Concordato in continuità aziendale: istanza ammissibile anche in caso di precedente contratto di affitto di azienda (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 1 marzo 2022, n. 6772).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27775/2017 proposto da:

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via (OMISSIS) n. 11, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) Luca, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) Giuseppe, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Tecnigold S.p.a. in Liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza (OMISSIS) n. 11, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) Debora, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) Lamberto, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2021 dal Consigliere Dott.ssa Paola Vella;

lette le conclusioni scritte, ai sensi dell’art 23, comma 8-bis, d.l. n. 137/2020, inserito dalla legge di conversione n. 176/2020, del P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Giovanni Battista Nardecchia, che chiede il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La società Tecnigold S.p.a. in liquidazione (di seguito Tecnigold), dopo aver affittato la propria azienda in data 31/03/2016 alla società Sola Grazia S.r.l. (appositamente costituita il 21/03/2016 e interamente partecipata da Starlight Harmony Ltd), ha presentato al Tribunale di Treviso, in data 07/04/2016, ricorso ex art. 161, comma 6, l.fall., depositando nel termine concesso il piano e la proposta di concordato preventivo in continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall., che prevedeva il pagamento dei creditori chirografari – tra i quali la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. (di seguito MPS), ammessa al voto per un credito di Euro 1.393.580,44 – nella misura del 3,73%.

1.1. Con decreto del 04/11/2016 il tribunale adito ha ammesso Tecnigold alla procedura di concordato preventivo, ha fissato l’adunanza dei creditori per il 07/03/2017 ed ha contestualmente disposto l’apertura di una procedura competitiva per la vendita dell’azienda oggetto del pregresso affitto, all’esito della quale in data 23/12/2016 è risultata aggiudicataria la stessa Starlight Harmony Ltd, che ha poi nominato ai sensi dell’art. 1401 c.c. la società di diritto estero Glorious Eagle Investments Ltd (con sede nelle Virgin Islands) ai fini della stipula del contratto di compravendita dell’azienda (condizionato all’omologazione del concordato) con Tecnigold in data 23/03/2017.

1.2. Riscontrata l’approvazione della maggioranza dei creditori, il Tribunale di Treviso ha omologato il concordato rigettando l’opposizione ex art. 180 l.fall. proposta da MPS, la quale aveva allegato:

i) innumerevoli anomalie che lasciavano trasparire l’intento fraudolento della debitrice ex art. 173 l.fall., come l’ammanco di un ingente quantitativo di oro in deposito (per un valore di oltre 16 milioni di euro) – ridottosi dai 768,8 kg presenti nella verifica di magazzino del 02/02/2015 a soli 64,1 kg riscontrati nella verifica straordinaria del 26/02/2016 – e l’azzeramento dei crediti verso società collegate o controllanti (per circa 8 milioni di euro);

ii) l’artificiosa qualificazione del concordato in continuità aziendale, nonostante l’azienda fosse stata già affittata prima della domanda (e poi ceduta prima dell’omologa), al fine di eludere la soglia minima di soddisfazione dei creditori chirografari (20%) prevista per il concordato liquidatorio dall’art. 160, comma 4, l.fall.

1.3. La Corte d’appello di Venezia – Sez. feriale ha respinto il reclamo di MPS ex art. 183 l.fall. nonostante l’allegazione di ulteriori criticità o anomalie, quali:

iii) l’esclusione nel piano dell’operatività della polizza assicurativa (pur pienamente operante alla data del 19/02/2016);

iv) la decisione dell’assemblea dei soci di Tecnigold di non approvare l’azione di responsabilità nei confronti dell’ex-amministratore;

v) il passaggio dei lavoratori alle dipendenze di un ente di diritto straniero privo di beni in Italia.

1.4. I giudici di secondo grado hanno ritenuto:

a) che l’ammanco di 700 kg. di oro è stato reso noto ai creditori e, in base alle analisi effettuate da un professionista incaricato dalla società debitrice, condivise dal Commissario giudiziale, poteva ritenersi «frutto di alterazione della corretta rappresentazione contabile in ordine alla quantità di materiale prezioso effettivamente detenuta da Tecnigold (e non, almeno per quanto risulta allo stato, di sottrazione fisica delle giacenze)»;

b) che «dalla mancanza di elementi che consentano di ipotizzare la sottrazione fisica dell’oro discende altresì l’insussistenza dei presupposti per l’operatività della copertura assicurativa, con conseguente assenza di pregiudizio per i creditori, anche sotto il profilo dell’omissione di elementi rilevanti per la formazione del giudizio sulla proposta concordataria»;

c) che l’azzeramento prudenziale dei crediti verso «società collegate e controllate e comunque facenti parte del medesimo gruppo imprenditoriale della debitrice (…) è stato condiviso dal Commissario giudiziale, mentre nessun(o) specifico e concreto elemento è stato addotto dalla reclamante»;

d) che il ramo d’azienda oggetto di affitto e cessione, costituente l’asset principale del patrimonio della proponente, era «in condizioni di effettivo esercizio al momento della proposizione della domanda concordataria», non rilevando «se la sua conduzione continui a fare capo all’originario titolare e proponente il concordato, ovvero a terzi cui sia stata affittata», specie quando si tratti di «soluzione ponte finalizzata a consentire la cessione d’azienda in condizioni di operatività»;

e) che l’aggiudicazione alla Glorious Eagle Investments Ltd (con sede nelle Virgin Islands) è stata autorizzata dal giudice delegato prima dell’adunanza dei creditori, i quali pertanto erano a conoscenza dell’identità del cessionario, mentre l’assunto «secondo cui la società cessionaria farebbe pur sempre capo all’ex amministratore della debitrice proponente è privo di riscontro oggettivo e non coerente con le risultanze documentali versate in atti dalla resistente»;

f) che l’azione di responsabilità verso gli ex amministratori non è preclusa dall’ammissione alla procedura concordataria;

g) che la cessionaria si è accollata i debiti maturati dai dipendenti nei confronti della cedente in esito ad accordi con le organizzazioni sindacali e con i singoli lavoratori.

1.5. Per la cassazione del suddetto decreto MPS ha proposto ricorso Data pubblicazione 01/03/2022 affidato a due motivi, corredato da memoria ex art. 380-bis c.p.c., cui Tecnigold ha resistito con controricorso.

1.6. Con ordinanza interlocutoria n. 15690 del 4 giugno 2021 la Prima sezione civile di questa Corte ha ravvisato i presupposti di cui all’art. 375, ultimo comma, c.p.c. per la trattazione del ricorso in pubblica udienza sul tema agitato dal secondo motivo, in vista di un supplemento di riflessione rispetto alle conclusioni raggiunte nella sentenza di questa Corte n. 29742 del 2018, segnatamente per valutare entro quali limiti l’affitto dell’azienda sia compatibile con la disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale – quale risultante dalla riforma di cui alla legge 6 agosto 2015, n. 132 (di conversione del d.l. 27 giugno 2015, n. 83) che, tra le tante innovazioni, ha esonerato solo il debitore che adotti tale tipo di concordato da qualsiasi limite minimo di soddisfacimento dei creditori chirografari – specie alla luce delle nuove norme dettate dal Codice della crisi e dell’insolvenza di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, e successive modificazioni (di seguito CCII), e dalla Direttiva (UE) 2019/1023 (di seguito Dir. 1023/19).

1.7. In vista della pubblica udienza del 2 dicembre 2021 Tecnigold ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. e il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 173 l.fall., di cui i giudici d’appello avrebbero dato una lettura eccessivamente restrittiva e formalistica, non essendo il “disvelamento” delle plurime anomalie segnalate (in particolare l’ingente ammanco di oro e l’azzeramento dei cospicui crediti verso le società del gruppo) sufficiente ad escluderne l’attitudine decettiva nei confronti del ceto creditorio.

2.1. Anche in sede di reclamo MPS aveva espressamente contestato che il Commissario giudiziale, piuttosto che svolgere i doverosi accertamenti di sua competenza, si era limitato a ritenere “non inverosimile” la tesi della debitrice per cui l’ammanco di oro sarebbe stato frutto di una «dolosa e progressiva (nel tempo) sopravvalutazione del proprio magazzino dal quale non venivano registrate le “uscite” di oro» (con conseguente inoperatività della copertura assicurativa), al tempo stesso dando atto dell’esposto presentato in sede penale dal Liquidatore per detto ammanco.

2.2. Secondo la ricorrente, anche l’azzeramento dei crediti per complessivi 8 milioni di euro nei confronti di imprese collegate e controllanti era stato giustificato dall’attestatore in modo “semplicistico”, essendosi questi limitato a riferire, quanto alla collegata North Real Estate s.r.l., che essa versava «in grave stato di crisi, come affermato dall’Amministratore Unico dimissionario, Dr. (OMISSIS), attuale liquidatore della Tecnigold S.p.A. in liquidazione» e, quanto alla controllante Golden Bridge S.A. (società di diritto lussemburghese), di «non aver potuto appurare alcunché», conformemente a quanto esposto nella relazione depositata ai sensi dell’art. 161, comma 2, lett. a), l.fall., dal Liquidatore di Tecnigold, peraltro come tale nominato proprio dalla capogruppo Golden Bridge S.A., che lo aveva nominato liquidatore anche della collegata North Real Estate s.r.l.

2.3. In ultima analisi, la Corte d’appello avrebbe erroneamente valutato tutti questi aspetti in modo atomistico, mentre una loro considerazione unitaria avrebbe rivelato l’intento fraudolento della società debitrice.

3. Il secondo mezzo deduce la violazione degli artt. 160 e 186-bis l.fall., per avere la Corte territoriale qualificato il concordato in continuità aziendale cd. indiretta al di là delle previsioni testuali dell’art. 186-bis, comma 1, l.fall., che la circoscrive alla cessione o al conferimento dell’azienda “in esercizio”, mentre la debitrice, società in liquidazione, aveva affittato la propria azienda a terzi ancor prima di depositare la domanda di concordato prenotativo.

3.1. Ad avviso della ricorrente, solo grazie a questo artificio qualificatorio era stata resa ammissibile una proposta di concordato che prevedeva una percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari del tutto irrisoria, con elusione della soglia minima del 20% imposta ai concordati liquidatori; e tutto ciò a fronte della orchestrata “sparizione” di un valore di ben 24 milioni di euro dall’attivo concordatario, per di più attraverso l’intervento di società off shore che non consentono di identificarne gli effettivi titolari.

4. Per ragioni di priorità logica va esaminato preliminarmente il secondo motivo, che ad avviso del Collegio va rigettato, con conferma del principio affermato nella sentenza di questa Corte n. 29742 del 2018 – da cui si reputa opportuno non discostarsi – così massimato: «il concordato con continuità aziendale, disciplinato dall’art. 186 -bis l.fall., è configurabile anche qualora l’azienda sia già stata affittata o si pianifichi debba esserlo, palesandosi irrilevante che, al momento della domanda di concordato, come pure all’atto della successiva ammissione, l’azienda sia esercitata da un terzo anziché dal debitore, posto che il contratto d’affitto – sia ove contempli l’obbligo del detentore di procedere al successivo acquisto dell’azienda (cd. affitto ponte), sia laddove non lo preveda (cd. affitto puro) – assurge a strumento funzionale alla cessione o al conferimento di un compendio aziendale suscettibile di conservare integri i propri valori intrinseci anche immateriali (cd. “intangibles”), primo tra tutti l’avviamento, mostrandosi in tal modo idoneo ad evitare il rischio di irreversibile dispersione che l’arresto anche temporaneo dell’attività comporterebbe». 

4.1. Esigenze di sintesi impongono di non richiamare in questa sede le varie tesi emerse dall’ampio dibattito esistente in dottrina e in giurisprudenza sul tema della compatibilità tra affitto d’azienda e cd. continuità indiretta, molte delle quali già ampiamente esposte ed in parte fatte proprie nel precedente del 2018 sopra citato, né le ragioni ivi espresse a favore della tesi “estensiva”, né infine gli otto punti in cui era stato compendiato il “supplemento di riflessione” sollecitato – in vista di una possibile lettura più restrittiva – nell’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 15690/2021.

4.2. Rileva, in senso decisivo, che quel supplemento di riflessione appare allo stato incompatibile con un quadro normativo di riferimento del tutto magmatico, composto com’è da un impianto tradizionale (la legge fallimentare) che ha già subìto in passato, dopo la riforma del 2006-2007, numerosi innesti (spesso più estemporanei che programmatici) ed altri ancora ne ha subiti all’attualità, in chiave anticipatoria rispetto al nuovo CCII – la cui entrata in vigore è stata frattanto posticipata al 16 maggio 2022 – che a sua volta, dopo il correttivo di cui al d.lgs. 26 ottobre 2020 n. 147, è in procinto di essere ulteriormente modificato sia per ulteriori interventi correttivi, sia (e soprattutto) per il recepimento della dir. 1023/19, oltre che per le anticipazioni di nuovi istituti (come la composizione negoziata della crisi e il concordato semplificato) già introdotti con d.l. n. 118 del 24 agosto 2021, convertito con modifiche dalla l. n. 147 del 21 ottobre 2021 (di seguito d.l. 118/21) e destinati a confluire nello stesso CCII.

4.3. Peraltro, la conseguente scelta di dare continuità all’approdo nomofilattico del 2018 – che ha sicuramente avuto il pregio di orientare un contesto ermeneutico altrimenti destinato all’instabilità, in assenza di un intervento legislativo chiarificatore – passa attraverso la consapevole ricostruzione delle innegabili criticità normative, a fronte delle quali la prevedibilità delle decisioni costituisce indubbiamente un valore preminente, tanto più in un settore, come quello delle ristrutturazioni concorsuali, in cui l’osmosi tra diritto ed economia richiede una particolare attenzione.

5. E’ un dato oggettivo che nel 2012 il legislatore abbia introdotto la figura del concordato preventivo in continuità aziendale senza mai menzionare, nel nuovo art. 186-bis l.fall., l’affitto di azienda; né ciò avrebbe dovuto comportare soverchie criticità per i debitori che intendessero proporre domanda di concordato preventivo versando però in condizioni tali da non poter mantenere la continuità aziendale nemmeno nei tempi di accesso alla procedura, stante la possibilità di limitarsi a depositare – come ha fatto la Tecnigold – una semplice domanda prenotativa, o “in bianco”, ai sensi dell’art. 161, comma 6, l.fall., per entrare subito in procedura e chiedere eventualmente le necessarie autorizzazioni per affittare l’azienda.

Invero, tutto il corpo normativo del nuovo istituto sembra poggiare sull’assunto che al momento della domanda il debitore sia l’effettivo gestore dell’azienda “in esercizio”, di cui il piano “prevede” la prosecuzione da parte dello stesso debitore, ovvero la cessione o il conferimento a terzi.

Di conseguenza, le attestazioni di cui alle lett. a) e b), così come la continuità contrattuale di cui al comma 3, i contratti con la pubblica amministrazione di cui ai commi 3, 4 e 5 e la stessa ipotesi di revoca dell’ammissione al concordato di cui all’ultimo comma dell’art. 186-bis l.fall., sono tutti calibrati sul presupposto che l’azienda sia gestita dal debitore, quand’anche in vista di una sua futura cessione o conferimento.

Si tratta infatti di disposizioni confacenti al debitore, ma non (o quantomeno non altrettanto pienamente) al terzo affittuario, che, in quanto estraneo alla procedura, non può subire verifiche, attestazioni, autorizzazioni o sanzioni.

5.1. Ciò nonostante, sulla spinta delle varie prassi invalse, si sono ben presto diffusi, in dottrina e tra i giudici di merito, tre diversi orientamenti, in base ai quali (in estrema sintesi) l’affitto di azienda non rientrerebbe nel perimetro del concordato in continuità, o vi rientrerebbe solo in ipotesi di affitto stipulato dopo l’ingresso in procedura oppure vi rientrerebbe indiscriminatamente.

Dal canto suo il legislatore, in tutti i successivi interventi sull’art. 186-bis (nel 2014 e nel 2019), non ha mai aggiunto alle figure del cessionario e del conferitario di azienda quella dell’affittuario, né ha mai precisato che la norma includesse anche quest’ultimo.

5.2. Eppure nel 2015 il legislatore ha esplicitamente contemplato la figura dell’affitto di azienda quando, incidendo sull’autonomia negoziale delle parti per arginare il fenomeno dei concordati cd. prepackaged, ha introdotto nell’art. 163-bis l.fall. – per tutte le tipologie di concordato – le cd. procedure competitive, rendendole obbligatorie in caso di offerte o contratti con un soggetto individuato, aventi ad oggetto il trasferimento, anche prima dell’omologa, dell’azienda, di suoi rami o di singoli beni.

Tali procedure competitive sono state infatti estese espressamente al contratto di affitto di azienda (v. art. 163-bis, ultimo comma), che d’altro canto è contemplato anche nella procedura fallimentare, quale strumento a tutti gli effetti incluso nell’orbita liquidatoria (art. 104-bis l.fall.).

5.3. Ma il vero punto nodale è stato quando, sempre nel 2015, il legislatore ha aggiunto all’art. 160 l.fall. un ultimo comma che pone come requisito di ammissione del concordato preventivo il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari, precisando, però, che la regola non si applica al concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall.: se fino a quel punto il dibattito aveva avuto risvolti più teorici che pratici, quella modifica ha esacerbato e reso di grande impatto le dispute sul perimetro applicativo dell’art. 186 bis l.fall., poiché un istituto che comportava sostanzialmente un aggravio di oneri per il debitore (a fronte di imprescindibili vantaggi operativi), è diventato anche un possibile “mezzo” per ovviare al nuovo e gravoso vincolo satisfattivo del 20%, obbiettivamente non facile da perseguire.

5.4. Un chiaro segnale di novità è invece intervenuto nel 2017, con la legge delega n. 155 per la riforma organica della materia concorsuale, che all’art. 6, comma 1, lett. i), n. 3, ha inteso “integrare” la disciplina del concordato con continuità aziendale, prevedendo – per la prima volta – «che tale disciplina si applichi anche nei casi in cui l’azienda sia oggetto di contratto di affitto, anche se stipulato anteriormente alla domanda di concordato».

5.5. Di conseguenza il CCII, emanato nel 2019 in attuazione della legge delega e modificato nel 2020 dal cd. correttivo, ha incluso nella continuità indiretta anche l’affitto di azienda; al tempo stesso, però, ha introdotto nel concordato in continuità vincoli occupazionali sconosciuti al sistema della vigente legge fallimentare, secondo le innovative (ed assai criticate) disposizioni contenute nell’art. 84, comma 2.

5.6. Questa nuova fattispecie del concordato in continuità aziendale (i cui minuziosi vincoli potrebbero peraltro cadere nella legislazione futura) presenta evidenti tratti di diversità, per ratio e presupposti, da quella vigente, tanto che sarebbe quantomeno opinabile ravvisarvi quella “continuità” di regime su cui si fonda, secondo il recente insegnamento delle Sezioni Unite, la possibilità di rinvenire nel CCII un utile criterio interpretativo degli istituti concorsuali vigenti (Cass. Sez. U, 12476/2020, 8504/2021, 12154/2021).

5.7. Ed invero con il CCII è stata modificata anche la disciplina di dettaglio, prevedendosi ad esempio nell’art. 87, comma 2, lett. g) che (solo) nel caso di «prosecuzione dell’attività d’impresa in forma diretta» il piano deve contenere «un’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura» (invece l’art. 186-bis lett. a) l.fall., privo com’è di tale precisazione, non si attaglia all’ipotesi della continuità indiretta).

L’art. 87 CCII continua a prevedere che nel concordato in continuità occorre sempre «il piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario», sicché in caso di affitto di azienda tale onere continuerà a ricadere sul terzo affittuario.

Al contrario è venuto meno l’ultimo comma dell’art. 186-bis l.fall. sulla revoca del concordato per cessazione o manifesta dannosità dell’esercizio dell’attività d’impresa, che in effetti crea problemi applicativi proprio in caso di affitto d’azienda.

5.8. Un ulteriore, parametro di raffronto “de iure condendo” potrà derivare dalla dir. 1023/19, che nell’art. 2, n. 1), contempla la mera facoltà per gli Stati membri di includere nella nozione di ristrutturazione la continuità indiretta, altrimenti esclusa («e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell’impresa in regime di continuità aziendale»), senza peraltro contenere alcun riferimento alla fattispecie dell’affitto di azienda, di per sé non del tutto compatibile con il concetto di viability sotteso ai quadri di ristrutturazione preventiva (cfr. art. 4 par. 1 e 3).

5.9. Infine, il recente d.l. 118/21 ha ulteriormente scompaginato il quadro di riferimento, qualificando come concordato preventivo liquidatorio (sia pure “semplificato”, senza voto e senza soglia del 20%) quello il cui piano preveda l’offerta di un soggetto individuato avente ad oggetto il “trasferimento”, anche prima dell’omologazione, dell’azienda, di suoi rami o di specifici beni (secondo la formulazione delle procedure competitive ex art. 163-bis l.fall.).

Ne è derivato che, in sostanza, quella che tradizionalmente veniva intesa come continuità indiretta è stata attratta nel perimetro del concordato liquidatorio.

6. Così sommariamente ricostruito il contesto normativo, è innegabile che una rigorosa interpretazione della legge fallimentare vigente sarebbe compatibile con l’esclusione dell’affitto di azienda dal perimetro del concordato in continuità aziendale, quanto meno se stipulato (come nel caso di specie) prima della domanda di concordato preventivo, e soprattutto se a stipularlo sia (sempre come nel caso di specie) una società già posta in liquidazione.

6.1. Una spia in tal senso è rinvenibile nella giurisprudenza di questa Corte ove si afferma – ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale – che «l’affitto dell’azienda comporta, di regola, la cessazione della qualità di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attività d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilità tra affitto di azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va positivamente accertata dal giudice del merito» (Cass. 7311/2020), non ritenendosi condivisibile «l’apodittica riconduzione dell’affitto di azienda alla continuazione dell’attività d’impresa, sottesa all’argomentazione della sentenza impugnata», a fronte dell’orientamento per cui non può essere dichiarata fallita una società che, dismessa l’attività, non svolga in concreto alcuna attività imprenditoriale, ma un mero affitto dell’azienda (Cass. 17397/2015), con la conseguenza che «non è sufficiente accertare l’avvenuto affitto dell’azienda per dedurne la compatibilità con la prosecuzione dell’impresa, che invece va positivamente accertata».

6.2. Senza poi considerare che, ove alla cessazione dell’attività dell’imprenditore segua anche la sua cancellazione dal registro delle imprese (evenienza non verificatasi nel caso in esame), verrebbe meno, per il combinato disposto degli artt. 2495 c.c. e 10 l.fall., la sua stessa legittimazione ad accedere al concordato preventivo, anche a fronte di una domanda di fallimento presentata entro l’anno dalla cancellazione, poiché «l’intervenuta e consapevole scelta di cessare l’attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, preclude “ipso facto” l’utilizzo della procedura concordataria per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare» (Cass. 4329/2020).

6.3. Secondo quella ricostruzione, insomma, l’affitto dell’azienda comporterebbe di regola – fatto salvo, cioè, l’accertamento in concreto della sua prosecuzione – la cessazione dell’attività d’impresa; e ciò assumerebbe una particolare valenza a fronte di un debitore che (come nel caso di specie) presenti una domanda di concordato non liquidatorio ma in continuità aziendale, pur essendo già in stato di liquidazione ed avendo già affittato a terzi la propria azienda.

6.4. In ogni caso, nel contesto magmatico di cui si è detto, l’indirizzo dato da questa Corte con la sentenza n. 29742 del 2018, fondato su valide argomentazioni – già ampiamente sostenute da gran parte della dottrina e condivise da parte dei giudici di merito – ha svolto anche la preziosa funzione di eliminare insidiose difformità applicative e orientare la prassi in una direzione sicuramente rispondente al criterio del favor concordati. In questo senso, come detto, il Collegio reputa quell’indirizzo meritevole di stabilità.

6.5. Ciò non toglie che tutte le frizioni, delle quali sopra si è dato conto, debbano essere invece attentamente considerate nel valutare altri aspetti a tutela dei creditori, come quello fondamentale dell’abuso dello strumento concordatario elaborato dal debitore; e se ad alcuni possibili abusi ha già posto rimedio il legislatore del 2015 con le procedure competitive, particolare attenzione va prestata all’eventuale uso strumentale del concordato in continuità aziendale per mascherare un concordato liquidatorio elusivo della soglia satisfattoria del 20%.

Tema, questo, sollevato dal primo motivo di ricorso, che si passa ad esaminare.

7. Sul punto cruciale in contestazione – e cioè se nel caso di specie ricorressero i presupposti per una revoca del concordato per atti di frode ex art. 173 l.fall. – la sentenza impugnata offre una motivazione che, per vaghezza e superficialità di indagine, risulta sostanzialmente apparente, alimentata com’è da meri rinvii a giudizi del tutto approssimativi espressi dal Commissario giudiziale, nella recezione apparentemente acritica di spiegazioni offerte dal debitore in modo poco plausibile e comunque meritevole di maggiore approfondimento, in funzione della corretta informazione del ceto creditorio, se non altro a fronte dell’enorme entità dei valori in contestazione (complessivamente circa 24 milioni di euro).

7.1. In particolare, nel singolare quadro cronologico sopra riferito (v. punto 1.), il tema dell’ammanco di ben 704,7 kg di oro (per un valore di oltre 16 milioni di euro) rispetto ai 768,8 kg esistenti nella precedente verifica – ammanco riscontrato nel corso della “verifica straordinaria” effettuata solo un mese prima della costituzione della società futura affittuaria e poi cessionaria dell’azienda, e due mesi prima della presentazione della domanda di concordato “con riserva” – è stato liquidato con l’affermazione che la ricostruzione del consulente del debitore era stata “condivisa” dal commissario giudiziale, nel senso che quell’enorme ammanco sarebbe stato «frutto di alterazione della corretta rappresentazione contabile in ordine alla quantità di materiale prezioso effettivamente detenuta da Tecnigold (e non, almeno per quanto risulta allo stato, di sottrazione fisica delle giacenze)», senza che al riguardo la reclamante avesse dedotto alcunché.

7.2. Al contrario, la ricorrente ha puntualmente trascritto, a pag. 17 e 18 del ricorso, le contestazioni sollevate, dalle quali emerge chiaramente la critica rivolta alla posizione “agnostica” assunta dal commissario giudiziale, il quale, a fronte della prospettata giustificazione dell’ammanco con una – poco verosimile e comunque grave – «dolosa e progressiva (nel tempo) sopravvalutazione del proprio magazzino dal quale non venivano registrate le “uscite” di oro», si era limitato ad osservare che «la ricostruzione dell’amministratore non appare inverosimile», pur dando atto contestualmente che il liquidatore aveva presentato un esposto all’autorità giudiziaria penale proprio per l’ammanco in questione.

7.3. Restano sullo sfondo – però contribuendo a delineare i profili di frode ravvisabili nelle relative condotte, meritevoli quantomeno di approfondimento – sia la decisione dell’assemblea dei soci di Tecnigold di non approvare l’azione di responsabilità nei confronti dell’ex- amministratore, sia la carente informazione ai creditori circa le condizioni di operatività della polizza assicurativa, stipulata su richiesta del ceto bancario (elemento che la ricorrente a pag. 8 del ricorso dichiara di aver scoperto «solo successivamente all’omologa del concordato, unitamente a documentazione attestante come, molto probabilmente, al ceto creditorio sia stata sottaciuta una situazione idonea ad influire sul suo giudizio»), che avrebbe consentito di ottenere quantomeno un indennizzo per l’ammanco di oro, nella misura di circa due milioni di euro.

7.4. Ancor più inconsistente risulta il controllo sulla semplicistica rappresentazione di una “prudenziale” svalutazione “a zero” dei crediti per circa 8 milioni di euro vantati verso le società collegate e controllanti (non già controllate, come si legge a pag. 3 della sentenza impugnata), anche qui lapidariamente giustificata dalla condivisione del commissario giudiziale e dal fatto che, invece, «nessun(o) specifico e concreto elemento è stato addotto dalla reclamante, atto ad infirmare la correttezza della valutazione», quasi che non dovesse essere proprio l’organo giudiziale (e non il creditore) a svolgere specifici e concreti controlli sulle deduzioni del debitore circa la totale irrealizzabilità di quegli ingenti crediti, a fronte della inverosimile allegazione dell’impossibilità di «valutare la situazione patrimoniale e finanziaria della società capogruppo», in un contesto in cui il liquidatore di Tecnigold era stato nominato dalla stessa controllante sua debitrice (che lo aveva nominato altresì liquidatore di altra società collegata), e senza che rivestisse invece decisiva rilevanza – specie nella prospettiva ex ante che deve caratterizzare la compiuta informazione dei creditori concordatari – il rilievo ellittico per cui «non risulta che la proposta ed il piano prevedano la rinuncia o abbandono di tali crediti».

8. Si impone dunque una più approfondita e puntuale valutazione degli elementi di possibile frode ex art. 173 l.fall., inutilmente segnalati dal creditore opponente e reclamante, odierno ricorrente, che meritano una risposta meno approssimativa e superficiale, anche (e proprio) per quei profili di possibile abuso dello strumento concordatario in continuità aziendale di cui si è detto sopra, che rischiano di vanificare le legittime aspettative dei creditori chirografari a fronte di una così notevole, clamorosa e repentina “diminuzione” dell’attivo concordatario, correlata ad una rapida operazione di affitto e successiva cessione dell’azienda a società off shore.

8.1. A tal fine, il giudice del rinvio dovrà tener conto dei robusti approdi della giurisprudenza di questa Corte sul perimetro applicativo dell’art. 173 l.fall., in base ai quali integrano atti di frode concordatari – in ragione della loro valenza potenzialmente decettiva, per l’idoneità a pregiudicare il “consenso informato” dei creditori, anche sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione – non solo le condotte volte propriamente ad occultare circostanze inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza, ma anche quelle dirette a non farle percepire nella loro completezza ed integrale rilevanza, rispetto ad una rappresentazione esistente, ma del tutto inadeguata, alla sola condizione che tali atti siano caratterizzati, sul piano soggettivo, dalla consapevole volontarietà della condotta, senza che sia cioè necessaria anche lo loro dolosa preordinazione (Cass. 15013/2018, in fattispecie in cui la revoca è stata confermata escludendo che la diversa rappresentazione dei fatti potesse essere giustificata da “mere irregolarità contabili”; conf. Cass. 2773/2017, 16856/2018, 25458/2019).

8.2. Merita altresì di essere richiamato il precedente che ha analogamente ravvisato la sussistenza di atti di frode, rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione alla predetta procedura ai sensi dell’art.173 l.fall., anche in ragione di fatti (solo) non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta concordataria o nei suoi allegati, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e, quindi, anche ove questi ultimi siano stati resi edotti di quell’accertamento (Cass. 15695/2018 in fattispecie in cui l’atto di frode consisteva nell’avere la società proponente omesso di fornire una plausibile spiegazione circa il rilevante scostamento di valore delle rimanenze di magazzino riportato nella proposta di concordato rispetto a quello indicato nell’ultimo bilancio; Cass. 25165/2016; Cass.14552/2014).

8.3. Anche di recente questa Corte ha ribadito che rientra nella nozione di frode – o comunque di circostanza rilevante ai fini della revoca dell’ammissione al concordato preventivo, ai sensi dell’art. 173 l.fall. – la condotta del debitore che abbia adottato contabilizzazioni non fedeli rispetto ad elementi essenziali, idonei a ricostruire le cause del dissesto e la sua stessa responsabilità; ed infatti, sebbene l’art. 161 l.fall. non imponga più al debitore di enunciare in ricorso anche le cause della crisi, ciò non significa che esse non assumano rilievo, al pari della condotta dell’imprenditore, tanto che della loro ricostruzione è comunque gravato il commissario giudiziale nella relazione ex art. 172 l.fall., prevista soprattutto in funzione informativa del ceto creditorio; è dunque dalla combinazione sistematica delle due norme che discende l’obbligo per il debitore di una effettiva disclosure su tutti i fattori relativi alle condizioni dell’impresa e alla convenienza della proposta (Cass. 20870/2021).

8.4. Ancora in tempi recenti è stato chiarito che, anche a fronte di modifiche della proposta concordataria (specie se intervenute per effetto di concomitanti accertamenti degli organi concorsuali), il debitore può comunque incorrere nei presupposti dell’art. 173 l.fall., poiché ciò che rileva, ai fini della sanzione della revoca, è il dolo nella condotta – sia pure inteso come mera consapevolezza del ricorrente di aver omesso circostanze essenziali per la corretta e completa informazione dei creditori (stato soggettivo accertabile anche con presunzioni) – dovendo i giudici di merito esaminare globalmente l’intera condotta del debitore, poiché la revoca ex art. 173 l.fall. è un istituto diretto proprio a neutralizzare la valenza decettiva delle omissioni e incompletezze espositive del debitore, da valutare al momento del deposito della domanda (Cass. 22663/2021).

9. Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame circa la ricorrenza di atti di frode ex art. 173 l. fall., alla luce dei principi sopra richiamati, oltre che per la statuizione sulle spese processuali del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, rigetta il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 02/12/2021.

Depositato in Cancelleria il giorno 1° marzo 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.