale (OMISSIS) (OMISSIS).
Come osservato dal Procuratore generale, il pagamento della indennità mensile per le prestazioni (teoricamente) effettuate in regime di esclusività conforta ulteriormente la convinzione che (OMISSIS) non fosse a conoscenza del rilascio di una rituale autorizzazione che avrebbe automaticamente comportato una decurtazione stipendiale.
Nella sentenza impugnata, dunque, non è ravvisabile alcuna violazione di legge né sussistono i denunciati vizi della motivazione. Invero, pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, il ricorrente in realtà non ha lamentato una motivazione mancante, o manifestamente illogica, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata del materiale probatorio.
Secondo il diritto vivente, però, è preclusa a questa Corte la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
4. All’inammissibilità della impugnazione proposte segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile di (omissis) che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 26 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2023.